Il prologo si materializza sotto un cielo trapunto di stelle, in una notte buia, teatro di un appuntamento che si rivelerà gravido di conseguenze, come da copione. E non poteva che essere così, in un videogame che si diletta a prendere di mira mille stereotipi, ricreando un genere troppo presto da qualcuno dato per spacciato, ma per il quale invece non sono mai mancati né uno zoccolo duro di appassionati, né autori capaci di realizzare opere di notevole qualità. Thimbleweed Park, che segna il ritorno in grande stile di Ron Gilbert (i primi due Monkey Island) e Gary Winnick, i quali insieme avevano già firmato un cult come Maniac Mansion, è comunque molto di più della semplice riproposizione ai giorni nostri di un punta e clicca che non trascura nessun aspetto tipico dei classici del passato, tenendo comunque conto dell’evoluzione tecnica compiuta nel frattempo.
Divertente, intriso di quell’umorismo demenziale che aveva contribuito a decretare il successo delle più celebri avventure grafiche della Lucasfilm Games, Thimbleweed Park propone una galleria di bizzarri personaggi ben caratterizzati, sullo sfondo della cittadina che dà il titolo al gioco, dove ci si alterna nei panni di: Angela Ray e Antonio Reyes, due detective il cui arrivo sulla scena del crimine (c’è in effetti un cadavere, del quale pochi in verità sembrano preoccuparsi) si intuisce sia mosso da più di un secondo fine; il clown Ransome dall’imprecazione facile, costretto a fare i conti con le conseguenze di una maledizione scagliata contro di lui; la giovane Delores Edmund, che sogna un futuro lavorativo nel mondo dei videogame, e il padre di lei, Franklin Edmund, trasformato in un fantasma senza che abbia piena cognizione del nuovo stato in cui si trova. La comunità è cresciuta attorno alla fabbrica di cuscini dello zio di Delores, Chuck Edmund, artefice dell’attività un tempo orgoglio di Thimbleweed Park, entrata in crisi però dopo un grave incidente, che si staglia come un mistero nel mistero in quel porto delle nebbie in cui pare essersi tramutata la cittadina. Ecco perché, mentre si percorrono le strade del piccolo centro, sono tante le saracinesche abbassate che si incontrano.
Per venire a capo dell’indagine e capire cosa si cela dietro gli strani comportamenti di tizio e caio, si procede interagendo con persone e oggetti, nonché risolvendo enigmi, secondo procedure d’antan, che dimostrano di non aver perso neppure un’infinitesima quantità di smalto. Gli stessi dialoghi (in inglese, con sottotitoli in italiano) sono una riuscita miscela di ironia e nonsense, in una trama tale da incollare allo schermo del computer i fan più incalliti e i neofiti che, a trent’anni dalla stagione d’oro dei punta e clicca (l’azione di Thimbleweed Park si svolge significativamente nel 1987, con alcuni flashback), possono scoprirli oggi, partendo dalle vette di un capolavoro, nel quale si riscontrano comunque omaggi e citazioni, esplicite o meno, agli illustri predecessori. Per dar corso al sogno di due maestri come Gilbert e Winnick, è venuta in soccorso una campagna di crowdfunding, lanciata nel novembre 2014 con l’obiettivo di raccogliere 375.000 dollari e ottenendone più di 600.000. Il gioco, sviluppato da Terrible Toybox per Windows, Mac, Linux e Xbox One, è atteso in futuro anche su Ps4 e dispositivi iOs e Android, ma potrebbe sbarcare pure su Nintendo Switch.
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