Uscendo dalla sala, dopo la visione di Solo: A Star Wars Story, la domanda che sorge è una sola: perché?
Abbiamo smesso da un pezzo di credere a Babbo Natale o altre favole e quindi siamo consapevoli del fatto che la Disney è una major nata per produrre dividendi, e non una società di beneficenza votata a compiacere il pubblico e basta. Nonostante ciò, o forse proprio per questo, non si capisce come la Disney non riesca a comprendere quali siano le migliori strategie per creare un universo e portarlo avanti per decenni visto che nel suo parco di produzioni risiede il Marvel Comics Universe.
È inevitabile, infatti, paragonare i due universi narrativi e allo stesso tempo scoprire come l'uno non riesca a imparare dagli errori dell'altro.
I fumetti Marvel (altra major che per sua propria natura doveva all'epoca fare i conti sulla tiratura delle proprie pubblicazioni) conobbero una epoca di espansione selvaggia nel ventennio 1980/2000 dove ogni personaggio venne sfruttato al midollo fino quasi a snaturarli e renderli solo mere operazioni commerciali almeno nella maggioranza dei casi.
Ma proprio grazie a quest'epoca inflazionata, la Disney ora può gloriarsi di un MCU coerente ed epico, che attinge al meglio di quei decenni di produzioni non sempre ottimali ma talvolta geniali.
Alle spalle di Star Wars invece ci sarebbe un universo espanso che è stato rinnegato, e qualche buona produzione di serie a cartoni (Clone Wars e Rebels) compresa nel canon. Ma ancora, indubbiamente, poco per costituire un background narrativo tale da poter creare una base solida.
Lucas, quando scrisse e diresse Una Nuova Speranza – Episodio IV, bontà sua, ideò una storia perfettamente modellata sui canoni del Viaggio dell'Eroe di Vogler a sua volta basato sui libri di Joseph Campbell, e talmente avvincente da entrare nell'immaginario collettivo come poche altre.
Ma era, appunto, una singola storia, pensata come una trilogia. Dove nel viaggio iniziatico di Luke si inseriva il viaggio iniziatico dell'altra figura archetipica, quella dell'Imbroglione/Amico, rappresentato da Han Solo, che a sua volta partiva da canaglia a tutto tondo per diventare eroe e, dopo la morte e risurrezione nella grafite, generale degno consorte della principessa Leia Organa.
Dopo un gap di decenni ci hanno permesso di ritrovarlo a guasconeggiare ancora in Episodio VII finché non ha trovato una morte funzionale al viaggio del nuovo eroe Kylo Ren.
Ed è con questa consapevolezza che si va in sala a vedere Solo – A Star Wars Story, lo spin off dedicato all'avventuriero contrabbandiere. Una consapevolezza che alle volte, purtroppo spegne la suspense necessaria a creare il pathos.
Un film che ce lo presenta all'inizio del suo primo viaggio di conoscenza, chiedendoci di far finta di non sapere, da un lato, come finirà, mentre ammicca in numerose occasioni cercando di suscitare emozioni con puro fan service rinnegando proprio la richiesta iniziale di far finta di non sapere chi abbiamo davanti.
Non ho intenzione di parlare della performance di Alden Ehrenrheich, che, semplicemente, non è Harrison Ford, come non lo era Sean Patrick Flannery in Young Indiana Jones, e qui la sospensione dell'incredulità ci può stare in entrambi i casi e nemmeno voglio soffermarmi sui veloci passaggi di incongruenza della storia anche se la sceneggiatura di Kasdan è comunque apprezzabile.
Quello che non riesco a digerire fino in fondo è la motivazione di questo film.
Capisco che sia utile far uscire un film all'anno riguardante l'universo di Star Wars per motivi di incasso e progetto produttivo, ma dopo aver apprezzato appieno Rogue One, quantomeno per la disperata morale da tempi di guerra in cui nessuno si salva, non si riesce ad apprezzare fino in fondo un prodotto come questo che mostra solo un impegno da compitino ben fatto da parte di Ron Howard nel rendere storia ed azioni lineari e fruibili senza particolari guizzi, così tanto per mantenere accesa la fiammella pilota nella caldaia e nulla di più.
Le difficoltà produttive che hanno portato all'ingresso di Howard a film avviato (e che lo hanno spinto a rigirare il settanta per cento della storia) sono forse uno dei pochi motivi che permette di guardare a storia e personaggi trattati in maniera superficiale poco al di sopra del livello archetipico minimo, senza lasciarsi andare a manifestazioni di delusione profonda.
Si apprezza il lavoro delle scene di azione, non si capisce come un gruppo di avventurieri si metta insieme e ci resti in maniera così veloce (e il paragone al primo Guardiani della Galassia viene spontaneo) ci si lascia andare ad un momento di commozione quando finalmente vediamo la coppia giovane di Ciube e Han pilotare il Millenium Falcon (ma non basta). Si segue con piacere il mentore di Han interpretato da Harrelson fin troppo pulito per essere un bastardo fino in fondo.
Ma non ci siamo fino in fondo. Nemmeno con il ripescaggio di uno dei migliori cattivi della saga nel finale del film (e non riveliamo chi per amore di trama).
Richiamare le vecchie generazioni di fan con l'idea di vedere la gioventù di Han Solo e allo stesso tempo fare in modo che portino le nuove generazioni (i propri figli, magari) per condividere una bella avventura spaziale giocata con i toni del western, dell'heist movie e del noir poteva essere una buona idea. Ma alla fine quello che resta è un sapore neutro e nessuna voglia di rivederlo.
Intendiamoci, una visione al cinema la vale, per gli effetti, la regia e tutto quello che rende bene sul grande schermo, ma alla fine che questo spin off ci sia o meno non intacca di nulla il potenziale e lo sviluppo della saga.
Se poi ci aggiungiamo che il miglior personaggio femminile (quello di Thandie Newton) viene fatto morire nel primo terzo del film, e per il resto l'unica donna è interpretata da Emilia Clarke con la sua solita espressione da Daenerys, che non mutava nemmeno in Terminator e che qui invece dovrebbe costituire il seme della donna avventuriera che renderà Leia irresistibile per Han si resta solo basiti di una simile scelta.
Insomma, prima o poi la Disney doveva incappare in un incidente del genere. Di sicuro niente di irreparabile (come ad esempio il Fantastic Four della Fox) ma forse, magari auspichiamo, uno spunto di riflessione che porti a costituire come per il MCU la figura di un produttore super partes che sappia quale direzione dare all'intera saga narrativa e possa dare indicazioni di massima ai singoli registi per dirigere la rotta dei film a venire.
Sempre che la Disney voglia rivolgersi, per Star Wars, ancora ad un pubblico adulto.
Se invece la saga di Lucas è destinata, nei loro progetti, a diventare un prodotto per famiglie, allora la strada è questa, con buona pace di quello che fu.
E ognuno sarà libero di scegliere se seguirla o meno.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID