Quando si parla di precursori della letteratura di fantascienza si cita anche Mary Wollstonecraft Shelley e la sua opera più nota: Frankenstein o il Prometeo moderno, pubblicata nel 1818, di cui proprio quest'anno ricorrono i 200 anni dalla prima pubblicazione. Per lo studioso francese Jean Gattegno e lo scrittore e critico inglese Brian Aldiss la fantascienza moderna è iniziata proprio con il romanzo della Shelley.
Al di là dell’attribuzione del romanzo della scrittrice inglese fra quelli che hanno contrassegnato la science fiction, resta il fatto che Frankenstein segna la rottura con il romanzo gotico del 700, di cui è comunque figlio, e apre la strada ad una letteratura più attenta alla realtà in cui nasce e alla scienza, tanto che si può affermare non solo che è il romanzo che segna l’apice della cosiddetta rivoluzione scientifica, ma è anche il romanzo simbolo della rivoluzione industriale, che proprio in quegli anni muoveva i suoi primi passi.
Frankenstein è, dunque, allo stesso tempo il primo testo narrativo che utilizza l’impulso d’una scienza in piena espansione, ma è anche l’ultimo esempio di quella letteratura che si nutriva di storie tormentate e ricche di eventi sanguinari o profezie di sventura, di ambientazioni cupe e lugubri, di personaggi soprannaturali. Questi due elementi convivono e sono simbolicamente rappresentati dai due protagonisti del romanzo: il Mostro e lo Scienziato.
Vale la pena ricordare, seppur note, le circostanze entro le quali prese forma il romanzo: nell’estate del 1816 Mary e il marito, il poeta Percy Bysshe Shelley, si recarono a Villa Diodati, la residenza che Lord Byron aveva affittato sul lago di Ginevra. Qui, per ingannare la noia di un’estate piovosa, i tre si diedero alla lettura di storie di fantasmi; la cosa li ispirò a tal punto che decisero di imitarne il genere. I tre intavolarono una discussione riguardante il “segreto della vita”, ovvero su alcuni esperimenti condotti dal fisico Erasmus Darwin, nonno del più famoso Charles, che aveva infuso nuova vita, grazie all’elettricità, in un gruppo di piccoli vermi. Sempre di quel periodo sono gli esperimenti di Galvani, che con la sua pila era in grado di far contrarre i muscoli di una rana morta. Tutti questi fatti affascinarono e influenzarono Mary Shelley, tanto che, durante la notte, ebbe un incubo nel quale immaginò un uomo animato da una macchina. Al mattino riportò su carta il suo sogno e, incoraggiata dal marito, ne tirò fuori un romanzo che diventò famoso in tutto il mondo con il titolo di Frankenstein o il Prometeo moderno.
Il romanzo fu pubblicato per la prima volta nel 1818, in tre volumi e Mary aveva solo diciannove anni. Percy Shelley ne curò la prefazione e, finché non fu aggiunto il nome della moglie, gli fu attribuita l’opera intera.
La stessa Shelley, nell’introduzione al romanzo, formalizzerà l’ambiguità stessa della sua opera, nuova per la sua dichiarata paternità nei confronti delle scienze naturali, ma legata anche alla letteratura gotica e ai suoi stereotipi narrativi. Del resto nella storia del barone Victor Frankenstein che, ribellandosi alla morte della madre, studia come riportare in vita i morti, creando quella mostruosa creatura che alla fine vedendosi respinta dal suo creatore si vendicherà, ci sono tutti gli elementi caratteristici della letteratura gotica.
La vera chiave di volta della narrazione è nella figura del Mostro, o meglio della “creatura”, come viene definita nel romanzo, materializzazione vivente delle nostre paure. Frankenstein ossessiona, perseguita, rompe ogni regola. Leggere la storia della creatura costruita dal barone Victor Frankenstein, convinto assertore del galvanismo, assemblando pezzi di cadavere e riportata in vita mediante una potentissima scarica elettrica, significa specchiarsi in lui: corpo deforme in pezzi, sommariamente ricucito, incapace di riconoscersi nel prossimo e di ricevere quell’amore che disperatamente richiede.
Frankenstein non è semplicemente il risultato di un esperimento, ma è una creatura umana, forse anche più del suo creatore. In ogni caso si può affermare che la solitudine del mostro è la solitudine di Mary e forse il successo che il romanzo ha ottenuto è dovuto proprio al fatto che la storia è incentrata essenzialmente sull’eterna paura dell’uomo della solitudine. La solitudine di cui la creatura è costretta a nutrirsi è quella di un essere che sa di essere condannato a restare escluso dalla società: è un diverso, un emarginato che si allontana anche dalla sua naturale indole alla bontà. Si ritrova emarginato anche dal suo stesso creatore, tanto da trasformare la sua iniziale energia positiva nella violenza più cruda: l’omicidio.
Il mostro non è la creatura ottusa e brutale che la tradizione cinematografica da Karloff in poi ci ha rappresentato, ma un essere sensibile che soffre dell’inappellabile condanna che l’umanità intera, influenzata unicamente dal suo aspetto, ha pronunciato contro di lui. Al suo creatore, al responsabile della sua infelicità, il mostro rivolge un ultimo e disperato appello ma, scacciato anche da questi, seminerà intorno a lui la morte e la distruzione.
Molti hanno hanno riletto nella storia di Frankenstein la vicenda biblica di Adamo ed Eva, dove il mostro è Adamo scacciato dal paradiso e lo scienziato è Dio. Ma non c’è dubbio che il mito fondatore del romanzo è quello di Prometeo, cui lo stesso titolo fa riferimento.
La Shelley associa il dottor Victor Frankenstein a Prometeo, il Titano che, nella mitologia greca, prese le parti dell’umanità contro gli dei, dai quali rubò il fuoco con lo scopo di consegnarlo ai mortali. Prometeo consegna agli uomini il libero pensiero, la ribellione all’autorità costituita, la scienza contrapposta alla rivelazione. Non a caso all’inizio dell’opera è stata posta dall’autrice una citazione tratta dal Paradise Lost di Milton, grazie ai quali Frankenstein è paragonato a Dio e la creatura ad Adamo. In questo senso la creatura rappresenta un uomo nuovo, un uomo che attraverso la scienza e la tecnica si ribella alla visione religiosa del mondo e della natura. Un romanzo che ancora oggi affascina decine di migliaia di lettori, a duecento anni dalla sua prima pubblicazione.
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