Con Davy l'Eretico, Edgar Pangborn ha regalato alla fantascienza alcune delle pagine più belle, profondamente poetiche e nobili della storia della SF. La materia narrativa sotto l'abile penna di E. Pangborn diventa motivo di indagine psicologica e sociale del mondo, un mondo tribale che ha le sue regole e che sono quelle di una civiltà che ha visto la Terza Guerra Mondiale, una guerra atomica ovviamente, e che trova un barbaro sfogo alle sue insicurezze nel pregiudizio e nel razzismo, nella paura di confrontarsi con il prossimo, con la scienza e la cultura in genere.
Davy l'Eretico di E. Pangborn per certi versi ricorda un altro grande romanzo, The Incredible Tide di Alexander Key, ma il costrutto narrativo di Pangborn è ben più articolato e disciplinato di quello di Alexander Key: per Pangborn il conflitto atomico che ha ridotto l'umanità ad una condizione di semibarbarie è solo una scusa per affrontare a viso aperto le molteplici contraddizioni della società americana degli anni Sessanta e non solo un motivo per dar corpo ad una avventura sapientemente costruita. Davy è un Eretico, è un giovane che nonostante la cultura che gli è stata inculcata non si arrende alla volgarità del suo tempo; Davy da subito comprende di essere diverso, che la sua vita è segnata dal libero arbitrio e che la sua strada è il mondo, un mondo che è tutto da conoscere e riscoprire. Diventa ben presto un ateo, un onesto dongiovanni, un gentiluomo, un piccolo uomo coraggioso che non ha paura di esporsi nella società per dichiarare la sua diversità, la sua sete di conoscenza. La Chiesa ha preso il controllo delle masse, ha rinnegato tutto quanto di buono e di cattivo il passato ha saputo produrre: la società è rozza, ha i suoi schiavi e pochi bennati che dettano legge insieme ai preti. Tutto questo Davy non lo può accettare passivamente ma sa riconoscere anche che non può affrontare il suo tempo da solo; spinto dalla voglia di conoscere il mondo, di combatterlo con l'intelligenza, si spinge fino ai margini di un New England contaminato da personaggi picareschi, da aborti umani, i mu, da fiere assetate di sangue, e alla fine diventa un "eretico" perché è l'unico modo per essere un uomo libero.
Davy è un uomo di trent'anni quando noi lo conosciamo, ma fulminanti flashback lo riportano indietro con la memoria: si ricorda così di quando era poco più di un bambino, poi un adolescente, i primi amori, le prime delusioni, le prime lotte per sopravvivere... Davy ricorda tutto senza ipocrisia, senza pateticità: non nega di aver nutrito dei sentimenti di paura nei confronti dei mu così come non nega le mille contraddizioni che lo hanno accompagnato e fatto maturare. Pangborn descrive il passaggio dall'adolescenza all'età adulta di Davy con rara efficacia: ogni personaggio tratteggiato da Pangborn ha una sua storia e la storia di Davy si mischia con perfetto sincronismo nel tessuto narrativo delle avventure dei personaggi incontrati sulla strada dall'Eretico.
In questo romanzo Pangborn non si scomoda a descrivere com'era il mondo prima della guerra atomica, non ci descrive macerie, non ci annoia con stupide rappresentazioni apocalittiche del conflitto mondiale, piuttosto ci descrive con brevi istantanee fotografiche il tempo che fu con una vaga incertezza sfumata di poesia filosofica, un tempo che è comunque impossibile recuperare. Davy si rende conto che il tempo che fu, le sue meraviglie, i suoi orrori, non possono essere restaurati nel tempo di una generazione: ormai il mondo è qualcosa di barbaro, la morte è un fatto reale ed ineluttabile e la lotta per la sopravvivenza una necessità giornaliera. Eppure Davy impara a scrivere l'inglese, impara ad ascoltare la sua gente e le storie che ricorda: è così che Davy comprende che l'umanità potrà forse risorgere fra mille anni, ma questa non potrà essere uguale a quella andata perduta. Davy non sa come sarà la società quando lui non sarà più vivo, ma sa che la Terra non può essere piatta, sa che la religione è l'oppio per i poveri, sa che l'amore è l'unica medicina in grado di curare il suo crudele tempo; e Davy si adopera a dispensare amore fino alla fine, fino alla fine nonostante tutto.
The golden horn (A war of no consequence) di Edgar Pangborn è un romanzo perfetto che ha la profonda maturità del nostro Italo Calvino e la magia poetica-filosofica della letteratura non di genere. Pangborn era un profondo conoscitore dell'animo umano e questo indaga nel suo romanzo, si può tranquillamente asserire che trattasi di un romanzo che non teme il tempo né il miglior William Golding. E' un vero peccato che Pangborn non abbia mai vinto un premio Hugo o Nebula: ma forse è stato meglio così, perché l'autore era un po' un misantropo che si teneva lontano dai circoli letterari e che scriveva perché aveva da dire al mondo qualcosa di veramente importante, e lo ha dimostrato con questo romanzo, Davy l'Eretico, un autentico capolavoro stilistico e di contenuti che ci fa sembrare ridicoli molti autori moderni, contemporanei, che hanno ridotto la fantascienza a un vile contenitore di impossibili tragedie umane, futuri virtuali e effetti speciali letterari che non sono né carne né pesce ma solo fumo negli occhi dei lettori.
Davy l'Eretico è un romanzo che raccomando a chi ha ancora voglia di leggere qualcosa di serio e non di banale. L'edizione italiana di The golden horn (A war of no consequence) è nella bellissima traduzione di Viviana Viviani, che ha tradotto mirabilmente il capolavoro di Edgar Pangborn rispettandone la poesia e lo stile incisivo.
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