Gli addetti ai lavori la chiamano, a volte, “fascia di Clarke” o “orbita di Clarke”. È l’orbita geostazionaria posta a 36.000 chilometri dalla superficie terrestre, il punto più lontano in cui manufatti umani orbitano intorno alla Terra. Le sue fondamentali proprietà fisiche erano già note quando, nel 1945, sulla rivista Wireless World, l’ingegnere e scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke pubblicava un articolo sull’uso in tempi di pace delle V2i. I temibili razzi del regime nazista che avevano fatto trascorrere notti insonni agli inglesi negli ultimi anni della Seconda guerra mondiale potevano essere riciclati per portare in orbita intorno alla Terra strumenti tecnologici per impieghi pacifici. E fin qui niente di rivoluzionario: Wernher Von Braun ci stava già pensando, e per questo la NASA se lo rubò in Germania per sviluppare il suo programma spaziale. Ma Clarke andava oltre, e suggeriva di lanciare satelliti artificiali che potessero rimbalzare su tutta la Terra segnali di telecomunicazione.

Davvero fantascienza, considerando che all’epoca la televisione era il futuro. Ma Clarke, che sarebbe poi diventato uno dei più famosi scrittori di science fiction, noto in tutto il mondo per la storia da cui Stanley Kubrick avrebbe tratto 2001: Odissea nello spazio, ci era già arrivato. Lui pensava alla radio, d’accordo, ma il principio non cambia. L’orbita geostazionaria ha infatti l’importante caratteristica per cui un satellite posto a quell’altezza compie la sua rivoluzione intorno alla Terra nello stesso tempo in cui la Terra compie una rotazione su se stessa: in tal modo, il satellite resta fisso rispetto a un punto sulla superficie terrestre, da dove può ricevere un segnale, e rilanciarlo a un altro punto del suo campo visivo attraverso un’antenna. Ci sarebbero voluti quasi vent’anni perché la NASA iniziasse a lavorare su quest’idea, ma se oggi possiamo vedere la TV satellitare lo dobbiamo proprio ad Arthur C. Clarke.

Ma quante idee da fantascienza sono diventate, negli anni, realtà? Moltissime, proprio grazie alle straordinarie capacità di predizione degli sviluppi tecnologici futuri che gli scrittori di science fiction possiedono. A partire da un padre fondatore come Jules Verne, che nel suo Dalla Terra alla Luna descriveva nel modo più scientifico possibile all’epoca un viaggio sulla Luna. Certo, la sua navicella veniva sparata da un enorme cannone; ma Verne descrive con esattezza il viaggio fino alla Luna e l’ingresso in orbita intorno al nostro satellite. Curiosamente (in quanto francese) situa la base di lancio in Florida, dove partirà l’Apollo 11, e anche il punto di rientro della navicella, l’Oceano pacifico: Verne fu il primo a suggerire che gli astronauti, al ritorno dalla Luna, sarebbero dovuti ammarare. E indovinò anche il numero di membri dell’equipaggio di quella prima missione: tre.

Ben più spaventosa la “predizione” che la fantascienza fece della bomba atomica. Ne parlò per primo H.G. Wells, l’autore di storie famosissime quali La macchina del tempo e La guerra dei mondi, nel 1914, nel romanzo La liberazione del mondo, una sorta di predizione della storia futura dell’umanità. La radioattività era stata da poco scoperta, all’epoca, e Wells immaginava una bomba alimentata da materiali radioattivi. La bomba atomica di Wells non era più potente di una bomba ordinaria, ma aveva la singolare proprietà di esplodere più volte, a lungo, grazie alla reazione a catena. Il fisico atomico Leo Szilard lesse il romanzo nel 1932, iniziando a lavorare su quel progetto. Prima che la bomba atomica facesse la sua spaventosa comparsa nel mondo reale, fu prevista ancora da altri scrittori di fantascienza: da E.E. Doc Smith in L’allodola dello spazio (Skylark) alla fine degli anni ’20, e dal poco conosciuto Cleve Cartmill in un racconto del 1944. Quest’ultima storia, in particolare, costò un giorno intero di interrogatorio da parte della CIA a John W. Campbell, l’editore della rivista Astounding Stories su cui il racconto era stato pubblicatoii. Ai servizi segreti non andava giù l’idea che qualcuno parlasse di bombe atomiche mentre era in corso il segretissimo progetto Manhattan, che di lì a poco avrebbe portato al Trinity Test e poi allo sgancio delle bombe su Hiroshima e Nagasaki.

