Erik Orredo spense la torcia al plasma.
La scia di scintille si spense con un crepitio trasmesso attraverso la struttura dell'esoscheletro.
– Ripeti quello che hai detto, Maik. – Era sbronzo sfatto e saldare assorbiva quel poco di concentrazione che gli rimaneva.
– Un Eyron è scappato da un recinto di accrescimento. Il suo codice di riconoscimento è BR 15-12 – sospirò l’altro. – Abbiamo mandato Orselho sulle sue tracce…
– Perché cazzo lo hai chiamato prima di me? Sei un bastardo – lo interruppe Orredo con un ruggito. Il furore gli fece salire un conato di vomito che trattenne a malapena.
– Stai calmo, Erik, vuoi una terza ulcera? Ti farà piacere sapere che Orselho non se l’è cavata bene: l’ultima comunicazione che abbiamo ricevuto era un messaggio automatico di SOS per il recupero del guscio vitale.
– Gli hai reso un gran favore, allora – ridacchiò Orredo, sollevato. – Come ha fatto l’Eyron a scappare? I recinti dovrebbero far schizzare indietro una microcalamita, figuriamoci uno di quei mostri.
– Ci deve essere stato un guasto. Stiamo indagando. Ora ti passo il profilo magnetico di BR15-12 e le ultime coordinate di Orselho. Ti ho fornito le credenziali per collegarti al satellite della compagnia.
Erik studiò i dati e poi consultò il sistema di rilevamento orbitale. – Si devono essere scontrati all’ansa quattro del canale di Limmis. Ci sono delle perturbazioni nel campo magnetico verso valle e corrispondono al profilo. L’Eyron si sta dirigendo alla fossa di Lovelis.
– Se entra in quel buco, lo perdiamo. – Il tono di Maik era preoccupato.
– Parlami dell’Eyron.
– Cento tonnellate di acciaio incazzato con doppio nucleo di Lorentz.
– Ok. – Orredo sentì la gola seccarsi. Grande preda, grande rischio e grande ricompensa. – È un bel vitellino.
– È per questo che ti abbiamo chiamato. Torna col cucciolo o almeno con i suoi nuclei.
– Non prendermi per il culo – lo rimproverò Erik. – Non ho ancora accettato. Sai che potrei semplicemente andare a recuperare i rottami di Orselho. E’ da molto che gli invidio quella torcia al plasma nuova di zecca.
– Erik, non sei né un saldatore né uno di quei cazzo di spazzini. Ti eccita da morire andare a caccia. Torna con l’Eyron… – La comunicazione si interruppe. L'esoscheletro vibrò, investito da una forte raffica di vento carico di grafite. Orredo armeggiò sui comandi per riallacciare il contatto radio.
– Ripeti Maik, ripeti!
– Ti paghiamo metà del suo peso in quarzo.
– E?
– E sei un cazzo di ingordo.
– Il tempo passa e la fossa si avvicina.
– Due mesi di paga extra e tutti i rottami di Orselho.
– Hai fatto un affare con un professionista Maik, prepara la grana – gli raccomandò prima di spegnere la comunicazione.
Erik fischiò di soddisfazione. Da quando la compagnia aveva cominciato ad allevare gli Eyron invece che catturarli allo stato brado, era stato costretto a lavori occasionali. Dopo mesi passati a saldare e tagliare con una paga da fame, era il momento di tornare in carreggiata.
Si rimise in contatto cerebrale con il computer di bordo e tracciò una rotta per intercettare BR15-12.
L'esoscheletro librò in aria, sollevando una nuvola di polvere di carbonio. Erik si mise ai comandi degli ugelli propulsivi per stabilizzarsi
Prese quota, sfruttando i maestrali magnetici, molto forti in quel periodo. Volò per circa un’ora districandosi con facilità tra tempeste di ferrite e sabbia ionizzata, poi iniziò la discesa. Individuò una zona in cui il campo magnetico indotto dal pianeta era più debole e atterrò. Il terreno si sbriciolò sotto il suo peso e milioni di minuscoli detriti si alzarono in aria e si attaccarono sulla superficie del’esoscheletro, ancora carico di energia elettrostatica. Ottimo, pensò, sarò mimetizzato.
