In una recente conferenza nella Silicon Valley, Sundar Pichai, l’amministratore delegato di Google, ha paragonato l’intelligenza artificiale, per l’importanza del suo impatto sulla società umana, alla scoperta del fuoco o dell’elettricità. Anzi, secondo Sundar Pichai l’intelligenza artificiale avrà un impatto maggiore delle altre due tecnologie. Pichai è un ottimista e vede un futuro felice e brillante, anche se non nasconde i rischi. Come il fuoco, l’intelligenza artificiale è uno strumento utilissimo ma, se impiegato senza attenzione, può diventare pericoloso.

L’intelligenza artificiale è un tema caldo di questi tempi. Non passa giorno senza che i media non riportino qualche impresa straordinaria dei sistemi di intelligenza artificiale nella quale l’uomo fa la solita figuraccia e viene superato nella capacità di riconoscere le immagini, o di decifrare testi scritti a mano, di capire il parlato continuo, di interpretare un testo, di giuocare e vincere a scacchi, a Go o battere i campioni di quiz televisivi come “Jeopardy” (la versione italiana era il Rischiatutto), o anche nel guidare un’auto, nel fare diagnosi mediche, nello scoprire nuovi pianeti extrasolari nei dati trasmessi dalle sonde, senza contare le infinite applicazioni nel mondo della scienza o della finanza.

Altre autorevoli voci, dall’astrofisico Stephen Hawking a imprenditori come Bill Gates e Elon Musk lanciano invece allarmi sui pericoli di macchine divenute più intelligenti dell’uomo. Allarmi che filosofi come Nick Bostrom prendono molto sul serio e delineano scenari catastrofici per l’umanità alle prese con macchine ormai superintelligenti.

Una cosa è certa: l’intelligenza artificiale, unita alla immensa quantità di dati che generano le nostre società, sarà uno dei grandi protagonisti del prossimo futuro. Anche se forse non correremo il rischio di essere annientati dalle nostre stesse creature, l’intelligenza artificiale, spingendo l’acceleratore dell’automazione, cambierà il modo di lavorare e le competenze richieste ai lavoratori, sia nelle fabbriche che negli uffici.

Rapporti, come quelli dell’Università di Oxford o dell’Istituto McKinsey, concordano nell’ indicare che il 50% delle attività lavorative potrebbe già oggi, con la tecnologia attuale, essere automatizzatoi. Una trasformazione epocale paragonabile soltanto a quella che, all’inizio della Rivoluzione Industriale, svuotò le campagne, dove viveva l’80-90% della popolazione, per spostarla nelle città, nelle industrie e nei servizi. Questo significa che nel futuro non ci sarà più posto per noi? Ossia per la maggioranza del genere umano? Le cose in realtà sono molto più complicate e nelle pagine che seguono tenteremo di mettere qualche punto fermo. A cominciare dall’intelligenza artificiale, che non è una disciplina unitaria e ben definita, ma al suo interno ha varie “tribù” che affrontano, con strategie diverse, la sfida di trasferire l’intelligenza, almeno parzialmente, alle macchine.

Fra l’altro non esiste nemmeno una definizione univoca di intelligenza. L’intelligenza è stata definita in molti modi, come la capacità di capire, di usare la logica, di essere consapevoli, di imparare, di pianificare le proprie azioni, di saper risolvere i problemi, di essere creativi, di mettersi nei panni dei propri simili. In termini più generali è stata considerata come la capacità di acquisire ed elaborare informazione, trasformandola in conoscenza, per interagire con il proprio ambiente. Come vedremo, quando tentiamo di trovare una definizione soddisfacente e definitiva (e non solo per l’intelligenza) cadiamo del paradosso di Polanyi: «Sappiamo più di quello che riusciamo a dire». Abbiamo un’idea di cosa sia l’intelligenza, ma non sappiamo esprimerla. E nonostante le straordinarie scoperte sulla fisiologia del nostro cervello, non abbiamo ancora un’idea esatta di come funzionino i circuiti neuronali che ci rendono intelligenti. Non abbiamo ancora individuato l’algoritmo (le istruzioni, le regole) dell’intelligenza umana al lavoro nelle decine di miliardi di cellule nervose del nostro cervello. In breve, molto si è scoperto sul cervello e l’intelligenza, ma moltissimo rimane ancora da esplorare e capire.

Uno dei banchi di prova più importanti, ancora oggi, delle macchine intelligenti sono stati i giuochi, come tris, dama, scacchi e ultimamente Go. Hanno rappresentato sfide difficili, cui sono stati dedicati decenni di lavoro, ma alla fine sono state vinte dai sistemi intelligenti, che ormai sono in grado di batterei campioni umani di questi giochi da tavolo.

La grande svolta dell’intelligenza artificiale è avvenuta negli anni Ottanta. Il filone di ricerca dominante fino a quel periodo, quello “logico-simbolico” (vedremo presto di cosa si tratta), lascia spazio ad altri approcci, come le reti neurali o i metodi statistici. È con questi metodi che nasce l’apprendimento automatico delle macchine (machine learning) che oggi è l’ultima frontiera della ricerca informatica. “Machine learning” e “Big data”, apprendimento automatico ed enormi quantità di dati, sono il binomio vincente nelle applicazioni dell’intelligenza artificiale. Sono questi gli algoritmi che stanno rivoluzionando il nostro modo di vivere e di lavorare. 

Nota

i Sulla storia dell’automazione, della robotica e del controllo industriale di veda anche un’altra opera dello stesso autore: Uomini e macchine. La sfida dell’automazione, Bollati Boringhieri, Torino 2014.