Dal suo debutto negli anni ’60 Star Trek è andato ritagliandosi uno spazio tutto suo in ambito fantascientifico, diventando una serie cardine del genere. La creazione di Gene Roddenberry ha avuto varie incarnazioni, l’ultima delle quali era stata la assai poco memorabile Star Trek: Enterprise, chiusa nel 2005. Si trattava di una serie afflitta da 'affaticamento da franchise', con un team creativo e produttivo capitanato da Rick Berman ormai spossato, spremuto come un limone e tragicamente a corto di idee fresche dopo sette stagioni di The Next Generation (178 episodi), sette stagioni di Deep Space Nine (176 episodi) e sette stagioni di Voyager (172 episodi). Una pausa dunque era più che necessaria e, mentre la serie subiva un reboot cinematografico, sul piccolo schermo per oltre un decennio la sola presenza Trek è stata costituita da repliche.
Nel 2015 viene annunciata ufficialmente la produzione di una nuova serie, intitolata Star Trek: Discovery, creata da Bryan Fuller e Alex Kurtzman, entrambi con precedenti esperienze nel mondo Trek: Fuller era stato nel team degli sceneggiatori per DS9 e VOY e poi aveva proseguito la sua carriera creando serie come Dead Like Me e Hannibal mentre Kurtzman, collaboratore di lunga data di J.J. Abrams in Alias e Fringe, è anche uno degli artefici del reboot cinematografico del 2009 e dei suoi seguiti. Inizialmente l’idea di Fuller era quella di essere una serie antologica stagionale, nel senso che ogni stagione avrebbe raccontato una storia dall’inizio alla fine e la stagione seguente sarebbe stata ambientata in un altro periodo, con altri personaggi (un po’ come in Fargo, per intenderci).
Questa impostazione tuttavia non era supportata da tutte le parti coinvolte nella produzione e fu infine abbandonata anche se ne rimane una sorta di ombra, nel senso che la vicenda principale raccontata in questa prima stagione ha un suo inizio, un suo sviluppo e una sua fine. I contrasti con Fuller aumentarono e portarono infine alla rinuncia da parte di Fuller a ruolo di showrunner, ovvero colui che è responsabile della direzione creativa e coordinamento della produzione.
Fuller si dedicò ad American Gods e a sostituirlo subentrarono Gretchen J. Berg e Aaron Harberts, collaboratori di Fuller sin dai tempi di Pushing Daisies. Al team dietro la macchina da presa si aggiunse anche lo sceneggiatore e produttore Akiva Goldsman, che invece aveva precedentemente collaborato con Kurtzman per la serie Fringe. Discovery ha debuttato nel settembre 2017, distribuita sul mercato internazionale da Netflix.
Collocata nella linea temporale Trek tra la già citata Enterprise e la serie originale degli anni ’60, vede ancora una volta la Federazione Unita dei Pianeti in guerra contro i Klingon. Il personaggio principale è Michael Burnham (Sonequa Martin-Green), un’umana cresciuta su Vulcano da Sarek (James Frain), il padre di Spock, dopo che i Klingon avevano ucciso tutta la sua famiglia.
Le prime due puntate – a tutti gli effetti un episodio pilota diviso in due parti – raccontano di come Michael venga condannata all’ergastolo per aver commesso ammutinamento e finisca a bordo della USS Discovery, nave stellare sotto il comando di Gabriel Lorca (Jason Isaacs), personaggio che sin da subito appare alquanto enigmatico. Sulla nave si sta sperimentando un nuovo sistema di trasporto quasi istantaneo che potrebbe rivelarsi fondamentale nel conflitto, ed è proprio a seguito dell’uso intensivo di questa tecnologia sperimentale che la Discovery finisce nell’universo parallelo ‘dello specchio’, il Mirror Universe già introdotto nelle precedenti serie Trek, nel quale esistono versioni alternative dei vari personaggi…
Essendo collocata in un periodo di guerra Discovery ha in generale un tono più cupo rispetto alle precedenti, il che ha fatto dire che sarebbe stata lontana dal ‘vero’ spirito Trek, ovvero quello ottimista della serie originale. Ma anche DS9 già si era discostata abbondantemente da quel modello e del resto ogni incarnazione con le proprie peculiarità rispecchia il periodo storico nel quale è stata realizzata. Inoltre non si capisce in base a quale ragionamento ogni serie Trek per essere definita tale dovrebbe essere uguale alle altre.