Un centinaio di metri sotto di lui scorreva il fiume di mercurio, l’Eridanus, appena visibile nella nebbia di carbonio che aleggiava sopra la sua superficie.
Delle formazioni metalliche sull’altro versante stavano cambiando conformazione, assestandosi in base a un flusso magnetico particolarmente violento. Avrebbe dovuto starci attento.
Studiò il terreno circostante. La scarpata che portava al rivo era colma di minerali ad alta concentrazione di terre rare. Planò sul ghiaione: appostato tra quelle rocce, sarebbe stato ancora più difficile individuarlo.
Gli strumenti di bordo rilevarono una perturbazione anomala in avvicinamento dal lato a monte del fiume: l’Eyron.
Dopo cinque minuti di attesa vide BR15-12: si muoveva come un leone, balzando tra grossi macigni sospesi a mezz’aria, il cui nucleo era composto di magneti permanenti.
Migliaia di piccole scariche elettriche blu e gialle scoccavano tra le schegge sospese in aria che la fiera ionizzava al suo passaggio. Sembrava una cometa la cui coda di ghiaccio si stende nel firmamento all'approssimarsi di un sole. Con lo sguardo risalì la scia fino al nucleo, l’Eyron vero e proprio, la cui forma non era distinguibile, avvolta dal denso pulviscolo.
Quando BR15-12 fu quasi sotto di lui, Orredo si lasciò scivolare lunga la scarpata, trascinando con sé ciottoli e sassi. Quella slavina di detriti lo avrebbe mascherato alla visuale della bestia.
Vide l’Eyron bloccarsi di colpo e la scia di scariche elettrostatiche sbiadire fino a rivelarne fattezze e stazza. Quattro zampe di puro acciaio e magnetite, grandi come il corpo di un uomo, terminavano in artigli di ghisa in parte spezzati, forse per il combattimento precedente. Era ricoperto da una pelliccia di vibrisse, che ondeggiavano sul corpo come i filamenti di un’anemone. Incastrati tra queste protuberanze c’erano i rottami dell’esoscheletro di Orselho, fra cui la tanto desiderata torcia al plasma.
Erik attese di arrivare alla fine della scarpata, poi attivò i getti propulsivi per lanciarsi in aria. A metà del balzo scagliò contro BR15-12 due razzi, senza dargli il tempo di scansarli.
L’Eyron, investito dall’esplosione, fu scagliato verso il fiume e rimbalzò più volte sulla sua superficie sollevando schizzi di mercurio, come un sasso piatto lanciato sul mare. Andò a schiantarsi contro un masso dell’altra sponda, che si polverizzò nell'urto. Erik impugnò gli stinger, pronto a lanciarli sul colosso di ferro e cementite.
La bestia si rialzò barcollando, poi rizzò le vibrisse magnetiche come un riccio.
Orredo si costrinse a rimanere calmo: se avesse lanciato gli stinger in quel momento, i pungoli sarebbero stati attirati dagli aculei, come un parafulmine, e avrebbe sprecato la sua unica risorsa. Per piantare gli spuntoni sotto la dura corazza perlitica sarebbe dovuto entrare in un corpo a corpo dall’esito incerto.
Strinse con forza i comandi e con un balzo sorvolò il fiume con l’intenzione di schiacciare a terra BR15-12.
Maledizione! La bestia lo aveva schivato con un balzo laterale. Erik evitò a sua volta un artiglio e passò al contrattacco con un diretto al grugno dell’avversario. La plancia di comandò assorbì il colpo ma uno dei pugni quasi si spezzò. L’Eyron cadde riverso su un lato, scoprendo l’addome privo di aculei.
Erik affondò uno stinger in corrispondenza di un’escrescenza, laddove era alloggiato un nucleo di Lorentz, organo con cui l’Eyron riusciva a manipolare il suo campo magnetico e quello esterno.
BR15-12 girò su se stesso cercando di afferrarlo. Erik si piegò all'indietro quel tanto che bastava per potersi specchiare sulla lucida superficie degli artigli.
