— Siamo troppo veloci! — esclamò David, che alla fine di un viaggio tanto tormentato non aveva nessuna voglia di rimanerci secco.

Le luci dell’abitacolo passarono da bianche a rosse, dando al pannello dei comandi un’aria spettrale, mentre la pioggia di metano sferzava sullo scudo esterno e sull’oblò, tracciando rivoli neri come la pece.

— Di questo passo ci schianteremo — insistette, e fissò il compagno accasciato sul sedile laterale. Angelo non era granché di aiuto.

— Vuoi dire qualcosa?

— Certo che è una sfortuna — commentò Angelo.

David gli lanciò uno sguardo sdegnoso.

— L’avaria ai retrorazzi — precisò il compagno — proprio ora che hai attivato la telecamera.

— Ma di cosa stai parlando? — ringhiò David. Ricurvo sui comandi, cercava di mantenere un assetto stabile ma era come impugnare un’anguilla. Il modulo ondeggiava in maniera caotica sotto le raffiche impetuose del vento. Si voltò nuovamente e sbottò: — Per una volta potresti alzare quel culo!

— Non è come te lo eri immaginato — riprese Angelo. — Tu, il grande astronauta, che metti piede su Titano e pianti la bandiera. Invece guarda cosa stai filmando: una situazione ridicola. L’allunaggio dell’Apollo 11 non fu così disastroso.

Una vibrazione inquietante si diffuse lungo le pareti imbottite, e subito le luci rosse si fecero intermittenti, a sottolineare che davvero qualcosa non andava. Poi gli strumenti aggrappati ai cavi che percorrevano il soffitto cominciarono a sibilare e a sbuffare. David sistemò gli occhiali sul naso, incurante del funzionamento o meno della telecamera incorporata, e ordinò: — Cristo, alza il culo!

— Sai che non posso farlo — rispose Angelo. — Quel malore mi ha piegato.

— È successo un mese fa!

Il modulo prese a ruotare lentamente, come a voler mostrare per intero l’abisso che li attendeva. Titano si avvicinava inarrestabile. Dall’oblò si distinguevano i laghi increspati di metano, sparsi qua e là tra il ghiaccio e i crateri da impatto. Il cielo era coperto, e l’orizzonte gonfio di idrocarburi. Con quell’inferno negli occhi, David supplicò: — Ti prego, non voglio morire.

Angelo, le braccia abbandonate sull’addome, sembrava tetraplegico. Vagò con lo sguardo tra i comandi poi finalmente propose: — Se i retrorazzi sono guasti, dovrai usare i propulsori laterali.

— In che modo? Non capisco.

— Inclina i propulsori verso il basso e azionali contemporaneamente. Rallenteranno la caduta tenendoti in asse.

— Non posso ruotarli tanto — si lagnò David, tuttavia fece come consigliato.

Il veicolo ondeggiò come un lenzuolo al vento, ma decelerò quanto bastava per evitare lo schianto. L’atterraggio fu comunque violento e lo scudo esterno gemette penosamente.

Sprofondato nello schienale, David restò immobile, temendo che il minimo gesto potesse infrangere le barriere che lo proteggevano. L’orecchio teso verso gli scricchiolii che seguirono. — Il modulo è andato — annunciò.

Angelo disse, come se niente fosse: — Pianterai la bandiera, adesso?

David lo guardò sconcertato.

— Hai fatto carte false per essere il primo a scendere, non è così? — fece notare il compagno. — Be’, ti hanno scelto.

— Ma hai capito cosa ho detto? — replicò David. — Non possiamo ripartire.

Angelo rivolse l’attenzione alle pareti, che continuavano a mandare rumori sinistri, e rispose: — Devi uscire subito, lo scudo esterno non reggerà. — Fece una breve pausa, quindi dichiarò: — Hai diritto al tuo momento di gloria. Sarai stremato ma non preoccuparti, io ti aiuterò. Pianterò la bandiera per te, se necessario.

Il panorama esterno sembrava intagliato in una tavola di mogano. Sul vetro dell’oblò, il metano colava come sangue in un film in bianco e nero. Angelo disse: — Sarebbe bello se tutto questo fosse un prato verde bagnato da una pioggia estiva.

David sibilò: — Perché fai così?

— Fidati di me — lo incoraggiò Angelo. — Sai che non ti farei mai del male, qualsiasi cosa ti spingessi a fare.

All’improvviso fu la quiete. Il vento non ululò più tra i metalli piegati e la foschia dal colore di ruggine si dissipò. Un uomo apparve in lontananza, camminava sul suolo di Titano in jeans e maglietta. Si avvicinò quanto bastava per farsi riconoscere: era Angelo, che fece cenno di raggiungerlo. Ai suoi piedi il ghiaccio divenne erba e il metano si tramutò in una pioggia d’acqua.

David si voltò sbalordito verso il sedile laterale, dove al posto del compagno trovò un sacco nero riverso sui braccioli. Tornò a guardare fuori e gridò: — Aspettami, Angelo, prendo la bandiera! — Corse quindi alla camera di equilibrio e oltrepassò la porta stagna.

Quando fu all’esterno, però, del prato verde e della pioggia estiva non c’era più traccia, restava solo l’inferno. David mise piede su Titano senza tuta protettiva, completamente indifeso in quel clima spietato. Fece un passo e parlò, ma il suono della sua voce si disperse in quel mondo alieno.

L’ultima cosa che la telecamera riprese fu la bandiera caduta ai suoi piedi.

***

Scout 2.0 ricevette una nuova destinazione dopo tanto tempo.

