– Oh, io sono come le bambine, alla mia età!… – disse la baronessa Lanari, ridendo. – Raccontatemi una fiaba, datemi a leggere una storia maravigliosa e sto a sentirla tutta occhi e orecchi, e divoro le pagine con deliziosa ansietà, anche quando la paura mi fa accapponare la pelle. Le novelle, i romanzi, che ci rappresentano fatti di ogni giorno, che ci ricantano le solite storie, alle quali spesse volte abbiamo assistito da testimoni e un po' forse da interessati; che, per lo meno, somigliano tanto a queste, da darci l'illusione che il merito del novelliere e del romanziere consista unicamente nella bella maniera con cui ha saputo raccontarceli; le solite novelle, i soliti romanzi mi fanno l'effetto di un pettegolezzo trasportato dai salotti nelle pagine di un libro. Invece, le storie maravigliose che hanno la potenza di farci penetrare lentamente, inavvertitamente, nelle regioni dell'impossibile, dell'assurdo, e farci sognare a occhi aperti e darci l'illusione che l'impossibile, l'assurdo siano, o siano stati, per eccezione, per misteriose circostanze, una realtà, non mi deliziano soltanto perché mi trascinano con dolce violenza in un mondo diverso dal nostro, ma anche perché m'ispirano una grande ammirazione per l'ingegno dell'autore. Dopo, appena la sorpresa è passata, io rifletto che le cose lette sono una… una…
– Una sciocchezza, una stupidaggine – l'aiutò a dire il dottor Maggioli.
– No, una mistificazione – riprese la baronessa – un capriccio di fantasia artistica (quel che mi sembra sciocco o stupido non riesco a leggerlo); che importa, però? Per una o due ore, per mezza giornata, io ho avuto il beneficio di dimenticare le noie, le miserie, le brutture che mi circondano e mi irritano e mi affliggono, e sono gratissima all'autore da cui è stato prodotto quel miracolo. Mesi fa, ho letto un romanzo inglese dove si narra la storia di un uomo riuscito a rendersi invisibile…
– The Invisible Man – la interruppe il dottore. – L'ho letto anch'io che non soglio leggere romanzi, ed è stata una gran delusione. Mi aspettavo di trovarvi ben altro. L'uomo invisibile non è un'assurdità, è una realtà, ed io credevo che quell'autore avesse voluto raccontarci la storia vera…
– Ecco, ora vuol mistificarci lei! – esclamò l'avvocato Veraldi. – Scommetto che ha già pronta qualcuna delle sue storielle…
– Dica pure storielle, non me ne offendo – rispose il dottor Maggioli. – Convengo che possano sembrare tali perché non sono ordinarie. Ma sappia che ogni volta che io racconto in questo salotto qualcuna di quelle che lei chiama storielle, io racconto fatti da me veduti, dei quali posso affermare, fin con giuramento, la veridicità. Mai, come nel caso dell'Invisible Man, è apparso evidente che la fantasia piú sbrigliata sia incapace di raggiungere la prodigiosa potenza della natura. Vi sono attorno a noi, dentro di noi tali forze di cui pochi sospettano l'esistenza, e che si lasciano indietro, a grandissima distanza, tutto quel che possono inventare di piú strano, di piú incredibile un novelliere, un romanziere, un poeta in vena di scapricciarsi con le finzioni piú pazze. Chi sa che cosa s'immaginava di aver prodotto lo scrittore dell'Uomo invisibile! Una cosa sbalorditoia, originalissima… Ebbene, io posso assicurarvi, baronessa, ch'egli è rimasto assai assai al disotto della realtà. L'uomo invisibile io… come dire?… l'ho visto. Sembra una contraddizione, e non è.
– Infatti, giacché era invisibile… – disse la baronessa. – Ma dunque?
– Giudichi lei se ho ragione di parlare cosí. E perché questi signori capiscano di che cosa si tratta, accennerò che il romanziere inglese ha inventato le avventure di un giovane scienziato il quale, per mezzo di reagenti chimici, è riuscito a rendere invisibile il suo corpo, e a dare il pauroso spettacolo di un cappello, di una giacchetta, d'un paio di pantaloni, di un paio di scarpe che camminino da sé, come cosa viva, senza che si scorga il corpo umano da cui sono portati. L'uomo invisibile del quale voglio parlarvi era diverso, meno incoerente senza dubbio dell'eroe del romanziere inglese. Poteva rendersi invisibile quando gli faceva comodo, e interamente, corpo e vestiti. Poteva…
– Non ci metta paura facendoci credere che ciò sia possibile! – esclamò la signorina Bonucci. – Mi vengono i brividi soltanto a pensare che un uomo sia in caso di introdursi non visto in camera mia quando io piú credo di essere sola…
– Si rassicuri – continuò il dottor Maggioli, sorridendo. – Non è facile arrivare al punto di produrre in sé questo prodigio. Occorre un organismo speciale e tale persistenza nello sforzo per raggiungere lo scopo, da scoraggiare i piú risoluti. E poi – sarebbe lungo spiegarlo – certi singolari stati fisici, come questo di cui parliamo, richiedono, a quel che pare, singolari e corrispondenti condizioni morali da impedire che se ne abusi, servendosene per soddisfare volgari e delittuosi capricci.
– Ah! Se fosse vero – lo interruppe l'avvocato – io vorrei almeno divertirmi!
– Zitto! – disse la baronessa. – Sarebbe un po' difficile che lei, con tutto quell'adipe, divenga invisibile!
– Non era magro – riprese il dottor Maggioli, ridendo anche lui – l'uomo che una mattina venne da me per consultarmi. Si lagnava di un male strano: aveva la sensazione di essere cosí leggero, che camminando gli sembrava di venir trasportato via dal movimento dell'aria piú che dai piedi, quantunque il corpo obbedisse alla sua volontà.
«Sono un po' estenuato» disse, esitando.
Lo invitai a spiegarmi quali potevano essere state le cagioni del male.
«So – rispose – che lei è una persona spregiudicata, e perciò ho preferito di consultarla invece del mio medico ordinario. Ho voluto fare un esperimento, sono riuscito, ma ne risento le cattive conseguenze. Non ritenterò piú; intanto cerco di riparare i danni prodotti nel mio organismo dall'imprudenza commessa».
Per quanto io fossi già ridotto a non maravigliarmi di niente, mentre egli mi esponeva il suo caso, stavo incerto se avessi da fare in quel momento con un individuo malato di corpo o di spirito. L'uomo piú spregiudicato del mondo non può udire senza incredulità la recisa affermazione di un fatto che contraddice a tutte le leggi della natura da noi credute inviolabili. E colui mi rivelava tranquillamente di essere arrivato a rendere invisibile il suo corpo e i suoi vestiti, e di essersi potuto spingere, cosí, a grandi distanze dal luogo in cui si trovava. Egli attribuiva a queste esperienze l'estenuazione che gli produceva l'effetto di sentirsi trasportato via, piú che di camminare coi propri piedi.
«Come ha fatto?» gli domandai, quasi egli m'avesse detto cosa da non recarmi nessuna meraviglia.
«Non vorrei abusare della sua cortesia – rispose – intrattenendolo per parecchie ore con la spiegazione di teoriche un po' astruse. E poi, il preciso "come" non saprei spiegarglielo neppure io stesso. Tenterò».
Era un adepto teosofo, un discepolo di quella scuola religiosa filosofica e scientifica che esiste nell'India e che la signora Blavatsky e i suoi collaboratori cominciano a diffondere in Europa.
Ascoltai, senza batter ciglio, senza mostrare stupore o incredulità; anzi arrivai fino a mostrarmi persuaso della possibilità del fatto. Soggiunsi però:
«Una cosa è la possibilità di un fatto, altra la realizzazione di esso. Io, per esempio, non dirò mai che i palloni, teoricamente, non siano dirigibili; ma, per ora, la scienza non è riuscita a ridurre in pratica la teorica, quantunque molti si siano illusi di aver sciolto l'arduo problema».
«Crede dunque che io sia un illuso? Che il fatto della mia invisibilità sia soltanto un'allucinazione prodotta dallo sforzo nervoso, e dalla perturbazione che n'è seguita nell'organismo?»
«Potrebbe darsi» risposi.
«In questo caso, le darò una prova. Ritornerò da lei fra qualche giorno».
«Perché non darmela ora stesso?»
«Perché occorre una preparazione. La prova sarà tale, che lei non potrà piú dubitare. Intanto pensi al rimedio ora che sa di che cosa si stratta».
«Una buona serie di doccie fredde!»' dissi da me. E credevo di non piú rivederlo, sapendo per esperienza che i malati del genere a cui stimavo che colui appartenesse non sogliono ritornare dai medici, se sospettano di non essere stati presi sul serio.
