La casa editrice Kipple Officina Libraria ha dato alle stampe il romanzo di fantascienza Lo sfasciacarrozze di Alessandro Pedretta, una storia visionaria e dalle tinte weird che spinge in avanti la narrativa d'anticipazione italiana, grazie soprattutto a uno stile particolare, poetico, non immediatamente riconducibile al genere a cui siamo tanto affezionati.
Pedretta, classe 1975, è uno scrittore e poeta operaio che vive nella periferia milanese. Tra le sue ultime pubblicazioni vi sono il romanzo Golgota souvenir – apostrofi dal caos (Golena Edizioni, 2014), la silloge poetica Dio del cemento (Edizioni Leucotea, 2016), il romanzo breve illustrato È solo controllo (Augh! Edizioni, 2017). Dal 2018 conduce la rivista web di cultura estrema “La nuova carne” e viene pubblicato il libro Carnaio, un’antologia che contiene il meglio della rivista.
Lo sfasciacarrozze segue da vicino le vicende di Pietro, impiegato in un'industria di dispositivi facilitatori per disabili. Una sera, la sua auto rimane in panne sull'autostrada e il suo cellulare è praticamente scarico, così l'uomo è costretto ad avventurarsi per la campagna dell'hinterland alla ricerca di un luogo in cui mettersi in contatto con la moglie Eva.
Qui Pietro si imbatte in uno sfasciacarrozze gestito da due personaggi grotteschi, l'anziano Zosimos e suo fratello Corrado, che non sembra esserci tanto con la testa. Ben presto però Pietro scopre che lo sfasciacarrozze conduce degli affari ben più allucinanti di quelli di fornire materiale di ricambio per auto, o rottamarle. Infatti, le carcasse delle auto dismesse divengono dei veri e propri nidi per creature transumane, dal corpo ibrido di macchina e carne; una nuova specie all'apparenza passiva ma che dalla sua riproduzione può creare un vero e proprio mondo nuovo.
Pietro scopre quindi che il commercio di uova di cromo (questo è il nome delle creature ibridate) ha un qualcosa di sacro e di atavico (e anche di profondamente sessuale) allo stesso tempo; un rito ancestrale perpetrato da un gruppo di donne sottomesse e forzatamente devote a un enorme server digitale. In questa sorta di neo-religione i personaggi che sembrano minoritari hanno in realtà il ruolo principale di dei ex machina.
Al di là dell'avventura, in sé calustrofobica e vertiginosa (gli eventi si dipanano in una notte e nel mattino successivo), quella de Lo sfasciacarrozze è una storia che diviene pian piano una enorme metafora della dipendenza; in maniera esplicita dalle sostanze (il protagonista è un ansioso adoratore dello Xanax), ma in maniera più sottile dalle persone, dalle abitudini, e soprattutto dalla tecnologia.
Allo stesso tempo questo è un romanzo sulla vita e sulla morte, sul passaggio da una all'altra e sulla consistenza ontologica del reale. Nel finale infatti si realizza quello scarto metafisico che ha reso grandi le opere di Philip Dick: chi è chi? qual è la realtà vera e quale solo il frutto di un'allucinazione della mia coscienza? cosa vuol dire vivere ed essere morti? Domande queste rese ancora più significative dalle domande esistenziali sulla durata delle cose (ma anche delle esperienze) che fanno da fil rouge per tutto il romanzo:
Il tempo di biodegradazione di un manufatto di nylon è di circa cinquecento anni. Una bottiglia di vetro può vivere fino a quattromila anni prima di decomporsi del tutto, una gomma da masticare cinque anni, un fiammifero sei mesi, la mia ansia non si decompone mai; è composta anzi, e vigile, è un concetto costante nel pensiero incubato.
Da questo andirivieni metafisico di riflessioni mischiate a pura fantascienza radicale, l'autore costruisce un monolito narrativo appassionante e riflessivo che trascina il lettore in un mondo dell'interiorità talmente originale, direi meglio, personale, da riuscire a superare i confini del genere e a realizzarsi come opera godibile anche dai non cultori del genere.
Dalla lettura del romanzo emerge infatti tutta la passione dell'autore per le filosofie controculturali, per la letteratura underground, per gli autori della beat generation e del cyberpunk, così come quella per i grandi scrittori russi, i cut-up di William Burroughs, l’immaginario di Ballard e la disintegrazione sintattica di Céline. Pedretta è bravo a rimasticare questi modelli e a renderli innovativi, in una cornice rugginosa e fantasmatica propria della decadenza della nostra società post-industriale.
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