Chi mastica fantascienza non è nuovo all’idea di una inversione dell’entropia, concetto alla base dell’ultimo film di Christopher Nolan, Tenet. L’entropia, collegata alla seconda legge della termodinamica, è la responsabile dell’asimmetria della freccia del tempo, per cui ricordiamo il passato ma non il futuro, è inutile piangere sul latte versato e non è possibile rimettere il dentifricio nel tubetto una volta uscito. È un processo irreversibile che condanna l’universo alla crescita del disordine, ciò che Philip Dick chiamava la palta (“kipple”), che aumenta mentre dormiamo, fino alla morte termica, il momento in cui la degradazione dell’energia dell’universo raggiungerà un livello tale che nessun processo fisico potrà più verificarsi e persino il tempo cesserà di avere alcun senso.
È un topos della fantascienza abbastanza rodato, che si fonda sul nostro intimo desiderio di sfuggire all’ineluttabilità del passato e al destino che attende tutti gli esseri viventi. Per capire se sia possibile invertire la freccia del tempo, è necessario comprendere perché l’entropia ne sia responsabile. Difatti, la fisica alla scala fondamentale è simmetrica per inversione temporale: le particelle fondamentali rispettano la simmetria CPT, secondo cui invertendo la carica C, la parità P (trasformando le particelle destrorse in sinistrorse e viceversa) e la direzione del tempo T, la fisica resta la stessa. Nemmeno la teoria della relatività identifica il tempo come aspetto fondamentale: esso è relativo al sistema di riferimento e, peraltro, prevede in linea teorica l’esistenza di segnali che si muovono alla velocità della luce in grado di procedere indietro nel tempo (segnali anticipanti), anche se probabilmente si tratta solo di una possibilità matematica.
Viceversa, nel mondo quotidiano la seconda legge della termodinamica gioca un ruolo dominante. Secondo tale legge, un qualsiasi processo fisico è destinato a dissipare parte della sua energia sotto forma di radiazione termica inutilizzabile, per cui inesorabilmente finirà per raggiungere uno stato di equilibrio termodinamico in cui non sarà più possibile estrarre lavoro dall’energia immessa. L’equilibrio termodinamico è ciò a cui tendono tutti i sistemi chiusi: per evitarlo, dobbiamo immettere energia dall’esterno, come accade con il Sole per la Terra. Ma l’universo è un sistema chiuso per eccellenza, non essendoci nulla al di fuori di esso. Ne consegue che prima o poi raggiungerà l’equilibrio termodinamico, ossia la morte termica.
Esistono diverse interpretazioni della seconda legge della termodinamica, o meglio della quantità che misura, l’entropia. La più nota considera l’entropia come disordine. Questa interpretazione è legata alla formulazione di Ludwig Boltzmann, che per primo elaborò una formula per l’entropia che si basa sulle configurazioni microscopiche di un sistema. Immaginando un bicchiere di tè freddo con un cubetto di ghiaccio all’interno, il sistema passa da uno stato di bassa entropia in cui la temperatura del tè è quasi tutta concentrata nel cubetto di ghiaccio, a uno stato di massima entropia in cui, scioltosi il cubetto, la temperatura è omogenea in tutto il bicchiere. Lo stato di minima entropia è più ordinato, perché i microstati che compongono il tè (le sue molecole) si trovano in uno stato di ordine dato dal fatto che il macrostato che producono (la temperatura) si trova in una configurazione molto ben strutturata e ordinata; quando invece il cubetto si scioglie, il macrostato resta uguale ma ora la configurazione di microstati che lo determinano è molto più caotica, perché non c’è più una struttura precisa. Questo processo è irreversibile ed esprime una freccia del tempo precisa, dal passato al futuro: non vediamo mai il cubetto di ghiaccio riformarsi spontaneamente. Ciò perché la seconda legge della termodinamica è di tipo probabilistico: le configurazioni ad alta entropia sono molto più probabili di quelle a bassa entropia, per cui i sistemi tendono sempre verso la configurazione di microstati più probabile.
Ma proprio perché abbiamo a che fare con delle probabilità, esiste sempre la possibilità che il processo si possa invertire. Il primo a rendersene conto fu Henri Poincaré, che calcolò il tempo di ricorrenza, cioè l’intervallo che occorre perché si ripristini spontaneamente la configurazione di minima entropia di un sistema. Questo tempo, anche per un sistema macroscopicamente piccolo, come un contenitore di pochi centimetri cubi di gas rarefatto, è di molto superiore all’età dell’universo. Possiamo dunque essere ragionevolmente certi che non vedremo mai niente del genere nel corso della nostra vita, anche se quando si ha a che fare con le probabilità non si può escludere una fluttuazione statistica che renda possibili processi temporanei di inversione dell’entropia. A oggi, comunque, non li abbiamo mai visti, per cui siamo sicuri che siano davvero molto improbabili.
In Tenet viene citato Richard Feynman e la sua ipotesi della causalità inversa. Quando vennero scoperti i positroni, cioè le antiparticelle degli elettroni, l’ipotesi di Feynman, sulla base della simmetria CPT, fu di considerare i posiutroni come elettroni che si muovono indietro nel tempo. Quest’idea fu esplorata da Feynman insieme al suo mentore John Wheeler nel corso degli anni Cinquanta, con l’obiettivo di elaborare un’alternativa alla teoria quantistica dei campi che si stava sviluppando in quel periodo per coniugare meccanica quantistica a relatività speciale. Nella teoria quantistica dei campi, le particelle sono eccitazioni di un campo e le loro interazioni avvengono all’interno del campo di energia. La loro proposta era di eliminare i campi e interpretare la fisica fondamentale in termini di interazioni dirette tra particelle. Scoprirono però che l’unico modo perché la teoria funzionasse era di immaginare che le particelle possano scambiarsi segnali indietro nel tempo, così da spiegare i processi di interferenza simultanea che si osservano negli esperimenti. A un certo punto Wheeler saltò su con l’idea che la causa di tutto ciò fosse che tutti gli elettroni dell’universo non siano altro che un’unica particella che viaggia continuamente avanti e indietro nel tempo, dando l’impressione che esistano innumerevoli particelle gemelle. La cosa non tornava, osservò Feynman, perché bisognerebbe ipotizzare che esistano tanti positroni quanti sono gli elettroni, cosa smentita dall’osservazione. Oggi sappiamo che esiste un’asimmetria nell’inversione per parità che è responsabile della predominanza di materia sull’antimateria, per cui la teoria di Wheeler non poteva funzionare. Feynman divenne poi uno dei principali teorici dell’elettrodinamica quantistica – la formulazione più solida della teoria quantistica dei quanti – che gli valse il Nobel.
A ogni modo, la causalità inversa di Feynman agisce a livello quantistico, mentre l’entropia è un fenomeno della fisica classica, cioè di quella valida alla nostra scala. Quindi difficilmente questo meccanismo potrebbe essere chiamato in causa per l’inversione dell’entropia. Per comprendere quali altre opzioni abbiamo, dobbiamo comprendere l’origine della freccia del tempo. Il fatto che essa distingua tra passato e futuro impedendo la reversione dei fenomeni avvenuti nel passato si spiega, lo abbiamo detto, col fatto che ogni sistema isolato tende a raggiungere la configurazione più probabile dei suoi microstati. Ma affinché ciò possa avvenire in un sistema chiuso come l’universo, dobbiamo pretendere che l’universo stesso sia nato da uno stato di minima entropia, cosicché la freccia del tempo non si sia mai invertita per tutti i 14,8 miliardi di anni che ci separano dal Big Bang. L’entropia dipende quindi da ragioni cosmologiche e una sua inversione non può che verificarsi su scala cosmologica.
Da qui due proposte particolarmente interessanti. La prima è stata avanzata da Hermanm Bondi, Thomas Gold e Fred Hoyle, i sostenitori della teoria dello stato stazionario che, nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, fu considerato il modello cosmologico più convincente, finché le prove a favore del Big Bang la consegnarono alla storia delle teorie sbagliate. In questo modello l’universo è statico e viene continuamente creata materia per compensare la riduzione della densità prodotta dall’espansione cosmica. La loro ipotesi, sostenuta anche dopo che il modello dello stato stazionario è stato abbandonato, è che l’universo, raggiunto un livello massimo di espansione, sia destinato a contrarsi per effetto dell’attrazione gravitazionale. Entrerebbe quindi in una fase di contrazione opposta all’espansione e qui la direzione della freccia del tempo si invertirebbe, scorrendo in senso inverso. Tuttavia, al momento i dati osservativi sostengono che l’universo sia destinato a espandersi indefinitamente, per cui l’ipotesi di una contrazione non sembra molto convincente.
La possibilità di una inversione dell’entropia in un universo ciclico, che passi cioè da una fase di espansione a una di contrazione in modo ciclico, è stata esplorata fin dai primordi della cosmologia, quando vennero trovate le prime soluzioni alle equazioni di campo della relatività generale di Albert Einstein. Fu però osservato che, in un universo ciclico, l’entropia non farebbe che aumentare da un ciclo a un altro, cosicché non assisteremmo a un processo di inversione in grado di diminuire l’entropia complessiva.
Roger Penrose ha proposto una variante di modello ciclico con la sua teoria della cosmologia ciclica conforme. La sua idea si basa sul fatto che l’aumento dell’entropia nell’universo sia dovuta principalmente all’attrazione gravitazionale. In particolare, quando si formano i buchi neri e la materia e l’energia vengono progressivamente risucchiati oltre il loro orizzonte degli eventi, questi corpi accumulano un’enorme entropia. Per capire il perché, può essere utile richiamare un altro modo di considerare l’entropia: una misura dell’informazione. In particolare, come ha dimostrato Claude Shannon, un segnale strutturato che può essere isolato dal rumore di fondo in un processo di trasmissione dell’informazione contiene un’entropia minima, perché si trova nella configurazione più ordinata possibile. Il rapporto tra entropia e informazione è dunque inversamente proporzionale: quanta più informazione riusciamo a ottenere, tanto più bassa è l’entropia.
Ora, un buco nero contiene pochissima informazione su ciò che ci casca dentro. Di fatto, quando vediamo un buco nero non siamo in grado di ricostruire nulla sul suo passato: era una stella? Che tipo di stella? È nato dalla fusione tra due buchi neri? O magari tra un buco nero e una stella di neutroni? Cosa ci è finito dentro? Pianeti, nebulose, altre stelle? Non ci è dato saperlo. L’unica informazione che possiamo estrarre dal buco nero riguarda la sua massa, la sua carica e il suo momento angolare. Tre soli parametri, secondo il teorema no-hair, a cui possiamo aggiungere la sua temperatura: questo perché, dal momento che possiamo estrarre poca informazione dal buco nero, allora significa che l’entropia è molto alta. Un buco nero ha un’enorme entropia e quindi ha anche una sua temperatura.
Il fatto che l’entropia sia legata alla gravità – ricordiamo infatti che i buchi neri sono il prodotto di una contrazione gravitazionale infinita di una stella massiva – significa, secondo Penrose, che ciò che caratterizzava il Big Bang e forniva a questa singolarità all’inizio del tempo il suo stato peculiare di minima entropia è proprio il fatto che al Big Bang non esisteva gravità, per cui l’entropia era ridotta al minimo (ipotesi della curvatura di Weyl). L’idea di Penrose è che in un futuro molto remoto, quando tutti i buchi neri saranno evaporati per effetto della radiazione di Hawking (dovuta alla temperatura dei buchi neri, e quindi al fatto che irraggiando radiazione sono destinati, seppur su tempi lunghissimi, a evaporare), non resteranno nell’universo che particelle prive di masse, come i fotoni. Per una particella priva di massa il tempo non esiste, di conseguenza nemmeno lo spazio. Una condizione del tutto simile a quanto era avvenuto all’istante del Big Bang, in cui l’enorme energia cinetica prodotta dall’esplosione ha reso pressoché insignificanti le masse a riposo delle particelle primordiali. Esisterebbe quindi una simmetria tra l’universo del remoto futuro e l’universo del Big Bang: sufficiente a sostenere che questi due stati coincidono, per cui la fine di un universo coincide con l’inizio dell’altro. In questo processo, l’entropia alla fine dell’universo si azzera per effetto della scomparsa della gravità. Ma questa inversione della freccia del tempo, che consentirebbe a un altro eone cosmico di nascere dalle ceneri del precedente, si verificherebbe comunque in un’epoca dell’universo in cui non ci sarà nessun osservatore a verificarne gli effetti.
In conclusione, i fisici non conoscono, a oggi, modi per invertire l’entropia come in Tenet, anche se non si può escludere, in via di principio, che qualche fenomeno fisico ancora sconosciuto possa produrre una tale inversione in futuro. È possibile, secondo alcuni modelli, che una simmetria temporale viga anche nella seconda della legge della termodinamica, ipotizzando che esista un universo speculare al nostro in cui il tempo scorra al contrario. Ma in ogni caso si tratterebbe di un piano della realtà a cui non potremmo accedere per definizione, dato che non possiamo conoscere nulla di ciò che esiste al di là dell’universo. Sempre se non parliamo di fantascienza…
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