C'era una volta Dan O'Bannon, sceneggiatore e tecnico degli effetti speciali appassionato di fantascienza che, dopo aver scritto Dark Star (il film di esordio di John Carpenter dove l'equipaggio di una astronave deve risolvere i dubbi esistenziali di una bomba) si mise a lavorare ad un nuovo progetto. “Sapevo di voler fare un film horror su una nave spaziale con pochi astronauti a bordo, una sorta di Dark Star in chiave horror invece che comica”, diciarò agli albori di quello ce poi sarebbe diventoato il film Alien.
Dopo partenze e ripartenze, tra cui la sua partecipazione al progetto Dune di Jodorowsky, durante il quale incrociò H.R. Giger e i suoi disegni disturbanti che poi avrebbe usato, il progetto di Bannon ottenne luce verde e quindi venne assegnato ad un regista quasi esordiente: Ridley Scott, che dichiarò di voler girare una specie di "Non aprite quella porta fantascientifico".
E sulla locandina del film comparve la frase: “Nello spazio nessuno può sentirti urlare”.
La saga di Alien era nata all'insegna dell'horror.
E i temi dell'horror trasferiti nell'ambientazione fantascientifica ci sono tutti: l'alieno che assale e uccide senza alcuna apparente motivazione o spiegazione, così come il male puro è privo di spiegazioni razionali. L'alieno che possiede gli astronauti senza che essi possano reagire in maniera efficace, una volta che si svegliano uscendo dal ventre di Mother (il computer che li custodisce nel criosonno), la possessione che invade e feconda gli astronauti generando nuovi inspiegabili mostri, e la resistenza dell'eroina Ripley, unica nota di speranza, anche se la possessione diventa pesante fardello proprio per lei che se ne dovrà fare carico negli altri episodi, venendo non creduta quando cercherà di mettere in guardia militari e compagnie sul pericolo di affrontare il male secondo logiche belliche (Aliens) costretta a difendere un simulacro di figlia (Newt) scontrandosi da madre a madre con la regina aliena per poi trasformarsi in madre dell'alieno a sua volta portando la propria femminilità e maternità in un ambiente solo maschile che la rigetta e la spinge a sacrificarsi alla fine pur di non dare vita ad altri alieni (Alien 3).
Ma la superbia dell'essere umano che non crede alla possibilità di un male assoluto, e pensa di poterlo controllare e piegare ai propri fini, la riporta in vita per poterla usare come arma, facendole avere la conferma del peggiore dei suoi incubi: ora lei è tutt'uno con il male, con una mostruosità inspiegabile dalla scienza umana così come sono mostruosi i cloni di se stessa che incendia nel quarto episodio (Alien: La Clonazione)
Mentre la storia di Ripley si svolge lungo gli episodi dietro la macchina da presa, dopo Ridley Scott si avvicendano James Cameron, David Fincher e Jean-Pierre Jeunet, ed ognuno vi mette la propria specifica firma autoriale.
Ridley Scott, dal canto suo, si dedica al proprio percorso artistico fino a voler tornare sulla saga nel 2012, assecondando una delle più discutibili mode di Hollywood: i prequel. Il film è Prometheus.
Titolo carico di significati: Prometeo è colui che porta la proibita conoscenza del fuoco agli umani e ne subisce le conseguenze punitive. Ma è proprio qui che, per dirla nel gergo degli addetti ai lavori, la saga “salta lo squalo” (ricordate l'episodio di Happy Days dove Fonzie saltava uno squalo che tutti additano come il momento in cui è iniziata la parabola discendente della serie) perché l'intenzione di Scott è darci una spiegazione.
Nei film abbiamo avuto modo di conoscere e comprendere i meccanismi biologici degli xenomorfi, e ogni volta sono riusciti a farci paura, a dimostrarsi anche fin troppo malvagi, perfino nel film del crossover con Predator dove riescono addirittura ad infettare la razza aliena avversaria.
Cosa si propone di spiegare Ridley Scott? Chi ha creato gli xenomorfi e perché?
Ovvero chi ha creato il male assoluto, cieco (gli xenomorfi non hanno occhi) e incomprensibile per un essere umano?
Sperando forse che comprendendone l'origine riusciamo ad accettarlo o addirittura a convertirlo, usarlo, sconfiggerlo? Impossibile.
Nella cultura religiosa e metafisica dei popoli è spesso presente la possessione demoniaca, e il demone possiede non per ragioni logiche, ma perché è la sua natura e basta.
E se a questo concetto si associa il desiderio della vita eterna, ovvero lo scopo che spinge Weyland a ricercare il contatto con gli Ingegneri (la razza costruttrice della colossale astronave vista nel primo episodio), davanti a noi si apre l'intero campo della metafisica.
Vogliamo fermarci un attimo a riflettere sulla vita di Ridley Scott, che è sopravvissuto sia al fratello maggiore (Frank, morto di cancro) che al suicidio del minore Tony Scott?
Vogliamo forse pensare che questi eventi possano aver influenzato l'anziano regista nel cercare tuna elaborazione/risposta ad un male incomprensibile attraverso la saga che sente più sua?
Ma la deriva che Alien prende nei prequel voluti da Scott piuttosto che di metafisica sa di annacquato.
Ci troviamo a seguire la fascinazione del sintetico David nei confronti degli xenomorfi, come se il nuovo gradino dell'evoluzione umana si sentisse tentato proprio dallo sperimentare/conoscere il frutto proibito dell'albero del bene e del male tanto da scatenare l'apocalisse aliena.
Comodo, però, assegnare all'altro da noi, al sintetico, l'impulso autodistruttivo, riservando per la “povera” razza umana solo il ruolo di vittima, cibo e terreno di coltura per gli alieni.
Così forse gli umani potrebbero aspirare alla risoluzione, alla salvezza, alla vittoria semplicemente sconfiggendo il sintetico e distruggendo gli embrioni alieni che custodisce.
Ma tutto questo non basta, perché mentre i quattro episodi originari ci permettevano di vedere lo stesso argomento (la possessione malvagia, illogica e distruttiva) da quattro punti di vista diversi, i prequel cercano di spiegare l'inspiegabile e falliscono, sovvertendo anche il nucleo originario del progetto, l'unione tra orrore e fantascienza.
È come voler mostrare il meccanismo del numero di un illusionista dopo che ci ha stupito. Non torneremo più a stupirci nello stesso modo.
La direzione che Scott ha cercato di dare alla saga, a mio giudizio (come sempre opinabile e discutibile) non è la migliore, intendiamoci questo non vuol dire che abbia perso la sua mano registica, ma semplicemente quanto mi piacerebbe che si fermasse a ripensare il suo approccio nei confronti dell'intera saga perché gli ultimi due episodi come sottotitolo alle volte avrebbero meritato: “Nello spazio nessuno può sentirti sbadigliare.” E questo mi dispiace.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID