Per onestà bisogna ammetterlo, accostare Capitan Klutz ai fumetti di supereroi ci azzecca meno di quanto farebbe un post-it su di un vetro bagnato.
Non c’era altra strada che ricorrere a un piccolo trucco, comunque, per poter sdoganare alla platea fantascientista un soggetto che ci stava nel cuore. Cosa avremmo mai inventato altrimenti per parlare del Re degli Svitati, il Dio dei Pazzerelli, il Gran Mogol dei zuzzerelloni, ovvero Don Martin?
Per i distratti e i più giovani vale la pena ricordare che il disegnatore del New Jersey è stato dal 1956 al 1988 uno delle colonne portanti di Mad, la rivista di Kurtzman e Gaines che in materia di sanità mentale non ha mai fatto scuola.
Pubblicando in compagnia di giganti come Wally Wood, Mort Drucker o il recentemente scomparso Jack Davies, Don Martin affianca sulle pagine del magazine il fior fiore dei cartoonist americani, tutti in gara nel trovare nuovi territori di irriverenza, satira sfrenata e oltraggiosa comicità. Tra questi big, le tavole di Martin non fanno ridere, fanno sganasciarsi dalle risate, e ciò gli assicura un comparto personale, il Don Martin Dept. oltre all’invidiabile titolo di “Mad’s Maddest Artist” – che potrebbe essere il vanto di qualunque squilibrato.
Per avere un’idea dello stile dell’artista è istruttivo fare un giro sulla sua homepage, dove campeggia a pieno schermo il faccione di un imbecille che si scaccola, mentre la giff di una mosca (fastidiosissima, peraltro) gli svolazza intorno a tormentare l’udito del visitatore. Tra auto-interviste in cui Martin riesce a prendere per i fondelli anche se stesso, gallery di lavori e schizzi, si familiarizza con l’universo sbracato e mai volgare del grande fumettista, dotato di un segno inconfondibile e della capacità cinetica di un cartone animato.
Il mondo che ci racconta Don è un meccanismo strambo e incomprensibile, menzognero, tendente al fallace, abitato da un branco di comparse passate per caso a constatarne l’assurdità.
Le storie brevi sono un tripudio di gonzi dai piedi piatti accartocciati che
alternano l’iperattività allo stupore, incappando nei peggiori disastri con la flemma di chi in agenda ha un appuntamento con Godot.
Per quanto riguarda i suoi eroi “fissi” lo status intellettuale non migliora, dal momento che sono tutti nerd che più nerd non si può a partire dai nomi astrusi – vedi Fester e Lester Bestertester oppure Shmelvis Parsley. Non fa eccezione l’alter-ego di Ringo Fonebone, dotato di uno pseudonimo dalle origini yddish che suona secco come un insulto e sembra il rumore di una mandibola che cozza sul pavimento.
Il timido Ringo è nientemeno che Capitan Klutz, il giustiziere della domenica.
Già, perché quest’imbranato in pigiamone di flanella e braghe a pois, con le sue alucce sulla maschera e il mantello d’ordinanza, di mestiere farebbe proprio il super-eroe.
Escludendo ogni parentela con l’omonimo graduato del ’43, nemico della Torcia Umana in versione Timely Comics, all’origine del personaggio c’è il clima di frenesia scatenato nel 1966 dall’apparizione televisiva di Batman, dominatore del piccolo schermo di cui condiziona in breve tempo il gusto e le mode con la propria estetica pop.
In questo Bat-contesto fatto di divismo e merchandising, il progetto “K” nasce a tavolino un anno dopo, attraverso un trust di cervelli impegnati a costruire l’antitesi del personaggio di Kane e dei suoi principali cliché, rigirati in una farsa senza vergogna.
Dick DeBartolo, Phil Hahn, Jack Hanrahan, insieme a Don Martin nel doppio ruolo di sceneggiatore/disegnatore, definiscono le linee guida del fumetto tenendo ben d’occhio il suo potenziale sfruttamento commerciale. Per questo motivo la prima apparizione di Klutz avviene su di un paperback della Signet Book, mentre su Mad lo si vedrà in 14 uscite gestite da un contratto a parte. Demenziale sì, dunque, ma scemo per niente.
