La fisica è costellata di previsioni prima teorizzate e solo in un momento successivo dimostrate da ricerche, dati ed esperimenti come è successo, ad esempio, per quelli sul bosone di Higgs (la “particella di Dio”) che hanno confermato le previsioni del Modello Standard della Fisica o per la recente consacrazione delle onde gravitazionali previste soltanto sulla carta da Einstein.
Adesso sembrerebbe che un’altra fetta di fisica sia passata dal mondo dei PC e dei calcoli a quello delle certezze. Parliamo di una parte di massa, fatta di particelle chiamate barioni, della quale si conservava soltanto il lontano ricordo trasportato dalla radiazione cosmica di fondo (l’eco del Big Bang). Secondo i calcoli ne mancava all’appello circa la metà e non ce n’era traccia in dieci miliardi di anni di storia. Insomma non tornavano i conti della materia “visibile” che compone stelle, pianeti, satelliti e altro. Questa materia era presente subito dopo il Big Bang, poi però, a un certo punto, nell'evoluzione dell'universo sembra scomparire, e non la si trovava più.
L’enigma, uno dei più suggestivi dell’astrofisica, sarebbe stato (il condizionale in questi casi è d’obbligo) sciolto da un'equipe internazionale di ricercatori guidata dall'italiano Fabrizio Nicastro dell'Istituto nazionale di astrofisica e che ha coinvolto, oltre ad istituzioni europee e statunitensi, anche l’Università di Trieste, la sezione di Trieste dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), l’Università di Roma Tre e L’Osservatorio di Bologna.
Le nostre osservazioni, giunte dopo 18 anni di incessanti tentativi da parte di diversi gruppi di ricerca nel mondo, hanno finalmente individuato la materia ordinaria mancante dell'Universo. La materia che abbiamo trovato è esattamente nella posizione e nella quantità predette dalla teoria, quindi possiamo dire di aver risolto uno dei più grandi misteri dell'astrofisica moderna: quella dei barioni mancanti
ha dichiarato soddisfatto Nicastro, che aveva già intercettato i nascondigli della massa mancante nel 2005 quando lavorava presso il Centro di Astrofisica Harvard-Smithsonian di Cambridge (Massachusetts – USA).
Adesso la stoccata finale individuando la materia barionica mancante nei filamenti cosmici formati soprattutto da idrogeno ionizzato, molto deboli e difficili da osservare. La scoperta, pubblicata su Nature, si basa sui dati del telescopio Xmm-Newton dell'Agenzia Spaziale Europea.
Dal 2015 al 2017 il telescopio è stato puntato sulla stessa porzione di cielo osservata nel 2005, quella in cui si trova il quasar chiamato 1ES 1553+113, una galassia molto massiccia con un enorme buco nero al centro e che si trova a quasi 5 miliardi di anni luce da noi.
Dal confronto tra le osservazioni effettuate sarebbero state scoperte serie di deboli righe di assorbimento dovute alla presenza di enormi quantità di barioni nascosti nel materiale caldo e gassoso che si estende anche per milioni di anni luce tra una galassia e l'altra.
Uno dei ricercati più famosi dell’astrofisica moderna si nasconderebbe in una sorta di ragnatela filamentosa che attraversa il cosmo. Se confermata, questa scoperta aiuterebbe a conoscere meglio il nostro universo e soprattutto uno degli aspetti più nebbiosi dell'universo primordiale: come si sono formate le galassie.
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