E' uno dei tanti futuri possibili immaginati dalla fantascienza, un non troppo lontano anno 2054 in cui l'opinione pubblica deve votare se estendere oppure no a tutti gli Stati Uniti una nuova sezione del Dipartimento di Giustizia definita del Pre-Crimine. Caso emplare: un marito tradito si nasconde in casa e coglie in flagrante la moglie con il giovane amante. E' armato. Si avvicina ai due, sul letto e.... in quel momento fanno irruzione gli agenti del Pre-Crimine e lo immobilizzano, arrestandolo per un doppio omicidio non ancora commesso, ma che era evidentemente sul punto di commettere.

In una località segreta e sorvegliatissima, immersi in una vasca e collegati a sensori che registrano e inviano le loro visioni a dei monitor a disposizione degli agenti, i tre Pre-Cognitivi passano i loro giorni tra visioni da incubo, delitti efferati, stragi e violenza, il tutto per il bene e la sicurezza della comunità. Sono il risultato di un esperimento di ingegneria genetica assolutamente unico e rivoluzionario, voluto dal potente Lamar Brurgess. I Pre-Cog sognano il futuro, dando alle autorità il modo di intervenire per cambiarlo. L'agente John Anderton è uno dei fiori all'occhiello del Dipartimento del Pre-Crimine, intelligente, veloce, efficiente e dedito al lavoro, specie dopo un trauma familiare che è stato anche la fine del suo matrimonio. Un giorno questa straordinaria tecnologia lo mette sul banco degli imputati per il futuro omicidio di Leo Crow. Piccolo particolare: Anderton non ha la più pallida idea di chi sia questo Crow, non lo conosce affatto. Che succede? L'infallibile tecnologia non è poi così infallibile? E chi sono le altre persone che si vedono nella visione del momento del delitto? E cosa sono i Rapporti di Minoranza, della cui esistenza è stata tenuta all'oscuro la cittadinanza?

Minority Report porta sullo schermo un racconto dello scrittore Philip K Dick e si notano subito le tematiche care allo scrittore: la frantumazione della realtà, l'ingerenza delle autorità nella vita privata dei cittadini, l'uso delle droghe, la tecnologia sfruttata a fini non del tutto legittimi - talvolta con conseguenza tragico-grottesche. Tornano alla mente flash di altri film, da Blade Runner a Atto di forza, da Stati di allucinazione a Runaway, passando per i thriller di Hitchcock e DePalma e i film di denuncia civile degli anni 70. Senza dimenticare i film d'azione e d'intrattentimento, s'intende, Spielberg è pur sempre Spielberg e si rivolge al grosso pubblico, per cui gli si perdonano qualche passaggio narrativo poco credibile e qualche banalità verso il finale. Ma nel complesso Minority Report è un grande film, a partire proprio dalla regia di questo autore, che ancora sembra abbia da insegnare tanto a chi vuole fare cinema: si parla spesso a sproposito di talento visionario, bé nel suo caso niente è regalato e le sue visioni -- nel senso letterale del termine -- sono ben fisse nella nostra memoria: le mascelle dello squalo, le luci nel cielo degli incontri ravvicinati, i macigni rotolanti che minacciano Indiana Jones, una bicicletta che vola di fronte alla luna, una bambina con un cappottino rosso che attraverso uno spazio grigio, un piccolo bambino robot in attesa... Questo film non è da meno: immerso in una luce bluastra dallo stupendio lavoro del direttore della fotografia Janusz Kaminski non mancano le sequenze memorabili, da quelle oniriche dei delitti futuri a quelle d'azione durante la fuga del poliziotto ricercato. Visivamente il film ha così tanto da offrire che una visione solamente non basta, ne tantomeno una recensione per parlarne, ma chiunque ama il cinema come fusione tra linguaggio e tecnica applicata ad esso troverà pane per i suoi denti. Eccellenza tecnica è anche quella utilizzata dagli artisti della Industrial Light and Magic per realizzare alcune spettacolari sequenze futuristiche, come quelle della fuga sui taxi che girano per la Washington del futuro spostandosi su superfici sia orizzontali che verticali, con grande impatto dal punto di vista visivo. Scott Farrar, già supervisore degli effetti visivi per A.I. torna a lavorare con Spielberg, ancora una volta garantendo il non plus ultra in fatto di qualità applicata agli effetti speciali di un film.

Sul fronte delle tematiche pure gli spunti di riflessione non mancano, pur se inseriti all'interno di una operazione evidentemente commerciale e che mira anche all'intrattentimento. Argomenti complessi e tematiche 'alté sgorgano tra un inseguimento e l'altro: la legittimità nell'usare ogni nuova tecnologia semplicemente per il fatto di possederla; fino a che punto è legittimo per le autorità indagare sulla vita personale dei privati cittadini al fine di garantire la sicurezza; il dovere di attuare necessarie e utili sperimentazioni genetiche tenendo comunque ben presente la condizione di essere viventi dei soggetti coinvolti; il distinguo tra il pensiero e l'atto e la possibilità di scelta che ognuno di noi ha di poter (forse?) cambiare il proprio destino. Tutto questo ed altro ancora all'interno di un serrato action-thriller che riserva non poche sorprese e colpi di scena, alcuni prevedibili, altri meno. Certo comunque che il film spicca per quantità di idee e spunti narrativi: mentre sempre più spesso si assiste a film che si basano su un'ideuzza stiracchiata per arrivare ai 90 minuti di proiezione Minority Report è talmente ricco e sostanzioso che da varie porzioni di esso si sarebbero potuti trarre almeno altri 5 o 6 film. Ancora una volta si ha poi la prova del grande lavoro che questo regista dedica all'intesa con gli attori, per ottenere dalle loro performance il risultato migliore. Spielberg non è Lucas, coi suoi attori meno 'verì dei loro comprimari digitali, e il risultato anche su questo fronte è eccellente. Al di la del fatto che Tom Cruise si conferma attore convincente le vere sorprese vengono dai volti meno noti, in particolare mi sembra doveroso sottolineare l'ottima prova sostenuta nel non facile ruolo di Agatha dall'inglese Samantha Norton, che già era bravissima in Accordi e disaccordi di Woody Allen (1999) e la breve ma decisiva apparizione di Lois Smith (Pomodori verdi fritti, Twister) nei gustosi e ammiccanti panni della dottoressa Hineman, una che la sa lunga sui Rapporti di Minoranza. Fa inoltre piacere ritrovare l'attrice Jessica Harper: la protagonista del capolavoro stregonesco di Dario Argento Suspiria (1977) torna sul grande schermo ancora una volta in un contesto di visioni da incubo e il suo volto scavato alle prese con la minaccia di un misterioso assassino regala ancora una volta allo spettatore brividi e pelle d'oca. Chiudo con una piccola nota critica in fatto di casting: si poteva magari scegliere qualcun altro per la parte del Direttore Burgess. Non che Max Von Sydow non sia bravo, per carità è un eccellente attore, ma ormai così intrappolato in ruoli da cattivo che ogni volta che lo si vede apparire in un film hollywoodiano si sa già cosa aspettarci, e purtroppo da questo punto di vista Minority Report non riserva nessuna sorpresa.