– Sei un po’ troppo nervoso – esclamò Erik, sbuffando. Poi attivò il primo stinger.
L’Eyron sussultò e rovinò a terra, contorcendosi. Orredo aveva appena mandato in tilt uno dei nuclei. Si passò la lingua sulle labbra, pregustando il bottino. Con suo dispiacere, la bestia si rialzò e agitò le vibrisse: scariche elettriche serpeggiarono sull’armatura dell'esoscheletro, senza danneggiarlo. Erik storse la bocca: la sua corazza era di materiale isolante, ma non sapeva quanto avrebbe retto prima che il campo elettrico che BR15-12 stava generando la perforasse.
Non attese oltre e caricò la bestia, investendola sul petto. Per lo slancio riuscì a sollevare il colosso fino a farlo rimanere ritto sulle zampe posteriori. L’Eyron lo cinse con gli arti anteriori, cercando di stritolarlo in una presa di acciaio. Erik se lo aspettava e piantò con forza l’ultimo stinger.
Fu Orredo ad avere un sussulto: metà braccio dell'esoscheletro era penetrato dentro BR 15-12.
Cosa diavolo…?
La corazza dell’Eyron era diventata molto più morbida, quasi fosse burro.
Non importa. Attivò anche il secondo stinger: la bestia non stramazzò come prima ma aumentò la stretta.
Il computer di bordo gli segnalò che la temperatura dell’Eyron era aumentata di almeno cinquecento gradi. L’unica spiegazione era che BR15-12 avesse provocato questo innalzamento. Il bastardo aveva deliberatamente superato il punto di Curie, condizione per la quale l’acciaio di cui era fatto perdeva le sue proprietà ferromagnetiche. La calamita più potente al mondo adesso non avrebbe avuto effetto sul mostro.
Ecco come era riuscito a sfuggire dalle recinzioni di accrescimento.
Il vero problema era un altro: gli stinger, uniche armi a a disposizione di Orredo, non erano più efficaci.
Erik cercò di liberarsi dalla presa, ma fu sbilanciato e schiacciato a terra. Sentì le zampe posteriori della bestia raschiargli le giunture del carapace, con il chiaro intento di squarciarlo. Martellò di pugni la fiera, ma era come colpire un muro di plastica; l’unico effetto sortito fu quello di far cadere dalle vibrisse detriti metallici e i resti dell’esoscheletro di Orselho. Quando vide la torcia al plasma gli venne un’idea. Se quella palla di ferro si era alzata di proposito la temperatura, lui avrebbe aumentato la posta in gioco: l’avrebbe fatta fondere!
Il plasma sfavillò, illuminando a giorno la nube di pulviscolo che si era addensata su di loro. Erik puntò la torcia sul muso del mostro, mentre con l’altro braccio cominciò a bruciargli i visceri.
La bestia sussultò e mollò la presa. Orredo non ebbe tempo di gioire: inerme, vide calare su di sé, come un maglio, una delle zampe anteriori del mostro. Nell’urto, l’artiglio si deformò come fosse fatto di gomma: a quella temperatura l’acciaio non era più rigido ma molle.
BR15-12 provò a scappare, ma Erik si sollevò da terra e lo seguì, inondandolo di plasma. Le articolazioni delle bestia si sciolsero e le zampe ormai squagliate non ne ressero il peso. Quando l’Eyron si afflosciò a terra, Erik si portò di fronte al muso e con un urlo liberatorio vi concentrò entrambe le torce. Si concesse un lungo respiro quando il cranio si sciolse, come ghiaccio al sole, ruscellando sul pietrisco della sponda. Solo allora tolse le mani, ormai spellate, dai comandi.
Dai resti semiliquefatti della bestia raccolse due pepite lucenti a forma di fagiolo, grandi come i pugni dell’esoscheletro: i nuclei di Lorentz.
Non avrebbe potuto reclamare tutta la taglia in peso di BR15-12, cui parte dell'acciaio si era dispersa sulla riva, ma era soddisfatto: quello era il lavoro da saldatore più remunerato della sua vita.
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