Sugli scaffali delle librerie del nostro paese, da qualche tempo, ha trovato posto un saggio, pubblicato di Nicola Pesce Editore ad opera di Edoardo Trevisani, su uno dei cineasti più iconici dei nostri tempi: John Carpenter. Il titolo del saggio è John Carpenter. Il regista da un altro mondo.
Il volume tratta in ogni capitolo un singolo film dell’autore, analizzando la pellicola in questione, raccontando la sua gestazione e fornendo notevoli spunti di approfondimento.
Ripercorriamo qui gli esordi del regista e rimandiamo l’approfondimento al volume, opera tra le più complete scritte nel nostro paese sul regista americano.
È realmente difficile che nella nostra vita non ci sia imbattuti in una pellicola del regista americano. Molto dell’immaginario moderno è dovuto al poliedrico artigiano autore di cult come La cosa, 1997: Fuga da New York e Grosso guaio a Chinatown.
Il punto di riferimento di Carpenter è stato sempre l’immaginario classico dell’epoca d’oro di Hollywood e fra i suoi maggiori ispiratori annoveriamo l'eclettico Howard Hawks, l’autore di cult come Scarface – lo sfregiato, Susanna! e Il grande Sonno. Nonostante questo però Carpenter ha avuto sempre un rapporto conflittuale con le norme degli Studios, anche perché spesso i suoi lavori risultavano in anticipo sui tempi.
John Howard Carpenter nasce a Carthage (New York) nel 1948 e cresce nel Kentucky, dove il padre è titolare della cattedra di Musica moderna all’università e quando può suona in orchestre di grandi nomi (Roy Orbison, Frank Sinatra, Brenda Lee). La madre lo porta quando può al cinema, e il primo film che ricorda di aver visto è La Regina d’Africa di John Huston con Humphrey Bogart. Trevisani riporta questa fase del regista che parla della sua infanzia: “Mia madre mi ha regalato la fantasia, mio padre la musica. Regali non da poco”.
E la musica lo accompagna insieme al cinema sempre, perché accanto alla regia ritroviamo che molte delle colonne sonore dei suoi film sono composte proprio dallo stesso John.
Nel 1968 entra nella scuola di cinema della University of Southern California dove conosce molti dei suoi futuri collaboratori e ha l’occasione di incontrare grandi nomi della regia del calibro di Orson Welles, Alfred Hitchcock, King Vidor, Roman Polanski. Nel 1971 cura sceneggiatura musica e montaggio del corto The Resurrection of Broncho Billy, per la regia di James Rokos, che narra le vicende di un ragazzo che sogna di vivere nel selvaggio West. L’opera vincerà l’Oscar nella categoria cortometraggi lo stesso anno.
Per il saggio di fine corso, insieme al suo compagno di corso Dan O’ Bannon il futuro sceneggiatore di Alien, Carpenter vuole realizzare una commedia fantascientifica che fa il verso a 2001: Odissea nello spazio, inizialmente chiamata The Electric Dutchman e che poi assumerà il nome della nave, Dark Star. Con i 6000 dollari di Budget messi insieme dai due vengono realizzati 45 minuti di girato in 16 mm; il corto, visionato da una piccola casa di produzione canadese viene rifinanziato per un ampliamento in cui i due realizzatori hanno carta bianca sulla lavorazione. Il film vedrà la luce solo nel 1975, per colpa anche di una causa vinta da Carpenter contro la USC che voleva mantenere i diritti del film, visto che la prima parte era stata realizzata con e attrezzature universitarie.
La Dark Star è un’astronave che vaga nello spazio, lontana dalla madre terra, con il compito di distruggere pianeti instabili con armi intelligenti al fine di favorire l’espansione umana nello spazio. Sono ormai passati 20 anni dal giorno della sua partenza e le disavventure non sono mancate. La morte accidentale del comandante Powell avvenuta poco dopo la partenza; il corpo è però messo in ibernazione e le funzioni cerebrali sono ancora attive, anche se si ricordano di interpellarlo solo all’occorrenza e durante le emergenze, e mai per far due semplici chiacchiere. L’esplosione del deposito della carta igienica ha generato un problema non indifferente che non aiuta l’umore della ciurma, sempre sull’orlo dell’apatia. Un alieno/mascotte (praticamente un pallone gonfiabile per schernire i grandi effetti speciali delle produzioni dell’epoca) combina guai anche piuttosto pericolosi soprattutto per il sergente Pinback (interpretato dallo stesso O’Bannon) che lo accudisce. Per non farsi mancare nulla, lo scontro con un banco meteoriti danneggia i controlli della stiva delle bombe attivando inavvertitamente il segnale di innesco per la bomba numero 20. L’ordigno, dotato di una intelligenza artificiale e di una propria personalità, intrattiene con il Tenente Doolittle un divertente Dialogo sulla metafisica, nel tentativo di far desistere la bomba ad innescarsi con la distruzione della nave, dell’equipaggio e della porzione di spazio adiacente. Evidente è il riferimento a un altro classico di Stanley Kubrick, il Dottor Stranamore.
Nella sua ironia un film sulla alienazione sociale e la disillusione del progresso di un futuro distopico che si affianca ad altre opere sue contemporanee come 2022 I sopravvissuti (Soylent Green, 1973), Rollerball (1975), Andromeda (The Andromeda Strain, 1971). Accolto nei festival da un buona critica, non supportata dagli incassi nelle sale, diverrà un cult appena si diffonderà il mercato dell’Home video nel 1980.
Nel periodo successivo all’uscita di Dark Star, Carpenter incontra un gruppo di finanziatori che gli propongono 100.000 dollari e 24 giorni per realizzare un suo qualsiasi progetto.
Il suo sogno sarebbe girare un western, ma il finanziamento e il tempo non permetterebbero di realizzare un’opera in costume. Opta per un western ambientato nei sobborghi di Los Angeles. Distretto 13: Le brigate della morte (Assault on Precint 13, 1976) è la trasposizione ai giorni nostri di Un dollaro d’onore, classico di Howard Hawks del 1959 interpretato da John Wayne, Dean Martin e con Leigh Brackett come sceneggiatrice (che scriverà tra l’altro anche la sceneggiatura di L’impero colpisce ancora).
Trevisani racconta che in Distretto 13: Carpenter pone le basi teoriche ed espressive del suo mondo cinematografico, in più ha l’occasione di lavorare per la prima volta con attori professionisti…
. Il regista si occuperà inoltre del montaggio, della colonna sonora e della sceneggiatura.
La scelta di utilizzare attori per lo più misconosciuti sancirà il blando successo del grande pubblico, soprattutto quello dei drive-in su cui si basava la platea americana di quegli anni. Grazie alla partecipazione al London Film Festival, il film ricevette una serie di critiche positive che aprirono alla distribuzione nelle sale del vecchio continente, riscuotendo notevole successo.
Il film comincia in un anonimo pomeriggio dove varie linee narrative separate andranno a convergere nella sera dell’ultimo giorno prima della dismissione della stazione di Polizia di Anderson, estrema periferia della Città degli Angeli, un luogo talmente malfamato che anche le forze dell’ordine hanno deciso di abbandonare ritirandosi in un quartiere più tranquillo. Il giovane tenente Ethan Bishop, fresco di nomina, sta sovraintendendo alla ultime operazioni in compagnia di un anziano agente, e due centraliniste. Un cellulare della polizia in trasferimento verso la prigione di Sonora, che trasporta tra l’altro il noto criminale Napoleone Wilson, a seguito di un malore di uno dei galeotti è costretto a fermarsi li.
Non lontano, di un patto di morte e vendetta viene sancito tra quattro membri di gang della zona a seguito dell’uccisione da parte della polizia la sera precedente di alcuni alleati. Usciti in per le strade del quartiere sono intenzionati a uccidere chiunque trovino sulla propria strada. Un padre vedrà uccidere dai precedenti la propria figlioletta al furgone dei gelati insieme al venditore. Accecato dalla rabbia riesce insegue i malviventi uccidendone il capo per poi vagare in stato di shock fino all’isolato distretto 13.
Il presidio isolato sarà messo sotto assedio da una moltitudine di invasati che incuranti della morte costringeranno poliziotti e galeotti ad allearsi per salvare la pelle.
Il distretto rappresenta un topos delle letteratura, del cinema e della storia: ricorda Alamo ma anche Rorke Drift (l’avamposto visto sul grande schermo nel colossal Zulu del 1964 di Cy Enfield), la villa Akeley persa nei boschi del Vermont del racconto Colui che sussurra nelle tenebre di di H.P. Lovecraft o le scene del Massacro di Fort Apache nel classico di John Ford dove gli eroi loro malgrado devono difendersi dall’assalto delle forze del male. Il male Carpenteriano, qui come nelle successive produzione, pur non essendo sempre ben definito risulta netto e specchio delle contraddizioni della società moderna e della fine del sogno americano; il regista smonta i grandi classici e li ricrea in modo originale generando opere spesso troppo avanti per i loro tempi.
La vicenda del distretto vivrà una seconda vita nel 2001 quando il regista girerà Fantasmi da Marte, un newquel fantascientifico ambientato sul pianeta rosso.
Il tema dell’assedio, sarà ricorrente nel suo cinema, ad esempio nel Signore del male (Prince of Darkness) cosi come la fuga degli (anti)eroi, di solito trasfigurazioni moderne di cowboy e cavalieri senza macchia che hanno perso la loro purezza.
Edoardo Maria Trevisani, pugliese, laureato a pieni voti in lettere moderne, attualmente insegna Teoria e Metodo dei mass media e Storia del cinema all’accademia di belle arti di Brera, prima ancora a Lecce. Giornalista, esperto di comunicazione ha alle spalle una notevole e varia produzione.
Nel 2014 partecipa alla realizzazione del volume di Nico Parente Mare blu, morte bianca. Guida ragionata al cinema degli squali (collana Cinema, Edizioni il Foglio) realizzando le schede di alcuni film. L’anno successivo realizza per le edizioni Edit@ il saggio Mass media, cultura e società. Le comunicazioni sociali tra storia, politica, arte, rappresentazione della realtà, mentre per Print Me Editore realizzerà nel 2016 e nel 2018 Rappresentare la violenza. Cinema, rock e tv dopo Bowling a Columbine e Rappresentare la paura. Guerra, orrore e sogno tra mass media, arte e cinema.
Immediatamente prima del saggio su Carpenter, Trevisani è tornato a lavorare con Nico Parente su James Wan – da Saw e Insidious al Conjuring Universe e Aquaman, monografia dedicata al talentuoso regista Malese naturalizzato Australiano esponente del New Horror.
1 commenti
Aggiungi un commentoQuesto articolo mi era sfuggito. Da decenni estimatore di Carpenter, sono veramente lieto di averlo recuperato; per cui prendo nota dell'opera che conto a breve di procurarmi.
Penso di aver fatto l'incontro con questo regista nel 79, quando in Italia uscirono "Halloween" (non servono particolari parole per un film il cui tema musicale, tra l'altro, è probabilmente tra i 10/15 più conosciuti e usati al mondo) e "Distretto 13" (uno dei film meno conosciuti ma a mio avviso, nella sua essenzialità, tra i più riusciti di Carpenter).
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