La mano di un robot che regge un teschio.
Un'immagine che, inevitabilmente, stimola la mente degli appassionati di fantascienza. La stimola ancor più se l'immagine è la copertina dell'ultimo disco dei Dream Theater, una delle rock band più amate del pianeta, e se ricordiamo che il lavoro precedente della band è un concept album di fantascienza intitolato The Astonishing.
Gli amanti della fantascienza resteranno probabilmente delusi nell'apprendere che la copertina del nuovo disco dei Dream Theater (il quattordicesimo in studio) non fa da preludio a un'altra opera incentrata sulla fs. Si tratta, infatti, di un disco "normale" con dieci tracce i cui testi spaziano tra gli argomenti più disparati. Tra questi, come vedremo, c'è un'incursione nei temi cari alla fantascienza.
Ritorno alle radici del progressive metal
Un'occhiata generale al disco e al modo in cui è stato concepito.
Dieci tracce per un totale di meno di sessanta minuti. Molto più breve del disco precedente, che includeva trentaquattro tracce la cui durata complessiva superava i centotrenta minuti.
In effetti il distacco dall'ambizione e dalla complessità di The Astonishing (disco che ha fatto storcere il naso a buona parte dei fan) sembra palesarsi già dal titolo. I pezzi, composti in modo collegiale in un granaio trasformato in studio professionale, sono di impatto immediato e, dal punto di vista musicale, confermano che il punto di forza dei Dream Theater sta non tanto nell'originalità delle composizioni quanto nell'abilità di esecuzione, tra tempi dispari e lunghi assoli.
Si ha insomma la sensazione che la band di Boston abbia ancora molto da dire sebbene siano passati ormai trent'anni dall'album d'esordio.
Quel puntino azzurro
La nona traccia si intitola Pale Blue Dot ed è anche, a mio modesto avviso, la più bella del disco.
Il riferimento è alla celebre foto della Terra scattata nel 1990 dalla sonda Voyager 1 oltre l'orbita di Plutone. L'idea di fotografare i pianeti del Sistema Solare da quella distanza è stata suggerita alla NASA dall'astronomo e scrittore statunitense Carl Sagan, uno dei fondatori del Progetto SETI per la ricerca di intelligenze extraterrestri e autore, tra l'altro, del romanzo di fantascienza Contact, divenuto nel 1997 un film diretto da Robert Zemeckis, con Jodie Foster come protagonista.
La foto scattata dal Voyager diventa per Sagan la fonte d'ispirazione per un libro (Pale Blue Dot: A Vision of the Human Future in Space) in cui riflette sulla vastità dell'universo e sulla necessità di vivere in modo consapevole e responsabile le esperienze quotidiane in quel puntino azzurro sul quale abbiamo avuto la fortuna di nascere.
La canzone si apre con una parte strumentale che include registrazioni audio prese da varie missioni spaziali. John Petrucci, autore del testo, riprende poi i temi affrontati da Sagan.
God creators, dream destroyers
Knowledge seekers and bold explorers
Hopeful children, mothers and fathers
All on this place we call our home
Adrift in space, we're on our own
But who's out there to save us from ourselves?
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