Dalla creazione della prima Stazione Spaziale Internazionale (1998) scaturisce col passare dei secoli una vera e propria città intergalattica, Alpha, dove migliaia di razze convivono quando ormai è ben lontana dall’orbita terrestre.  Siamo nel 28° secolo e su ordine del comandante Filitt (Clive Owen) il maggiore Valérian (Dane DeHaan) e il sergente Laureline (Cara Delevingne) vengono inviati in missione proprio su Alpha per cercare di recuperare al mercato nero l’ultimo dei convertitori Mül esistenti, capaci di replicare ogni cosa. Valérian ha un sogno nel quale assiste alla distruzione di un mondo pacifico, dove un popolo di umanoidi che vivono sulla sponde di un grande oceano viene catastroficamente attaccato dallo spazio. Ma si tratta davvero solo di un sogno? E quali imprevisti si nascondono a Big Market, il grande mercato virtuale multidimensionale situato in mezzo a un deserto, dove tutto può essere venduto e comprato?

Luc Besson accarezzava da molti anni l’idea di trasportare sul grande schermo uno dei fumetti preferiti della sua gioventù, quel Valérian e Laureline scritto da Pierre Christin e disegnato da Jean-Claude Mézières che è stato pubblicato con grande successo nei paesi francofoni dal 1967 al 2010. Nel suo adattamento Besson ha mantenuto l’enfasi sul piano avventuroso, avendo chiaramente in testa di realizzare un film di puro intrattenimento. Ne è uscito un film esteticamente ricco, piacevolmente spensierato ma certamente non memorabile.

A funzionare a dovere è decisamente l’aspetto visivo. Forte di un budget che sfiora i 180 milioni di dollari (un record in fatto di produzioni indipendenti non collegate alle grosse majors hollywodiane) Valerian e la città dei mille pianeti è colorato, sgargiante e sontuoso, e la lunga sequenza nell’intricato grande mercato virtuale è un assalto sensoriale che forse giustifica da sola la visione del film in sala. Visivamente la qualità è garantita dal fatto che i principali effetti visivi se li sono spartiti la statunitense Industrial Light & Magic e la neozelandese Weta Digital, ovvero le due principali aziende in questo campo al mondo, e da questo punto di vista il film è decisamente soddisfacente, un vero piacere per gli occhi. Per chi preferisce la visione stereoscopica in 3D, curata da Southbay, anche qui tecnicamente siamo ad alti livelli.

A funzionare meno quasi tutto il resto, a cominciare dal cast. Dane DeHaan era perfetto in Chronicle di Josh Trank (2012) ma qui appare anonimo e sfocato, decisamente fuori parte. Cara Delevingne dal canto suo viene dal mondo della moda e solo negli ultimi anni sta cercando di affermarsi anche come attrice, ambito nel quale deve ancora affinarsi, tra i due tuttavia è lei a lasciare più il segno. Purtroppo la sceneggiatura, firmata dal solo Besson, non approfondisce i personaggi e li coinvolge entrambi in schermaglie romantiche pre-matrimoniali che non solo non aggiungono niente alla trama ma sono anche banali e scontati. Ci sono poi tutta una serie di cameo nessuno dei quali particolarmente memorabile, anche se i fan di Rihanna si godranno certamente le sue trasformazioni da mutaforma in quello che è praticamente un costoso video musicale inserito in mezzo al film, ben lontano dalla performance della cantante lirica in Il quinto elemento, altro film di Besson col quale questo ha evidentemente molti punti in comune in termine di ispirazione concettuale e visiva (anche il direttore della fotografia, Thierry Arbogast, è lo stesso) .

Lascia perplessi il fatto che il regista francese abbia deciso di cancellare il nome della co-protagonista Laurelin dal titolo del film, quando invece nel fumetto i due personaggi stanno esattamente sullo stesso piano sin, appunto, dal titolo e nessuno è secondario all’altro. E per quanto Besson sia un autore solido per immaginazione visiva e messa in scena, come sceneggiatore non è proprio il massimo. Qui non è andato oltre la creazione di un fumettone nel senso più letterale del termine. Il risultato è visivamente strepitoso e si lascia vedere con piacere, nonostante alla fine lasci la sgradevole sensazione di aver assistito un po’ a un’impresa solo parzialmente riuscita: la sufficienza è raggiunta, ma forse a questo punto della sua carriera da Besson sarebbe stato lecito aspettarsi qualcosa di più incisivo.