Joseph H. Rosny è stato definito dalla critica più autorevole come "il più visionario dei naturalisti, e il più naturalista dei visionari": Joseph H. Rosny è nato a Bruxelles nel 1856 ed è morto a Parigi nel 1940; oggi si è in molti a vedere in Rosny insieme a Verne e Wells uno dei più maggiori e importanti precursori della fantascienza moderna. Joseph H. Rosny tra le sue opere ha lasciato un autentico capolavoro, La Guerra del Fuoco, un classico che è sicuramente tra i più tradotti nel mondo e che non risente dell'usura del tempo. Da La Guerra del Fuoco è stato tratto l'omonimo film diretto dal regista premiato con l'Oscar, Jean Jacque Annaud. J. H. Rosny ha elaborato uno stile di narrazione che è allo stesso tempo fantascienza e poesia primitiva, quel tipo di poesia che tutti gli uomini (o quasi) hanno nell'animo e che gli fa immaginare mondi lontani, primitivi, di quando l'umanità scopriva con grande meraviglia la magia del fuoco, un fuoco che è un miracolo di un dio lontano, inaccessibile, incomprensibile alla mente umana, e per questo tanto più vero di quello oggi propagandato dalla cristianità e dai partiti politici che ad essa si sentono legati per convenienza. J. H. Rosny insieme a James Oliver Curwood autore di opere immortali come Nomads of the north e Kazan è il più grande antropologo poetico della fantascienza classica. Famose sono le sue opere Gli Xipéhuz, ritenuto il primo vero racconto di fantascienza moderna, Un altro mondo, Nel mondo dei varianti, La morte della terra, opere nelle quali J. R. Rosny avanza ipotesi fantasiose quanto suggestive circa l'esistenza di mondi e di vita diversi da quella umana. Ne La Guerra del Fuoco l'autore disegna un ritratto di una umanità barbara che guerreggia coi suoi simili per una pura questione di sopravvivenza; l'uccisione di un altro individuo nell'umanità disegnata da Rosny è un fatto naturale squisitamente darwiniano, poetico nella sua spietatezza. Con Rosny così come con Curwood l'umanità, il mondo animale, è un universo alieno che dobbiamo indagare e spiegare attraverso una maggiore conoscenza dei nostri impulsi arcaici, quelli più veri e che la società ipertecnologica ha dimenticato a tutto vantaggio della precarietà delle mode e di una scienza sempre più spinta a creare volgari, inutili mostri genetici come la pecora Dolly. Rosny non poteva certamente immaginare che un giorno l'umanità sarebbe giunta a clonare animali ed esseri umani: se oggi fosse ancora vivo, probabilmente, additerebbe la follia dell'umanità come una umanità schiava di se stessa incapace di comprendere la magia del fuoco, e quindi la lotta per la sopravvivenza; infatti, ad ascoltare le notizie scientifiche, sembra che il vivere quotidiano moderno sia tutto impegnato a distruggere l'istinto di sopravvivenza dell'umanità invece di eternarlo nel mito e nella poesia. Rosny ne La Guerra del Fuoco ci restituisce una umanità vera, mitica, barbara, violenta, darwiniana, la vera umanità: oggi, il capolavoro di Rosny è una lettura più che mai attuale, un romanzo che induce a riflettere su noi stessi dimentichi della realtà per dar corpo ad una realtà virtuale (o clonata) scevra e di poesia e di valori artistici, sociali, umani, politici.

Gli Ulhamr fuggivano spaventati nella notte: erano impazziti per il dolore, tutto pareva irreparabile e vano di fronte alla suprema calamità che li aveva colpiti: il Fuoco era morto. Nelle tre gabbie in cui custodivano il fuoco, gli Ulhamr lo avevano sempre mantenuto vivo: quattro donne e due guerrieri lo avevano incessantemente alimentato, giorno e notte, e il fuoco aveva sempre ricevuto dai suoi custodi la sostanza che gli dava vita. Era stato tenuto al riparo dalla pioggia, dagli uragani, dalle inondazioni, senza mai cessare di infiammarsi al mattino e d'insanguinarsi la sera. La sua forza possente allontanava il Leone Nero e il Leone Giallo, l'Orso delle Caverne e l'Orso Grigio, il Mammut, la Tigre e il Leopardo, ed ancora le sue tremolanti lingue rosse proteggevano l'uomo contro i pericoli del mondo. Il Fuoco dava ogni gioia, dava alle carni sapore, induriva le punte delle lance, spezzava la pietra dura; gli uomini ricevevano da lui una dolcezza piena di vigore, e con lui, miracolo d'un dio primitivo (pagano) l'orda era al sicuro nelle pericolose foreste, nella savana sconfinata, in fondo alle nere caverne. Il fuoco era il Padre, il Custode, il Salvatore, ma era anche più feroce, più terribile dei Mammut, perché quando fuggiva dalle gabbie divorava gli alberi. Ma ora il Fuoco era morto! Il nemico aveva distrutto le gabbie che lo contenevano.

Fauhm, il vecchio capo dell'orda, alzò le braccia verso il cielo con un lungo lamento.

" Che faranno gli Ulhamr, senza il Fuoco? " gridò. " Come vivranno? Chi li difenderà contro le belve e il vento gelido dell'inverno? Non potremo più scaldare i nostri corpi, e le punte delle nostre lance resteranno fragili e molli. Colui che saprà riconquistarlo sarà il fratello di Fauhm; avrà Gammla, figlia di mia sorella, e quando io morirò, il bastone del comando sarà suo!

Allora Naoh, figlio del Leopardo, si levò e disse: " Dammi due guerrieri dalle gambe forti e veloci, e andrò io a prendere il Fuoco dai Figli del Mammut o dai Divoratori d'Uomini, che hanno i loro territori di caccia sulle rive del Grande Fiume.

Il vecchio, volgendosi al giovane, disse: " Fauhm ha una lingua sola. Se tu saprai riportarci il Fuoco, avrai Gammla, e sarai il figlio di Fauhm.

La guerre du feu di Joseph H. Rosny è un capolavoro senza tempo, un romanzo strabiliante, una precisa poetica antropologica indagine intorno all'uomo, l'alieno terrestre che occupa e strazia il pianeta Terra e che ancora non abbiamo imparato a conoscere per mancanza di volontà, perché impegnati a star dietro al futile, alla clonazione dell'umanità. Siamo ancora umani troppo umani come disse Nietzche, e aggiungo io così troppo umani da aver bisogno di allontanarci dall'umanità per tentare di crearne una da laboratorio. Forse è il caso di dire che siamo ancora disumani troppo disumani, è più vero!