Parli di rock e fantascienza e pensi a David Bowie, ai primi Pink Floyd, agli Hawkwind, ai Muse. Esci dai confini britannici e ti vengono in mente i Magma, i Rockets, i Kraftwerk, gli Ayreon. Sbarchi oltreoceano e ti imbatti nei Jefferson Starship e nei Rush.
E in Italia? Davvero pochi i riferimenti fantascientifici nel rock di casa nostra. Il Battiato degli esordi, con i riferimenti a Il mondo nuovo di Huxley dei primi due album Fetus e Pollution, e gli Area con il distopico Maledetti (maudits): "progetto-concerto di fanta-sociopolitica”. Oltre a questi dischi, una manciata di canzoni: da Missione Sirio 2222 de Il Balletto di Bronzo a Marzo 3039 di Daniele Silvestri, passando per Extraterrestre di Eugenio Finardi e Rock 'n' Roll Robot di Alberto Camerini.
È quindi chiaro che, quando vieni a sapere che una band italiana ha pubblicato da poco un concept album di fantascienza, ti viene subito la curiosità di saperne di più su queste “mosche bianche” del panorama musicale di casa nostra. Ed è ancora più piacevole scoprire che il risultato è notevole dal punto di vista sia musicale sia dei contenuti.
La band in questione si chiama Hell Spet, il disco di cui ci occupiamo si intitola Killer Machine, il quinto della discografia. Fondata nel 2011 da Federico Cantaboni (voce e chitarra acustica) e da Niccolò Papini (banjo), la band propone un originalissimo mix di country e punk. La formazione attuale è costituita da sei elementi: Federico Cantaboni (voce e chitarra acustica), Niccolò Papini (5 string banjo), Simone Grazioli (mandolino), Feddo Guarienti (chitarra elettrica), Andrea Bresciani (contrabbasso), Michele Saleri (batteria).
Le undici tracce di Killer Machine, pubblicato pochi mesi prima che le nostre esistenze entrassero nella realtà distopica del Covid-19, raccontano di un futuro distopico in cui la razza umana è allo stremo delle forze dopo la prima guerra globale. I pochi sopravvissuti si sono rifugiati in vere e proprie megalopoli, abitate da centinaia di milioni di persone: Gerico, Uruk, Yin Xu, Cartagine, Tucson, Tikal, Boston, Babilonia. Con la razza umana nascosta e a rischio d’estinzione, le macchine hanno preso il sopravvento e hanno intrapreso una caccia spietata ai sopravvissuti per porli in schiavitù.
Babilonia, la più grande e fortificata città-formicaio, è il quartier generale della resistenza globale. La base itinerante delle macchine è invece la Killer Machine, un tank mastodontico composto da acciaio e da parti biomeccaniche, che gira per il mondo su cingoli colossali, alimentato dalle onde cerebrali di migliaia di prigionieri che muoiono in poche settimane prosciugati dallo sforzo di nutrire la macchina con le loro facoltà psioniche.
La Resistenza, però, ha riscoperto la forza dell'animismo grazie a un manipolo di sciamani provenienti da tutto il mondo e riunitisi in un monastero arroccato sulle vette dell'Himalaya. Il loro voodoo è in grado di resuscitare i morti e costringerli a combattere al fianco degli umani contro le macchine.
Ondate di profughi si spostano incessantemente, i governi non esistono più e ogni città è indipendente. Solo la Resistenza sembra in grado di unire la razza umana verso l'unica possibilità di sopravvivere: distruggere la Killer Machine ed eliminare così il dominio delle macchine.
Dal punto di vista musicale, in Killer Machine la matrice folk si sposa (molto bene, direi: ascoltare per credere) con il thrash metal e l’hardcore punk.
Non mi sono lasciato scappare la possibilità di contattare Federico Cantaboni per rivolgere qualche domanda.
Country, punk e metal. È difficile trovare qualche precedente nella musica rock. Quali sono i vostri artisti di riferimento?
A dire il vero ci sono band che hanno impastato per bene diversi generi anche nel campo del country, primo tra tutti Hank Williams III, nipote del leggendario e omonimo Hank Williams. Countryman di tradizione familiare, ha però unito le sue influenze metal, stoner e sludge creando il cosiddetto “cowpunk”. Lui e i suoi lavori sono stati il “firestarter” della banda.
Tutti noi proveniamo dall’hard rock ma soprattutto dal metal. Come artisti di riferimento potrei citare i grandi classici che tutti e sei abbiamo in comune, come ad esempio Pantera, Motörhead, Slayer, Immortal, Cannibal Corpse, ma anche al di fuori dell’universo del metallo: Hank III, Bob Wayne, the 357. String Band, Floggin Molly. Ognuno di noi però ha anche un background molto personale che va dal blues al bluegrass, trap, hip hop, indie, rock’n’roll, jazz, classica e anche tanta musica italiana.
La vostra proposta musicale è così originale che potrebbe trovare spazio anche al di fuori dei confini nazionali. Avete mai pensato di proporvi all’estero? Di tournée al momento non se ne parla, ma qualche passaggio in radio vi aiuterebbe molto.