La visione di futuro utopico di individui e razze in piena armonia caro a Roddenberry aveva già creato non pochi problemi al team di scrittura agli inizi di TNG. Film e telefilm richiedono conflitti e difficoltà per risultare avvincenti agli spettatori. Una serie dove tutti i problemi vengono risolti sedendosi amabilmente intorno a un tavolo e trovando un accordo negoziando, sebbene auspicabile nella realtà, risulterebbe di una noia mortale: lo si può fare in certe circostanze, per qualche episodio, ma chiaramente non reggerebbe nel medio-lungo termine.
Da questo punto di vista la nuova arrivata non si fa mancare niente, al punto che sin dalle prime due puntate siamo in pieno assetto di guerra e il personaggio centrale di Michael (sfaccettato e tormentato, molto ben reso dall’ottima Martin-Green, lanciata da The Walking Dead) si trova di fronte a scelte difficili e dilanianti, cosa che non migliora – anzi – nel resto della stagione. Degli altri personaggi principali ci limitiamo a segnalarne un paio.
Per primo Saru, un kelpiniano, razza in grado di percepire i pericoli prima che si manifestino interpretato dal sempre eccellente Doug Jones, abituato ai pesanti trucchi prostetici che lo hanno reso irriconoscibile in film come Hellboy e La forma dell’acqua di Guillermo del Toro. Poi Sylvia Tilly, la giovane cadetto le cui insicurezze ma anche slanci altruistici sono resi perfettamente dall’attrice che la interpreta, Mary Wiseman (Longmire), alla quale sono affidati anche alcuni dei momenti più leggeri e divertenti, legati alla sua inesperienza.
Complessivamente la prima stagione soffre di una certa disomogeneità che deriva assai probabilmente da un team di scrittura ancora in fase di rodaggio. Cosa comprensibile, considerando anche i cambiamenti di showrunner e dunque di ‘direzione’, tra l’altro altre serie Trek hanno avuto delle prime stagioni ben peggiori di questa (TNG in primis, ma anche DS9 nel primo anno zoppicava vistosamente). La puntata meno riuscita risulta essere la 1.8, Si Vis Pacem, Para Bellum, mentre la palma per la migliore va decisamente alla 1.10, Vostro malgrado, diretta da Jonathan Frakes, noto per aver vestito a lungo i panni di Riker in TNG e che da tempo si dedica soprattutto alla regia (nella foto sopra lo vediamo sul set). Questo tra l’altro è l’episodio che imprime una svolta decisiva sia di trama che di ritmo: con l’arrivo della Discovery nell’universo dello specchio la serie ingrana una marcia superiore, la narrazione si fa meno tentennante e trova un filo narrativo più deciso e avvincente.
Qualche perplessità riguarda l’aspetto dei Klingon, ma non tanto per il fatto che sono molto diversi da quelli visti per anni in TNG e DS9, che a loro volta erano diversi rispetto a quelli della serie classica, quanto piuttosto per il fatto che il nuovo make up ha dei pro e contro: è più facile da mettere e togliere per gli attori ma al tempo stesso compromette un po’ la loro capacità di parlare, e recitare, in modo naturale.
Dal punto di vista degli effetti visivi siamo certamente sopra la sufficienza ma ben lontani dall’eccellenza. Pixomondo (la compagnia principale a cui sono stati affidati i VFX, affiancata da Spin VFX e Crafty Apes per quelli addizionali) ha adottato colori saturi e abbondato nei famigerati lens flares, i riflessi sulle lenti ricollegabili allo stile visuale di JJ Abrams, ma il design dei modelli CGI è assai semplice, con vari problemi di texture e resa delle ombre dovuti forse al fatto che, come rivelato da Kartzman stesso, la serie era inizialmente sotto budget per questo aspetto, per cui il prodotto finito è stato penalizzato da un tempo di postproduzione non sufficientemente lungo. Ma questo è un campo dove la competizione è intensissima e basta vedere gli eccellenti VFX offerti da un’altra serie su Netflix come Lost in Space per notare la differenza.
Concludendo si può dire che Discovery è una buona serie ma che deve ancora trovare una sua chiara identità e migliorare la scrittura e certi aspetti tecnici, a partire dai VFX. A partire dalla seconda stagione, che è già in lavorazione, speriamo di conoscere meglio anche gli altri membri dell’equipaggio, sinora poco definiti e relegati a ruoli piuttosto marginali. Il finale di stagione nonostante vari problemi (la fine della guerra Klingon appare affrettata e vari altri nodi narrativi vengono risolti troppo facilmente o semplicemente lasciati perdere) nel complesso funziona e riesce a riagganciarsi senza ombra di dubbio all’universo Trek dei decenni scorsi, con l’apparizione dell’Enterprise a fare da suggello a tutto ciò. La pista delle stelle, per chi vorrà percorrerla, è ancora aperta.
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