Il capitano in pigiama, in ogni caso, non emula la sagacia dei suoi creatori e coerente al proprio etimo che vuol dire “inetto” e “fuori di testa”, eleva la goffaggine al rango di superpotere, rendendo Pippo e Mister Bean dei dilettanti della catastrofe.
Le stimmate dell’eroe mascherato ci sono tutte: dall’uniforme ai gadget personalizzati, come il klutz-martello, o le klutz-pantofole, per arrivare persino alla klutz-ombra.
Non manca il mito di origine, in cui il fessacchiotto drogato di comics Ringo Fonebone, in seguito allo sfratto di un’affittuaria arcistufa, tenta il suicidio buttandosi da un palazzo e nella caduta si trova fortuitamente fornito di cappello e cappa, atterrando sul cocuzzolo di un pericoloso criminale. Il resto va da sé.
Dato che il corollario di un eroe sono i suoi avversari, una galleria di cattivi soggetti gli fanno da degna controparte. Incontriamo così tipi in calzoncini corti come Sissyman (Sissy = femminuccia) dotato di armi che sparano gelato al pistacchio, o il dinamitardo dalle fattezze rabbiniche Mervin the mad Bomber, o gli Zombies di Megapolis e ancora il mostro Gorgonzola, che pare un incrocio maldestro tra una blatta e uno yeti.
Inutile dire che gli sforzi generosi di combattere il crimine prodotti da Klutz vanno di solito a buon fine, con soddisfazione del capo della polizia ‘O Freenbean. L’unico neo è che le azioni del Capitano sono sempre estranee ai propri risultati, innescati da una catena di effetti collaterali, tutti casuali e devastanti in stile Laurel e Hardy.
Nelle 33 pagine di “Captain Klutz Meets Gorgonzola” il nostro eroe fronteggia la sua nemesi gigante scoprendone la vera natura robotica. In “The case of the chicken soup” scoperchia il racket della perfida vecchiarda Granny Santini e in altre sortite risolve a suon di cadute, inciampi ed equivoci i casi più svariati, condendo le acrobazie e le legnate con un altro grandissimo asso nella manica di Martin, le sue celebri onomatopee.
Premettiamo che la sonorizzazione grafica appartiene al fumetto, codificando un ampio vocabolario di suoni e rumori con locuzioni facilmente riconoscibili. Una porta sbattuta fa sempre “sbam!”, mentre un singulto produce un “sigh” o un “sob” e un rifiuto può spingersi fino al “pfui”.
A Don Martin tutto ciò non basta e perciò riempie le sue storie di invenzioni fonetiche tipo “Spladap!” (pesce sbattuto in faccia) oppure “Bukkida bukkida bakkida bakkida” (gragnuola di pugni sulla testa), o “Bizzit Zot Zowt Zut Skazat” (trapano dentistico) o ancora “Sploydoing” (esplosione di organi interni a molla che fuoriescono da un addome).
L’edizione italiana delle tavole di Martin non si azzarda a modificarne la forma, a dir poco futurista, e tramite le sporadiche uscite di Mad, edito negli anni ’70 dalla Williams ce ne fa scoprire l’inventiva. Altrettanto meritoria, la rivista Eureka delle edizioni Corno ha pubblicato nello stesso decennio svariate storie di Fester Bestertester e del Capitan Klutz, riproponendoli poi in due pocket del ’75.
Don Martin se n’è andato nel 2000, in Florida, lasciando un eredità di influenze che lasciano tracce da Jeff Smith a Matt Groening.
Abbigliato in camicione bianco e aureola, immaginiamo che attualmente stia giocando a carte con altri stravaganti doc come Jacovitti e Andrea Pazienza, tutti riuniti in una disordinata nuvoletta piena di braghe a pallini, salami, matite e fricchettoni. E per questa volta, il piatto ride.
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