Quando si dice Futurismo si pensa al passato. A una stagione lontana e a un’immagine un po’ sfocata, popolata da signori in abito scuro, cappello duro e baffi a manubrio. Immobili nella posa davanti al fotografo, con la macchina a soffietto poggiata a terra. Così contraddittori: Marinetti che uccide il chiaro di luna e poi entra nell’Accademia d’Italia; così sprovveduti: fascisti della prima ora di cui Mussolini si sbarazza assieme ai suoi trascorsi avanguardisti nella ricerca dell’ordine; così sfortunati: Boccioni che muore a soli trentatré anni cadendo da cavallo, ma che da solo può rappresentare nel mondo la scultura moderna. Niente che faccia pensare al futuro. Nemmeno le loro poesie spezzate, sparse sul foglio bianco a ricercare un disordine grafico, né le loro pitture spaziali; il tutto ammantato di irrequietezza, ricerca impaziente di movimento, inni alla giovinezza. Ma non è più quello di una volta, così fissato per sempre in un dagherrotipo ingiallito che mostra tutta la sua età. Oltre un secolo. Eppure, nella sua confusa aspirazione all’azione, il Futurismo è stato il primo movimento che abbia guardato al futuro con determinazione, ricercando nuove forme espressive. Come tutti i movimenti d’avanguardia, ha prodotto una tale ricchezza d’informazione da ridurre il piacere della fruizione e rischiare di non essere compreso. La sua carica rivoluzionaria, irrazionalista e irriverente ha cambiato il modo di vedere il mondo. Dal positivismo ottocentesco ha tratto piena fiducia nella tecnica e l’ha usata per forgiare il domani all’insegna del progresso. Quell’idea di futuro così poco praticata dalla cultura, occupata a guardarsi indietro, al passato fatto di certezze, ricordi, valori. Il Futurismo ha avuto il coraggio di rompere con una tradizione che valutava il passato più del presente e si è spinto avanti, senza reti di protezione, improvvisando per svecchiare la società. Non potevano sapere – quegli uomini dalle furiose velleità interiori – che l’esaltazione della guerra come «sola igiene del mondo», del nazionalismo e della violenza si sarebbe risolta in un futuro indesiderabile. Non sapevano cosa avrebbero riservato loro gli anni a venire, ma hanno invocato il cambiamento per la sola volontà di cambiare. IF rende omaggio a quel movimento che osò guardare al futuro con occhi totalmente originali con questo numero monografico, curato da Alessandro Scarsella dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Oltre a questi, un particolare ringraziamento a Gianfranco de Turris per la sua preziosa collaborazione nel reperimento di documenti e a Guido Andrea Pautasso, rivelatosi una vera “miniera inesplorata” di informazioni di prima mano. Oltre alla parte monografica i lettori troveranno la sezione di “Senza traccia” (con la storia dei razzi di Renato Giovannoli), i racconti (Carlo Menzinger, Vitaldo Conte, Max Gobbo e Uduvicio Atanagi) e le consuete recensioni. (Editoriale. Il Futurismo non è più quello di una volta, di Carlo Bordoni).
IF – Rivista, Odoya, pagg. 176, Euro 14 (acquistando dal sito sconto del 15%).
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