Forse perché si rivolgono a un pubblico che non bada a etichette, forse perché i lettori adulti li leggono con affettuosa condiscendenza, forse perché la confidenza con le fiabe mantiene vivo lo spirito avventuroso che è anche alle origini del nostro amato genere… sia come sia, agli scrittori per ragazzi si perdona di tanto in tanto qualche scappatella con la fantascienza.

È il caso di Bianca Pitzorno, nota soprattutto per le sue fiabe dissacranti o i romanzi di genere storico (La bambina col falcone, Il sogno della macchina da cucire) ma autrice di uno dei migliori romanzi di fantascienza antropologica nella nostra lingua: mi riferisco a Extraterrestre alla pari, storia del/della giovane Mo, in viaggio studio dalla "vicina" Deneb (raggiungibile in sole 22 ore di "astrobus", durante la congiunzione con il nostro pianeta che si verifica ogni 10 anni).

Nel tempo che trascorre sul nostro pianeta, Mo è ospide di una famiglia terrestre, gli Olivieri, che l'accoglie come fosse un figlio (o una figlia).

Fin da subito però cominciano le incomprensioni tra due culture diverse, dato che i denebiani sono molto simili ai terrestri, da cui differiscono per un trascurabile particolare: non è possibile stabilirne il sesso fino alla maggiore età (corrispondente a 50 anni terrestri) ma soprattutto non ha alcuna rilevanza nella vita di un bambino, perché l'educazione denebiana non fa differenze tra maschi e femmine.

Bianca Pitzorno
Bianca Pitzorno

I problemi si manifestano fin dalle prime pagine:

Che la questione avesse per i terrestri un'importanza fondamentale, Mo l'aveva capito fin dal primo momento.

Aveva un bel dire sua madre, che in fondo era una faccenda trascurabile, un particolare minimo che si sarebbe chiarito più avanti e che non avrebbe cambiato niente nei suoi rapporti con la famiglia che l'ospitava…

"Quelli" lo volevano sapere al più presto, subito!

Anzi, lo DOVEVANO ASSOLUTAMENTE sapere. Altrimenti non avrebbero tenuto Mo a casa loro come era nei patti. E sarebbe stata proprio una bella seccatura tornare su Deneb dopo un viaggio così lungo, dopo tanti progetti sulla vacanza terrestre, dopo che tutto era stato preordinato minuziosamente da vari mesi, solo perché nessuno sapeva se Mo fosse maschio o femmina!

Quando i due terrestri glielo avevano chiesto, la madre di Mo aveva fatto una ri-satina di noncuranza e aveva risposto: — Dio mio, non ce lo siamo mai chiesti!

Poi, davanti al loro sguardo stupito, aveva aggiunto cortesemente: — Perché?

Dovremmo saperlo? Non abbiamo mai pensato che fosse una cosa importante… Mo è ancora talmente giovane!

Allora l'Uomo aveva trattenuto a stento un gesto di indignazione (ricordando evidentemente che stava parlando con dei denebiani) e aveva risposto: — Scusate, certo che è importante! Visto che Mo deve restare dieci anni a casa nostra. Se non sappiamo se è maschio o femmina, in quale modo ci dovremmo comportare con lui? O con lei?… insomma, con Mo, accidenti, qualunque cosa sia!

A questo punto era stato il padre di Mo a doversi trattenere, ma dal tono della sua voce si capiva lo stesso che era seccato. — Scusate — disse — cosa significa "in che modo comportarvi"? Non capisco quali dubbi possiate avere. Era stato chiarito tutto nelle lettere, mi pare. Vi eravate impegnati ad essere gentili con Mo, a comportarvi esattamente come se si fosse trattato di un vostro figlio. Altrimenti non avrem-mo mai accettato l'invito dell'Istituto per i Rapporti Terra Deneb.

— Ma certamente, che siamo pieni dei sentimenti più affettuosi verso la vostra creatura — era intervenuta gentilmente la Donna. — Non abbiamo nessuna intenzione di maltrattarla… Però, vedete, da noi sulla Terra con una bambina ci si comporta in modo differente che con un maschietto…  (Capitolo I)

Comincia per Mo un'odissea per scoprire anzitempo il sesso, tra psicologi, medici, specialisti denebiani: in un primo tempo si crede sia un maschio, poi una femmina e ogni volta che la premurosa famiglia terrestre crede di averne stabilito il sesso corretto, per lui (come l'autrice, ci troviamo costretti a usare il maschile unicamente in funzione di pronome neutro) deve cambiare ogni cosa: vestiario, scuola, amicizie, giochi e persino il carattere, adottando di volta in volta le abitudini che si ritengono consone al suo nuovo sesso.

Come si intuisce facilmente, la fantascienza in Extraterrestre alla pari è una scelta di campo: un punto di osservazione privilegiato per mettere in luce l'artificialità di tutte le convenzioni legate al genere.

Per l'autrice, come per Mo, non c'è nulla di naturale nell'associare carattristiche e comportamenti tipici di un genere a uno specifico sesso: un bambino può giocare con le bambole (e Mo soffrirà enormemente quando gli verrà sottratta la sua preferita) e una bambina fare a botte con i compagni di scuola senza che questo metta in crisi alcuno stato di natura. Anzi, la natura per la Pitzorno, ci fa diversi solo al momento della procreazione, in cui i due sessi svolgono un ruolo diverso.

Non servirebbero gli alieni per capire che ogni concetto di « famiglia naturale » sia in realtà solo frutto di cultura, come dimostra una famiglia vicina agli Olivieri, quella di una sorella della signora Lucilla: Anna, un'astrofisica in partenza per un anno negli USA, lasciando al marito Marco il loro neonato e il figlio adottivo; purtroppo la pressione famigliare e lavorativa è così forte che Anna non riesce a partire e rinuncia al suo sogno di ricerca.

Sono tanti gli episodi del romanzo in cui l'autrice ci mette davanti alle inutili sofferenze, rinunce, fallimenti, ingiustizie piccole e grandi, determinati dall'ossessione terrestre per i ruoli di genere. Oltre a viverli sulla sua pelle, Mo li vede quotidianamente intorno a sé: il pregiudizio che un padre non possa occuparsi dei figli, che una madre debba rinunciare alla carriera, che una ragazza debba fare certi studi e non altri… e la lista sarebbe ancora lunga.

Alla fine del romanzo ci si trova, naturalmente, di fronte a un ritratto non del nostro futuro – anzi, tutta la tecnologia del romanzo si riduce agli « astrobus », mentre l'ambientazione non si allontana dagli anni '70 in cui è stato scritto – ma del presente. Il romanzo è del 1979, e per quanto durante la lettura mi sia voluto illudere che i quarant'anni passati dalla pubblicazione hanno pur sempre visto dei progressi nella parità di genere, i recenti fatti di cronaca non possono farci chiudere gli occhi sulla realtà: Extraterrestre alla pari resta un romanzo di scottante attualità, ancora di più per chi come me si illudeva che certe questioni fossero ormai archiviate.

Se ha qualche difetto, questo sta proprio nella sua natura didattica, che rende fin troppo scoperta la metafora fantascientifica, ridotta a semplice espediente per l'esposizione del tema. Del resto la vocazione didattica è alla base di gran parte della letteratura per ragazzi, e a un adulto non resta che leggere e giudicare il romanzo tenendo ben presente il pubblico a cui si rivolge.

Superato questo scoglio, ci si troverà di fronte non certo a una Ursula K. Le Guin nostrana, ma pur sempre a una validissima narratrice che si è appropriata per una volta della fantascienza per affrontare una tematica importante.