Ecco ora quel che mi accadde due giorni dopo, e quando non pensavo affatto al mio strano visitatore. Ero rientrato in casa portando cinque o sei bellissime rose thea. Allora amavo di avere qualche fiore sul mio tavolino di studio, in un vasetto giapponese regalatomi da un amico, oggettino bello e raro che mi era carissimo. Le avevo poste io stesso in quel vasetto, mutando l'acqua dei fiori mezzo appassiti che vi si trovavano da due giorni. Riferisco questi particolari per far meglio comprendere il mio stupore quando, terminato di leggere alcune lettere arrivate nella mia assenza, non vidi piú le rose dove con molta cura le avevo disposte poco prima. Accusandomi di sbadataggine, le cercai con gli occhi per la stanza, su altri mobili; le rose erano sparite! Passato il rapido sbalordimento, io non potei piú dubitare di averle poste nel vasetto e cercavo di spiegarmi quel fatto, sospettando una burla di un mio nipotino entrato zitto zitto nello studio mentre ero distratto dalla lettura. Guardai l'uscio, e vistolo chiuso e non socchiuso, rivolsi di nuovo gli occhi al tavolino… Era sparito anche il vasetto! Un brivido di freddo mi corse per le ossa. Davanti a certi fenomeni non c'è tempra d'uomo che resista. E il pensiero volò subito all'incognito che mi aveva promesso una prova della sua invisibilità. Egli doveva essere nello studio, in qualche angolo, e chi sa come rideva della mia paura e del mio imbarazzo! Giacché, lo confesso, io avevo paura e non sapevo come comportarmi.
A un tratto, ecco un foglio di carta da lettere che esce dalla papeterie, si stende sul tavolino proprio nel posto dove io solevo scrivere, ed ecco una penna impugnata da mano invisibile che si muove e traccia dei caratteri celeremente. Mi slancio per afferrare il braccio e fermare la mano, ma la penna cade sul tavolino, e io non sorprendo niente di solido come avevo immaginato. Leggo quel che la penna ha scritto: «Crede ora? Verrò domani» e mi sento preso da vertigine, vedendo riapparire il vasetto con le rose, ma in un altro punto del tavolino.
Eppure – tanta è la nostra avversione a prestar fede a quel che crediamo impossibile! – io sarei rimasto nel dubbio di essere stato vittima di un'allucinazione cagionata da quella che il Braid ha chiamato «attenzione aspettante», se il giorno appresso il mio cliente non si fosse presentato, sorridendo dalla soddisfazione e ripetendomi le parole scritte: «Crede ora?»
«Credo a quel che ho visto – risposi. – Ma questo non prova che voi possiate rendervi invisibile. Prova soltanto che avete un potere misterioso con cui agite a distanza, mettendo in opera forze a me ignote e delle quali si parla in parecchi libri che si occupano di simili fenomeni».
«Ha ragione» egli disse. E rimase pensieroso.
«Senta – riprese dopo lunga pausa. – Io ero risoluto a non abbandonarmi piú a queste pericolose prove di cui già risento i tristi effetti. Ma esse hanno le affascinanti attrattive dell'hascisc e della morfina e sono malefiche altrettanto. Gustate una volta, non è possibile rinunziarvi, neppure avendo la certezza di trovarvi, presto o tardi, la pazzia o la morte. Ha ragione: le prove datele non sono convincenti. Per ringraziarla, a modo mio, della cortesia con cui mi ha accolto e dell'interesse dimostratomi, le darò ora la prova assoluta. Apriamo le finestre».
E accorse egli stesso ad aprirne una; io apersi l'altra. «Si segga là – riprese indicandomi una seggiola – e non dica una parola, non faccia il minimo movimento. Stia soltanto a guardare».
Incrociò le braccia, si piantò ritto su la persona nel centro della stanza, con gli occhi chiusi e la testa rovesciata un po' indietro, immobile per alcuni minuti. Io trattenevo il fiato, ansiosissimo. Vidi uscirgli disotto le braccia un lieve vapore bianco, che discese lentamente lungo le gambe e le avvolse quasi serpeggiando fino alla punta dei piedi; lo vidi risalire con ondate piú dense, aggirarsi attorno al petto, elevarsi fin sopra i capelli e nascondere ai miei sguardi tutta la persona di lui. Poi questa colonna di fumo, che spandeva attorno un odore acre, sgradevole, cominciò a piegarsi da una parte quasi mossa dall'aria che penetrava da una delle finestre e a disperdersi uscendo, come spinta dal vento, con larghi avvolgimenti, dall'altra… Ed io sbarravo gli occhi, stupito di vedere che il fumo biancastro andasse via attenuandosi. Sembrava che il pavimento fumigasse; poi le ultime ondate si staccarono dal suolo tremolanti, si alzarono fino all'altezza delle finestre e svanirono… Il mio cliente era sparito!
Rimase ancora là? Uscí, invisibile, dall'uscio o col fumo? Non saprei dirlo… Era sparito; e non l'ho piú riveduto!
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