Sulle colonne di Astounding Stories apparvero anche le prime storie in cui i robot erano immaginati non come versioni futuristiche del mostro di Frankenstein, ma come creature al servizio dell’uomo. Isaac Asimov, che inventò le Tre Leggi della Robotica per tenere sotto controllo i robot, fu anche l’inventore del termine “robotica”, la branca che oggi ha portato allo sviluppo di macchine semoventi impiegate quotidianamente nelle industrie, negli ospedali, nello spazio, nelle case. Robot umanoidi sono ancora una rarità (anche se il più famoso e sofisticato di essi è stato battezzato non a caso Asimo), ma i loro cervelli sono già tarati seguendo i suggerimenti di Asimov, rendendo queste macchine, in futuro, i migliori amici dell’uomo.

La fantascienza ha seguito con costante attenzione l’evolversi dell’informatica, immaginando prima di tutti l’inevitabile miniaturizzazione dei computer, ma anche la loro successiva “virtualità”. Già lo stesso Asimov aveva ipotizzato che in futuro chiunque avrebbe potuto accedere a un immenso database di dati attraverso piccoli terminali posti in casa, nelle scuole, negli edifici pubblici, estraendo ogni tipo di informazione: la rete Internet, appunto (Asimov la chiama “Multivac”). Ma il vero precursore del World Wide Web resta William Gibson, padre fondatore della corrente della fantascienza cyberpunk, dominata da lotte contro virus informatici, hacker e viaggi nel cyberspazio. Termini ben lontani dall’uso comune quando apparve Neuromante (1984): allora non esisteva Internet e tanto meno il WWW, ma Gibson già immaginava l’esistenza di mondi virtuali (il cyberspazio, la rete virtuale formata da milioni di computer) in cui ci si sarebbe potuti immergere ed effettuare, magari, avventurosi furti di dati.

A Star Trek, la più nota serie televisiva di fantascienza, va invece il merito di aver per prima immaginato i futuri telefoni cellulari. Nella serie classica, Kirk, Spock e gli altri membri dell’equipaggio dell’Enteprise comunicano attraverso piccoli dispositivi portatili identici ai primi cellulari: siamo appena nel 1966. I comunicatori dell’Enterprise si attivano aprendo lo sportellino con un elegante gesto della mano, esattamente come oggi si aprono i tanti cellulari “a conchiglia”, protetti dallo sportellino. Il primo modello di questo tipo immesso nel mercato, oltre trent’anni dopo, fu chiamato dalla Motorola Star Tac in omaggio al telefilm. Nella serie successiva, The Next Generation, faranno poi la loro apparizione i Padd, sottilissimi tablet che fungono da computer, esattamente identici agli attuali iPad, con un anticipo di oltre vent’anni sulla Apple di Steve Jobs.

Per concludere la carrellata, va ricordato un altro padre fondatore della fantascienza, l’americano Hugo Gernsback, fondatore della priva rivista di genere, Amazing Stories, e alla cui memoria è oggi dedicato il premio Hugo, l’Oscar della fantascienza. Inventore e ingegnere, sempre interessato alle speculazioni sul futuro progresso tecnologico, Gernsback inventò per primo il radar in uno dei suoi più famosi romanzi, Ralph 124C 41+, raccolta di racconti pubblicati a puntate. Era il 1911, e il radar avrebbe fatto la sua comparsa solo nella seconda metà degli anni ’30. Nel libro, Gernsback rivelava per primo il principio alla base del radar, scrivendo con convinzione che «un’onda pulsante polarizzata diretta su un oggetto metallico viene riflessa allo stesso modo in cui un raggio di luce viene riflesso da uno specchio». L’unica differenza è che Gernsback ipotizzava che quest’onda viaggiasse nell’etere, la famosa sostanza che all’epoca gli scienziati ritenevano riempisse lo spazio vuoto, e che invece non esiste. Ma Arthur Clarke definì quella di Gernsback «la prima accurata descrizione di un radar, completa di diagramma»iii.

Proprio per tutte queste ragioni, gli americani hanno sempre preso la fantascienza terribilmente sul serio. Così sul serio da ritenere possibili obiettivi che altrove sarebbero stati considerati irrealizzabili, come andare sulla Luna, realizzare personal computer grandi quanto una scatola e connettere questi computer attraverso una rete accessibile per tutti. Oggi gli USA sono ancora la nazione in cui la fantascienza può diventare realtà. Non è un caso che all’Arizona State University, nel settembre 2012, sia stato inaugurato, per esempio, il primo centro di ricerca intenzionato a esplorare la fattibilità di alcune idee di scrittori di fantascienza contemporanei, e a incoraggiare lo sviluppo di nuove visioni del futuro che possano essere realizzate. Il “Center for Science and the Imagination”iv riunisce scienziati, ingegneri e scrittori per elaborare nuove visioni del futuro, libere dal profondo pessimismo di questi ultimi anni, capaci di restituirci la voglia di costruire un mondo migliore sfruttando il progresso scientifico e tecnologico. Neal Stephenson, noto anche in Italia come uno dei più importanti scrittori di fantascienza contemporanei (il suo besteller Snow Crash, pubblicato nei primi anni ’90, è considerato una lucida previsione del futuro di Internet come oggi lo viviamo), è tra i principali testimonial del centro. Insieme a Keith Hjelmstad dell’Arizona State University, ingegnere strutturale, intende verificare la fattibilità di un progetto che ha elaborato negli anni scorsi, esemplificativo della visionarietà che si respirerà al centro di prossima apertura.

Stephenson immagina una torre di acciaio alta 20 chilometriv. Una roba enorme, capace di raggiungere la stratosfera. Se gli aerei partissero da lì e, invece di atterrare, attraccassero a un’altra torre, risparmierebbero moltissimo carburante, quello necessario per il decollo e l’atterraggio. Anche le astronavi risparmierebbero parecchio, perché l’attrazione gravitazionale a quell’altezza è inferiore rispetto al livello del mare. Si tratta della rielaborazione in chiave minore di una vecchia idea della fantascienza, quella di un ascensore spaziale capace di raggiungere l’orbita terrestre senza bisogno di razzi. Qui non c’è bisogno di raggiungere i cento, duecento o mille chilometri di altitudine, ma è sufficiente arrivare agli strati intermedi dell’atmosfera. Si può fare? Hjelmstad pensa di sì. I primi modelli dimostrano che la struttura riuscirebbe a sopportare il suo peso, anche se bisogna vedere se potrà rivelarsi capace di adattarsi agli usi previsti da Stephenson. Se ciò fosse possibile, non dovrebbe essere troppo difficile trovare degli investitori. I guadagni, in prospettiva, sarebbero notevoli.

Su Marte, nessuno può sentirti urlare...
Su Marte, nessuno può sentirti urlare...

Un altro famoso scrittore di science-fiction, il canadese Cory Doctorow, ha lavorato insieme ad alcuni esperti sulla sua idea di inviare sulla Luna delle stampanti 3D, capaci nell’arco di poco tempo di costruire una base per ospitare esseri umani permanentemente. Non bisogna aspettarsi che questi progetti si realizzino subito. Qualora si dimostrassero fattibili, occorrerà un decennio o più per diventare realtà. Ma per Stephenson, vale la pena impegnarsi a realizzarli. «La mia vita comprende l’epoca in cui gli Stati Uniti sono stati in grado di lanciare esseri umani nello spazio. In alcuni dei primi ricordi sono seduto su un tappeto davanti a un grosso televisore in bianco e nero a guardare le prime missioni Gemini. Quest’estate, all’età di 51 anni – non ancora vecchio – ho guardato su un televisore a schermo piatto il decollo dell’ultimo Space Shuttle. Ho seguito il progressivo scemare del programma spaziale con tristezza, anche un po’ di amarezza. Dove sono le mie stazioni spaziali a forma di ciambella? Dov’è il mio biglietto per Marte?». In un suo recente saggio, Neal Stephenson ha spiegato così le ragioni del suo desiderio di impegnarsi a restituire ai più giovani quel futuro che gli è stato sottrattovi. Non un futuro pessimista in cui l’umanità dovrà affrontare i problemi dell’inquinamento, del cambiamento climatico, della sovrappopolazione e della povertà crescente. Ma un futuro di ottimismo e speranza in cui la strada per il benessere del pianeta passa per le stelle.

i Anna Lisa Bonfranceschi, Arthur C. Clarke immagina le comunicazioni satellitari, “Wired.it”, 25 maggio 2012.

ii Science Fiction and the Atom Bomb: the Cleve Cartmill Affair, “LiveLeak.com”, 18 ottobre 2008.

iii Colin Murdock, 6 Earily Specific Inventions Predicted in Science Fiction, “Cracked.com”, 19 novembre 2010.

iv Il sito Internet del centro è: http://csi.asu.edu.

v Jim Giles, Space tower: could we build a stratosphere scraper?, “CultureLab – New Scientist”, 10 settembre 2012.

vi Neal Stephenson, Innovation Starvation, “World Policy Journal”, vol. 28 n. 3, autunno 2011.