L'idea che l'Homo sapiens sia nato nel Corno d'Africa duecentomila anni fa e rimasto lì buono buono fin quando non ha cominciato a diffondersi nel mondo, circa sessantamila anni fa, sembra essere sul punto di dover essere rivista radicalmente.
A Jebel Irhoud, in una vecchia miniera circa cento chilometri a ovest di Marrakesh, un team di archeologi capitanato da Jean-Jacques Hublin ha trovato, negli ultimi anni, diversi resti fossili umani molto antichi. I test per la datazione su un dente e alcuni utensili in pietra hanno dato un responso sorprendente: trecentomila anni.
Se si trattasse, come sostengono Hublin e il suo team, di Homo sapiens, questa scoperta rivoluzionerebbe l'idea attuale secondo cui i primi uomini sono comparsi duecentomila anni fa in Etiopia e rimasti sostanzialmente stanziali per lunghissimo tempo. In realtà già altri fossili scoperti in Sudafrica avevano scosso questa tesi. A quanto sembrerebbe dunque l'Homo sapiens non se ne sarebbe stato tranquillo nel suo "giardino dell'Eden", ma si sarebbe diffuso per tutto il continente Africano. E molto prima di quanto ci aspettassimo.
I resti ritrovati appartengono a vari individui. Insieme a loro numerosi utensili e resti di gazzelle. Un aspetto interessante riguarda gli utensili, che sarebbero ricavati da pietre provenienti da zone distanti diverse decine di chilometri; questi antichi umani quindi sembrerebbero essere arrivati sul posto dopo un lungo viaggio, portando i loro utensili (che erano stati affilati e affilati più volte), con qualche scopo particolare, magari cercando cacciagione.
Se le prime ipotesi avevano attribuito in resti a uomini di Neanderthal, dopo il ritrovamento di altri resti Hublin e il suo staff hanno confrontato i resti con altre specie umane e sono arrivati alla conclusione che si tratti di Homo sapiens. Con qualche differenza – una stazza più muscolosa, un cranio più allungato che proverebbe che il cervello umano si è evoluto all'interno della specie – ma non tali da doverli identificare come specie diversa.
Il volto trovato in questi reperti è il volto di qualcuno che potresti incontrare nel metro di Londra
ha detto Hublin.
Naturalmente, altri archeologi sono prudenti sulle conclusioni di Hublin. Lee Berger, scopritore dell'Homo naledi (anch'esso fatto risalire a circa trecentomila anni fa), dice che Hublin ha messo dei punti ma non è ancora riuscito a tracciare la linea che li unisca. Secondo l'archeologo americano John Shea i resti non soo sufficienti per dare un'indicazione chiara.
Secondo Jessica Thompson dell'università di Atlanta si tratta invece di un caso raro e importantissimo, perché i resti di ominidi risalenti a quell'epoca sono pochissimi, e questa scoperta ci dice molto del loro aspetto e delle loro abitudini.
Questa scoperta porterà certamente a nuove scoperte, nei prossimi anni, che potranno ulteriormente migliorare la nostra conoscenza dell'origine della nostra specie.
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