Una tuta bianca galleggia nello spazio. Sulla visiera a specchio si riflette la curvatura azzurra della Terra. L'astronauta è alle prese con la riparazione di alcuni pannelli solari della Stazione Spaziale Internazionale ed è fuori già da qualche ora. Una telecamera segue attentamente il suo lavoro preciso e silenzioso quando, a un certo punto, l'inquadratura stringe su una manica della tuta, dove campeggia il logo di una celebre catena di fast food. Poi allarga, per dirigersi sul petto dell'astronauta, verso la targa di una nota marca di sigarette. Sul casco si intravede il marchio di una casa produttrice di computer.

Una volta era fantascienza, adesso non più. Ben presto i loghi delle agenzie spaziali verranno infatti affiancati da etichette a sfondo assai più prosaico. Del resto, anche per supplire a problemi di budget, le agenzie spaziali sembrano ormai costrette a intraprendere una "via commerciale" che apra allo sfruttamento economico dello spazio e porti nelle casse delle agenzie soldi per finanziare le missioni. A questo proposito, le agenzie spaziali europea e quella italiana hanno siglato un accordo per lo sfruttamento commerciale della Stazione Spaziale Internazionale. Nello storico protocollo d'intesa, l'ESA e l'ASI invitano le imprese italiane ed europee a sponsorizzare i progetti di ricerca svolti a bordo della stazione orbitante. "La commercializzazione dello spazio sarà la realtà degli anni 2000," ha commentato l'accordo Sergio Vetrella, presidente dell'ASI. "Siamo agli inizi, per questo è giusto che l'Italia ci sia fin dal primo momento." E per capire quanto quest'accordo sia storico, basti pensare che è la prima volta che un'agenzia spaziale occidentale "apre" ufficialmente le porte agli sponsor, cosa che i Russi, in grave crisi di finanziamenti dopo il crollo del colosso sovietico, hanno già fatto nel 1999 quando riuscirono a vendere dieci metri di spazio pubblicitario sul fianco di un razzo Proton diretto alla Stazione Spaziale Internazionale, alla catena mondiale di ristoranti "Pizza Hut". Per questo è lecito pensare che, visti i cronici problemi di finanziamenti in cui versa la NASA, anche l'ente spaziale americano non tarderà a intraprendere la stessa strada. Insomma, per lanci e ricerche i finanziamenti pubblici non bastano più, ha spiegato Vetrella e sembra dunque che stiamo per assistere a un nuovo capitolo della conquista dello spazio, un capitolo commerciale che potrà forse dare l'impulso a quelle imprese che ai tempi dell'Apollo 11 sembravano imminenti, ma che non vennero mai realizzate per la sopraggiunta mancanza di istanze politiche.

E in questo nuovo corso, l'Italia sarà in prima linea. L'accordo, infatti, ha già un pioniere italiano. Si chiama Roberto Vittori e partirà dalla base russa di Baikonur con un volo Soyuz il prossimo 25 aprile, per la missione "Marco Polo", prima missione sponsorizzata dell'ESA. Vittori non avrà ancora il marchio di un'azienda sulla tuta solo perché non c'è il tempo materiale per costruire una tuta nuova ma, dicono all'ASI, qualunque sia la forma di sponsorizzazione, l'azienda che si aggiudicherà il contratto ne ricaverà un ritorno d'immagine di grande rilievo.

Ad ogni modo, sembra che, almeno per ora, la "pubblicità spaziale" non sarà costuita da una semplice applicazione di un marchio sulla tuta ma, come afferma il comunicato dell'ESA, da qualcosa di più ampio. La volontà delle agenzie spaziali è infatti di far associare il nome delle aziende "al più grande progetto internazionale di ricerca scientifica e tecnologica in campo spaziale mai realizzato," ovvero la Stazione Spaziale Internazionale. ESA e ASI cercano quindi "società la cui missione sia coerente con il miglioramento della qualità della vita sulla Terra," una dichiarazione che esprime il desiderio delle agenzie spaziali di non stravolgere gli scopi e, soprattutto, gli ideali che stanno alla base della SSI. Per questo c'è tempo.