Qualcuno alle prime prese con questo festival, potrebbe pensare che la presenza di tematiche green in conferenze e film sia una ruffianata per cavalcare la recente onda ambientalista, sicuramente una delle più massicce mobilitazioni mondiali di sempre, sorretta dal viso tenero e coriaceo di Greta. Oltretutto nel programma compaiono indicazioni se ciò che viene proiettato appartiene alla categoria Film Future Environment – chiaramente bollino verde. Sarebbe un errore pensarla così per due motivi. Intanto, trattandosi di un festival di fantascienza, i post-apocalittici abbondano e – di conseguenza – spesso si narra di futuri in cui l'uomo fronteggia un mondo ostile, spesso diventato così a causa sua (ricordate lo stupendo Man Divided dell'anno scorso?). Alcuni chiamano questo sotto-sottogenere cli-fi dall’unione di climate e sci-fi. Secondo: il Trieste Science+Fiction ha sempre avuto una particolare attenzione per l’ambiente tanto da rinnovare anche quest’anno la collaborazione con il LaREA, ostico acronimo dietro cui si cela il Laboratorio Regionale di Educazione Ambientale del Friuli Venezia Giulia, una sorta di sottodivisione dell’Arpa (già a sua volta a protezione dell’ambiente). In poche parole, non ci abbiamo capito niente, se non che al pianeta quelli del TS+FF ci tengono davvero.
Dopo aver finito tutte le arance della zona colazioni dell’hotel, andiamo a buttare un occhio allo storico film di Star Trek del 1979, una robaccia raffazzonata e poco convinta. “La sceneggiatura veniva riscritta ogni giorno” afferma il regista Robert Wise. E anche il compianto Leonard Nimoy la ricorda come "un’esperienza frustrante". La tristezza di tutto ciò sono i numi tutelari dietro al progetto: oltre a Wise, che quasi trent’anni prima ci regalò Ultimatum alla Terra, gli effetti visivi sono di Douglas Trumbull, conosciuto l’anno scorso proprio qui al festival, le musiche del grande Jerry Goldsmith e come consulente hanno scomodato addirittura Asimov.
Così usciamo dalla sala a metà proiezione e andiamo a berci un caffè al foyer del Rossetti, con una punta di depressione nell'animo.
Il pomeriggio comincia presto al Miela con una selezione di corti del Zubroffka Film Festival, kermesse polacca arrivata ormai alla quattordicesima edizione. Niente male davvero, anche se ci accorgiamo che alcuni corti non sono proprio freschissimi. Ricordiamo a questo proposito Empsillness, uscito qualche anno fa e pietra miliare della CGI sci-fi DIY (pare un testo trap): nonostante non tutto funzioni, è ricordato soprattutto perché interamente creato (ad eccezione della colonna sonora) dal regista e animatore Jakub Grygier. Potete guardarlo qui, ma vi prego prima di finire l'articolo per non farmi frustare dal direttore.
Ci spostiamo al Rossetti dove assistiamo a Last Sunrise, suggestiva pellicola low budget cinese. Dal grande stato orientale sono arrivati davvero pochi film del genere, anche a causa di un mercato autosufficiente (siamo a quasi un miliardo e mezzo di persone) che produce opere per un pubblico con una sensibilità molto diversa dalla nostra. Ma le cose stanno cambiando rapidamente: pensate al recente e acclamato The Wandering Earth, gran successo a sorpresa in patria e anche su Netflix, che ha distribuito il film in tutto il mondo ad eccezione proprio della Cina (dove l’impronunciabile piattaforma iQiyi regna sovrana e rende difficile qualsiasi trattativa). Anche se la differenza di mezzi è lampante – duecentomila euro contro i cinquanta milioni di The Wandering Earth – Last Sunrise condivide molti aspetti con questo blockbuster. La storia ha qualcosa di beffardo: in un futuro in cui l’umanità ha raggiunto la massima ecosostenibilità e in cui tutto è basato unicamente sull’energia solare, il Sole misteriosamente scompare, lasciando il mondo nel prevedibile caos.
Lo sguardo del regista Wen Ren si posa sulle difficoltà interiori di due personaggi alla ricerca di luce e aria, riuscendo a dare un taglio intrigante al racconto. Diciamo che sarebbe stato un bel corto, purtroppo azzoppato dal dover tirare avanti un’ora e mezza senza troppe idee e qualche incongruenza. Ma perdoniamo volentieri ogni difetto a questa opera prima e ci auguriamo che il sole della fantascienza torni a splendere a oriente.
Coscienti di aver usato troppo il cervello, saltiamo qualche proiezione e andiamo a mangiare da Sbecolez, osteria gestita da giovani entusiasti un po’ pazzi. Pesce, carne e contorni davvero di prima qualità, ma la cosa più incredibile sono i dolci. La mia collaboratrice (co-autrice di molti articoli e perfidamente mai menzionata) assaggia delle ottime pere in crema pasticcera. Il sottoscritto si getta su qualcosa di eccezionale: gelato con olio, sale e pepe. “Una sera, da ubriachi, abbiamo provato questo piatto scoprendo che è davvero buono” ammette l’impavido gestore. Se passate a Trieste dovete assolutamente provare questa leccornia, ma vi sconsigliamo di tentare di replicarla a casa: ci vuole un tipo di olio non comune. Ma torniamo al mondo del TS+FF, prima che il direttore ci scateni addosso i suoi zombi-dobermann.
Blind Spot è un film esteticamente ineccepibile girato dalla coppia di registi francesi Bernard & Trividic, due veterani del cinema che si cimentano in una rilettura di uno degli argomenti più hot del momento: i superpoteri. Ma niente CGI e azioni epiche, anzi, quasi niente azioni affatto: uno spaccato della deprimente vita di un quasi quarantenne (detta così, pare la nostra biografia) che possiede sì un potere – l’invisibilità – ma lo ha usato poco e male. Altri con questa abilità – come apprendiamo dai notiziari – si divertono a buttare gente sotto alla metro. Un amico del protagonista vive con tormento l’incapacità di controllare il potere che sopraggiunge con l’età. Un illusionista lo usa per guadagnarsi il pane. Abbiamo apprezzato molto il taglio indipendente e anticonvenzionale della pellicola, ma onestamente a fine proiezione non è rimasto granché, se non un pochino di noia.
Potendo tornare indietro, saremmo andati alla sonorizzazione di Moon, da molti considerata una piccola perla del festival. “Io adoro quel film e, durante lo spettacolo, ho pianto” confessa Jean-Claude, il sottotitolista del festival incontrato nel privé del Rossetti. "È stata un'esperienza unica nel suo genere" conferma Andrea con un accento leggermente alterato dalla bontà del Merlot.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID