Guardando la serie di corti italiani selezionati dal Science+Fiction, si può confermarlo: se c'è un problema, non sta nella qualità delle immagini. La messa in scena è spesso grandiosa, come il sound design, senza parlare di alcune scenografie che fanno sgranare gli occhi.
The 21th sense è ambientato in un futuro in cui l'umanità ha fatto salti scientifici enormi e riesce a comunicare con le piante, di cui hanno scoperto e classificato venti sensi. Cosa succederà scoperto il ventunesimo? Un soggetto fantasioso e intrigante sviluppato in immagini pulite.
Le abiuratrici di Antonio de Palo ci tuffa in un immaginario orwelliano, in cui il pensiero unico lavora per far accoppiare solo soggetti "positivi", separandoli dai parter "negativi". Le donne che scelgono per amore di stare con un negativo sono considerate "abiuratrici irreversibili". Brava Valeria Solarino e ottime idee visive, con un vago sentore di Gattaca. Dei dialoghi invece parleremo alla fine.
Buoni spunti anche in Anemone e Apollo 18, ma L'elemosina – nonostante l'indubbio impegno messo da Iaia Forte e le tante idee scenografiche – ci fa riflettere su come molte volte il vero problema dei corti italiani siano i dialoghi. Infatti parte della produzione è muta o in inglese. Quando però si sceglie la nostra lingua, l'effetto fiction è dietro l'angolo.
Guinea Pig ci conferma anche che la distopia va forte, in questo 2020. Curioso.
Come in cielo, così in terra del regista bergamasco Francesco Erba ci attira da subito per il suo approccio originale, che mescola found footage e animazione in stop motion. Il film è composto da tre storie, su tre diverse linee temporali, che finiranno ovviamente per intrecciarsi rivelando un'origine comune. Un'antica abbazia medievale, di cui nel presente rimangono solo dei ruderi, nasconde tra le sue pietre segreti antichi ma ancora vivi e pericolosi.
La costruzione a mo' di puzzle è intrigante anche se forse a volte confonde. L'animazione in stop motion è intensa, delicata e riesce a trasportarci nell'atmosfera oscura di un Medioevo misterioso, tra celle che imprigionano fanciulle innocenti, amanuensi e frati alchimisti.
Anche l'utilizzo di espedienti narrativi diversi è interessante ma qui forse si eccede un tantino nel saltellare tra found footage, bodycam della polizia, riprese in oggettiva e in soggettiva, creando un senso disturbante di disordine che impedisce di farsi veramente coinvolgere nella storia.
Ma la sensazione di smarrimento aumenta a dismisura di fronte alla solita scrittura dei dialoghi, che navigano in un limbo tra soap opera e recita dell'oratorio. Uno dei commenti in chat si pone la domanda se far parlare gli attori con cadenza dialettale o in “doppiatorese” (cit.). Un pensiero ci solca la mente: perché non limitarsi al corto animato? Quello è una vera bomba.
Lapsis ci conquista ancora prima di iniziare quando conosciamo l'adorabile regista Noah Hutton, che imputa la sua impossibilità di partecipare di persona al festival non alla pandemia globale ma un grave problema di conigli nel suo giardino.
Il mondo in cui ci trasporta la pellicola non è poi così diverso dal nostro, e non è un complimento. Lo scenario è quello di un modello economico (la cosiddetta gig economy) basato sul lavoro a chiamata, occasionale e temporaneo, praticamente privo di garanzie contrattuali. Ritroviamo tutte le nostre paure e frustrazioni lavorativo-economiche, a cui abbiamo avuto parecchio tempo per pensare negli ultimi mesi.
Ray, un simpatico ragazzone dall'aria gangster anni '70, spinto dalla necessità di mantenere se stesso e il fratello minore malato, accetta un lavoro un po' insolito: tirare dei cavi nel bosco per collegare grandi cubi metallici che servono per una rete di computer quantistici. Nessun salario di base, nessuna garanzia, nessuna copertura sanitaria ma… hey, cosa vuoi pretendere? Sembra comunque grandioso: come recita il volantino di una multinazionale “well paid jobs… and a breath of fresh air!”.
Ma ben presto Ray si trova a fare i conti con una condizione lavorativa ipercontrollata e con droni che gli svolazzano sopra tutto il santo giorno. L'alleanza e la progressiva amicizia con una collega più esperta lo porta in contatto con una rete di cablatori attivisti che sperano di costringere l'azienda a un trattamento migliore dei suoi lavoratori.
Questa pellicola è una piacevole miscela di ambientazione pastorale, slapstick e critica socio-politica, che trova ulteriore linfa nell'ottima caratterizzazione dei personaggi. L'unica nota forse un po' stridente è l'happy ending. Il regista però ci aveva avvisato: il mondo descritto è ricco di riverberi del nostro mondo, ma non è per forza il nostro.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID