In una Londra di un 1982 alternativo, la guerra delle Falkland si è conclusa con la sconfitta dell'Inghilterra e i quattro Beatles hanno ripreso a calcare le scene. Anche Alan Turing è scampato alla morte precoce, e i suoi studi hanno reso possibili alcune delle conquiste tecnologiche di questi «altri» anni Ottanta, dalle automobili autonome ai primi esseri umani artificiali. Fra chi non resiste alla tentazione di aggiudicarsi uno dei venticinque prototipi esistenti nel mondo, dodici Adam e tredici Eve, c'è Charlie Friend. Charlie compra una macchina dotata di un corpo e una coscienza propri: è l'androide Adam, creato dagli uomini a loro immagine e somiglianza. Charlie è convinto che Adam, capace in tutto, gli sarà di grosso aiuto con Miranda, la giovane vicina del piano di sopra. Il primo non-uomo ha accesso a tutto quello che si può sapere, dalla soluzione del problema matematico P e NP, all'influenza di Montaigne su Shakespeare, fino al modo di vincere le resistenze di Miranda e penetrarne il segreto. Un segreto complicato e doloroso che, quando emerge, pone ciascuno di fronte a un dilemma etico lacerante: in cosa consiste la natura umana?
La legge piú inviolabile dell'androide recita: «Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno». E per un'intelligenza artificiale tanto sofisticata da anteporre la coscienza alla scienza, il concetto di danno può essere piú profondo e micidiale di quel che appare.
Ian McEwan con Macchine come me (Einaudi) scrive il suo ennesimo capolavoro, dimostrando di sapere gestire qualsiasi genere, portandolo a vette inimmaginabili.
Questa volta si cimenta con l'ucronìa (racconto basato sul presupposto che la storia del mondo abbia seguito un corso alternativo rispetto a quello reale). Il suo punto di forza è sempre stata la capacità di unire in maniera ineccepibile la grande scrittura tipica del mainstream con i contenuti emozionanti dei generi commerciali. Pur arrivando da origini drammatiche, con capolavori come Espiazione, non ha esitato a inglobare nei suoi romanzi il giallo e la fantascienza. Anche in questo caso tutto funziona alla perfezione. Ci si ritroveranno bene dentro i puristi amanti delle storie ben costruite, essenziali. Non troverete una riga superflua in queste pagine, dalla trama alla costruzione dei personaggi, pochi ma eccezionalmente ben delineati. E, ovviamente la scrittura, fatta di dialoghi perfetti al millimetro, di analisi filosofiche improvvise ma mai fuori luogo.
Ma anche per i cultori della fantascienza con la F maiuscola si apriranno terreni inesplorati, mostrando loro quanto abbia ancora da dire un genere che tante emozioni ci ha dato ma che indubbiamente avrebbe bisogno di uno svecchiamento alle luci delle contaminazioni più recenti.
Già autori come Jeff Vandeermer da anni portano avanti questa bandiera, purtroppo seguiti solo da un pugno di coraggiosi e intrepidi autori. McEwan dimostra di saper usare il genere solo come spunto per poter parlare poi di argomenti ben più importanti, dal limite filosofico di ciò che intendiamo oggi per coscienza, alle aspre critiche al capitalismo sino ai brani scientifici, vere chicche per precisione e divertimento. Se un altro autore avesse gestito tutta questa quantità di materiale mi sarei addormentato dopo 30 pagine, come spesso mi accade con tutti i “nuovi” scrittori in circolazione.
Ma d’altronde, visto che il genio non nasce spesso di questi tempi, come si dice, gallina vecchia fa buon brodo…
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