Hai perfettamente ragione! Purtroppo finora non abbiamo avuto occasione di fare tournee all’estero, complice forse il fatto che siamo una band numerosa o che non abbiamo nessun management che copra il territorio al di fuori dello stato come booking, etichetta o distribuzione. Finora siamo sempre stati autoprodotti e collaboriamo con la Corner Soul, la nostra agenzia di booking per l’Italia. Qualunque aiuto, radiofonico e non, è sempre molto gradito!
In Killer Machine si parte sempre dal country, ma stavolta l’impronta punk e metal è più netta. Che cosa vi ha spinto verso questo cambio di rotta?
Killer Machine è decisamente il nostro lavoro più “metal”. Diciamo che era un sentimento diffuso quando abbiamo cominciato a scrivere questo disco: l’attitudine l’abbiamo sempre avuta e dimostrata anche con i nostri dischi precedenti come To my Darling o Tales from Under the Bed che a livello di sonorità erano molto più folk. Questo disco è naturalmente nato necessitando di questo tipo di sound, il che si sposa perfettamente con il concept che ne fa da filo conduttore.
Cominciamo a parlare di fantascienza. Come è nata l’idea di un concept album a tema fantascientifico?
L’idea del concept è venuta a me una buia sera d’inverno… Sono sempre stato, fin da bambino e grazie alla mia famiglia, appassionato di letteratura e cinematografia fantasy, col tempo e qualche anno in più sono arrivati anche i primi film e i primi libri di fantascienza. Ma, a essere onesto, era la cinematografia fantascientifica ad affascinarmi più di tutto: avevo sul serio bisogno di vedere quelle ambientazioni, quelle storie; non mi bastava leggerle (e ne ho lette), dovevo tuffarmici dentro in quella maniera. Sarà per quello che poi ho studiato cinema!
Quali sono state le vostre fonti d’ispirazione?
Mi innamorai fin da subito della saga di Alien (all’epoca c’erano solo i primi tre film), di Terminator, di Matrix, ma anche de La notte dei morti viventi, di tutto il filone zombie e chi più ne ha più ne metta! I mondi post apocalittici e i futuri distopici mi hanno sempre affascinato tantissimo: in fondo a me sembra già di viverci, in uno di quei mondi.
C’è addirittura un plot, quindi si tratta di un’idea sviluppata non solo nei testi, ma anche nell’impostazione di una storia coerente. Prima accennavi alle tue letture di fantascienza: quali sono gli autori e le opere che hanno contribuito alla tua formazione?
Uno dei primi libri di fantascienza che ho letto, se fantascienza si può considerare, è stato Il mondo perduto di Arthur Conan Doyle. Poco dopo 20.000 leghe sotto i mari di Verne. Questi gli esordi, poi si sono aggiunti Dune di Herbert, Jurassic Park di Crichton, Starship Troopers di Heinlein e Viaggio allucinante di Asimov. Tra i miei preferiti però sento di dover citare le opere di Valerio Evangelisti, a partire da Metallo urlante, che è stato il mio primo approccio all'autore, per poi passare all'intero ciclo dedicato all'inquisitore Nicolas Eymerich.
La Killer Machine mi ricorda, dal punto di vista iconografico, Tarkus, il mostruoso armadillo cingolato protagonista dell’omonimo disco degli Emerson Lake & Palmer. Avevate presente questa o altre immagini quando avete pensato al terribile antagonista della razza umana?
Avevo in mente delle immagini ben precise ma non ero a conoscenza di Tarkus! Mancanza alla quale prometto di porre rimedio quanto prima.
L’idea principe per l’aspetto della Killer Machine è merito al 50% di Metal Slug e al 50% dell’universo di Warhammer 40.000: i boss di quel videogame sono qualcosa di veramente imponente, complesso, caotico e fantasioso quindi assolutamente irresistibile mentre di WH40k mi affascinava l’oscurità, la spietatezza e la sua maestosa monumentalità.
Unendo le due cose ne è uscita la Killer Machine.
Le vicende raccontate nel disco hanno un finale aperto. È lecito pensare che Killer Machine possa essere il primo capitolo di una saga in musica? Penso ai Fear Factory, band metal californiana che ha prodotto una serie di dischi basati su un’idea simile alla vostra: il rapporto conflittuale uomo-macchina.
Assolutamente, la storia è tutta aperta. Il disco stesso in realtà non è un racconto in ordine cronologico vero e proprio: le canzoni sono come una serie di istantanee di un futuro terribile, di un mondo in rovina e di un’umanità sull’orlo della distruzione totale per sua stessa colpa. Ogni canzone è un punto di vista differente sulla stessa storia: ad esempio la title track Killer Machine vede protagonista la macchina assassina e antagonista della razza umana, al contrario You’ll fall è l’inno della resistenza umana che si contrappone al dominio delle macchine.
La narrazione si sposta continuamente da un personaggio all’altro, da una situazione all’altra cercando di rendere il più chiaro possibile l’universo nel quale si sviluppa la nostra storia.
Se Killer Machine diventerà una saga in musica? Chi può dirlo? Certamente le idee non ci sono mai mancate e di storie da raccontare ce ne sono sempre tante. Magari ne arriveranno altre dal futuro, così da scoprire se le macchine ci avranno schiacciato o se invece uniti le avremo sconfitte una volta per tutte.
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