Un ronzio ovattato annunciò il ripristino dei circuiti elettrici, mentre alcuni brontolii sommessi anticiparono i primi movimenti. L’occhio in facciata si sporse come un tentacolo di lumaca, preparandosi a immortalare nuove immagini di Titano.

Boy Scout era pronto.

Si sollevò sugli arti metallici, scintillanti debolmente alla luce ocra in quell’atmosfera densa e rugginosa, poi avviò le ruote cingolate e cominciò il viaggio.

Gli ci vollero due giorni per arrivare al modulo precipitato. A una ventina di metri da esso scattò le prime fotografie, avanzando gradualmente verso il punto d’impatto.

— E così, David è impazzito — asserì Moretti, il direttore generale dell’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea. Aveva indetto la riunione in fretta e furia, consapevole di essere il solo a non conoscere con esattezza i fatti.

Bennet, il vice direttore, annuì. — Dopo la morte del suo compagno Angelo — comunicò — avvenuta per infarto un mese prima di arrivare a Titano, David ha interrotto ogni contatto. Ha avvolto il cadavere nell’apposito sacco e lo ha sistemato sul sedile laterale.

— Dove Boy Scout lo ha trovato — si intromise Blaskowitz, l’ingegnere capo. Posò sul tavolo una fotografia che immortalava la macabra scoperta e aggiunse: — Non so come David abbia sopportato la puzza del corpo.

Boy Scout? — domandò Moretti.

Scout 2.0 — specificò Blaskowitz — uno dei primi rover inviati su Titano. Era fermo da anni, ma si trovava abbastanza vicino al luogo dello schianto. Abbiamo pensato di utilizzarlo per documentare quello che è successo. Boy Scout ha anche recuperato il filmato dell’atterraggio, preso dalla telecamera che David portava sugli occhiali.

Sì, capisco — fece Moretti, sollevando con riluttanza la foto.

Bennet riprese: — David parlava col morto, lo abbiamo visto nel filmato. Era un uomo malato e la solitudine lo ha reso delirante.

Il primario della divisione medica tamburellò sul tavolo a disagio. Disse: — Pare che ci abbia nascosto alcuni casi di schizofrenia presenti nella sua famiglia. David era anche un uomo molto ambizioso.

Moretti lo fulminò con gli occhi: — La salute degli astronauti dovrebbe essere la priorità.

Nessuno poteva immaginare questo epilogo — si difese il medico. — David ha superato perfettamente i test clinici.

Anche il suo compagno — tagliò corto Moretti — eppure ha avuto un infarto. — Si rivolse a Blaskowitz. — Cos’ha provocato l’incidente?

Un’avaria ai retrorazzi — rispose l’ingegnere. — Ma David non è morto per lo schianto.

Ah, no?

Niente affatto, è sopravvissuto. — Blaskowitz mostrò un’altra fotografia. — Solo che poi ha preso la bandiera ed è uscito senza tuta protettiva.

Ma è tremendo! — esclamò Moretti, fissando la foto del corpo congelato di David.

Blaskowitz si strinse nelle spalle. — Sarebbe morto di lì a poco comunque.

— Perché?

— L’atterraggio ha danneggiato lo scudo esterno e i serbatoi hanno inondato l’abitacolo di gas propellente.

Il vice direttore Bennet commentò: — David non ha avuto il tempo di indossare la tuta, ma sarà comunque ricordato come il primo uomo che ha camminato su Titano.

Moretti sospirò. — Una bella soddisfazione, per quanto di breve durata.

La riunione terminò con l’amaro in bocca, e il direttore e il suo vice scesero nei giardini dell’agenzia. Era una tiepida mattina di fine estate, il cielo era sereno. Non si poteva dire lo stesso dell’espressione di Bennet.

Moretti disse: — Perché ho la sensazione che ci sia dell’altro?

Bennet continuò a camminare con gli occhi puntati sul viale. — Difatti è così — rispose. — Ma non era il caso di affrontare certi argomenti in una riunione ufficiale. Blaskowitz la pensa come me. Mi ha detto chiaro e tondo che non avrebbe aggiunto altro, nel rapporto.

Ebbene? — lo incalzò Moretti. Non era abituato a ricevere le informazioni dopo il suo vice e la cosa lo infastidiva.

Bennet mormorò: — David parlava col morto.

— Sì, questo l’ho capito!

— Sembrava convinto che Angelo, il suo compagno, fosse uscito e lo chiamasse dall’esterno. Si direbbe che il suo amico immaginario lo volesse fuori prima che il propellente potesse ucciderlo.

Moretti lo scrutò di sbieco. — Stiamo ancora parlando di pazzia?

Bennet sospirò. Aggiunse: — Pare che il delirio lo abbia spinto a morire in gloria, da “primo uomo su Titano”, e non all’interno del modulo come un topo in gabbia.

Una leggera brezza sollevò le foglie degli aceri cadute sul vialetto, a ricordare che l’autunno era alle porte.

— Allora il caso è risolto — suggerì Moretti.

— Uhm — fece Bennet.

— E allora perché ha l’aria tanto perplessa?

Bennet assunse un’aria tetra. — La bandiera — disse.

— Cosa? — chiese Moretti.

— Quando Boy Scout è arrivato sul posto, la bandiera si trovava a dieci metri dal cadavere di David, non ai suoi piedi, come mostra l’ultima scena del filmato.

Moretti indicò le foglie mosse. — Be’, sarà stata spazzata via dal vento — suppose.

Bennet tirò fuori dalla giacca un’ultima fotografia. — Era perfettamente piantata nel terreno.

Moretti sollevò la foto. — Misericordia!