A dirigere Il Diritto di Contare è Theodore Melfi (St. Vincent) che racconta la storia di Katherine G. Johnson, Dorothy Vaughan e Mary Jackson con lo scopo sia di narrare della coraggiosa ambizione verso un obiettivo che sembrava apparentemente impossibile, ossia il volo orbitale intorno alla Terra, e, dall’altro, mettere in evidenza gli straordinari risultati che possono nascere dall’unione fra donne.
“Questa storia ha luogo quando entrano in collisione la Guerra Fredda, la corsa allo spazio, le leggi di segregazione Jim Crow negli stati del sud e il nascente movimento per i diritti civili. È un contesto complesso in cui prende forma una storia ricca e straordinaria di cui poche persone sono a conoscenza”, spiega Melfi.
E prosegue dettagliando: “Per la NASA, in quel momento storico, i cervelli erano più importanti della razza o del sesso. Queste erano donne intelligenti e preparate che potevano fare tutti i calcoli matematici di cui la NASA aveva bisogno, che ambivano ad avere una possibilità, che volevano veramente cambiare le loro vite: chi altri avrebbero potuto scegliere al loro posto?”.
L’idea del film è nata quando il libro è arrivato sulla scrivania, della produttrice vincitore di un Academy Award Donna Gigliotti, che è rimasta colpita dal fatto che le tre donne abbiano vissuto nell’ombra e commossa da tutto ciò che hanno realizzato e dai traguardi conseguiti e non riconosciuti e dallo scoprire che nessuna delle persone da lei interpellate aveva la benché minima idea dell’esistenza di un gruppo di geni della matematica di sesso femminile alla NASA. L’incarico della sceneggiatura è stato poi affidato ad Allison Schroeder, che non solo ha studiato matematica avanzata, ma è anche stata stagista alla NASA, seguendo le orme della nonna, programmatrice della NASA fino all’epoca del programma Shuttle, e del nonno, che ha partecipato al progetto Mercury.
Successivamente, è iniziata la ricerca di un regista che sapesse trasformare regoli calcolatori, equazioni e virtuosismi matematici in un materiale dinamicamente drammatico. Profondamente toccato dalla sceneggiatura, Theodore Melfi, che ha ottenuto ampi riconoscimenti con il film drammatico-brillante candidato ai Golden Globe St. Vincent, interpretato da Bill Murray, si è battuto per ottenere l’incarico. All’epoca il regista era in lizza per quello che poi sarebbe stato battezzato Spider-Man: Homecoming, ma ha scelto di ritirare la propria candidatura unicamente per potersi dedicare a Il diritto di contare.
Una ragione alla base della passione di Melfi per Il diritto di contare è che l’uomo è padre di due bambine. “Cerco di far capire alle mie figlie che nella vita si può fare qualunque cosa se ci si dedica con tutta l’anima e il cuore – e questo comprende anche la matematica e la scienza”, spiega il regista. “Voglio che sappiano di avere un proprio valore e che potranno crearsi una vita ricca di soddisfazioni grazie alle loro capacità. Questo film mi ha dato l’opportunità di far sapere alle mie bambine che possono aspirare a diventare delle Katherine Johnson”.
Melfi ha saputo fin dall’inizio l’approccio che voleva adottare: “Volevo che il film esplorasse la parte della storia che non è documentata: come era per tre donne afro-americane lavorare in condizione di segregazione alla NASA anche quando i loro meriti e successi erano sotto gli occhi di tutti?”. E aggiunge: “Mi piace il doppio significato del titolo, perché troppo spesso le donne sono state considerare soltanto delle ‘figure’ o dei ‘numeri’ insignificanti, anziché fondamentali, e queste donne sono state letteralmente le ‘figure’ o i ‘numeri’ nascosti che hanno cambiato la corsa allo spazio”.
Un altro scopo del regista era di riuscire a ricreare un’epoca in cui l’America è stata caratterizzata da un maggiore ottimismo e la gente credeva fiduciosamente nella possibilità di abbattere le barriere. “In quel periodo vi era un reale senso di orgoglio nazionale per il programma spaziale e il Presidente Kennedy chiedeva la collaborazione di tutti per superare i limiti, sollecitando l’aspirazione innata nelle persone a cercare qualcosa di più, qualcosa di meglio”, commenta Melfi.
Durante la realizzazione, Melfi ha consultato frequentemente la NASA e gli storici della NASA. Sebbene non avesse nessuna intenzione di realizzare un documentario, voleva che la vicenda narrata nel film riflettesse lo spirito dei pionieri dell’era spaziale da tutti i punti di vista. “La NASA è stata di grande aiuto e indispensabile, in particolare per quanto riguarda l’acquisizione di dati scientifici. Il nostro progetto è fortemente sostenuto dall’agenzia”, afferma il regista.
Soprattutto, Melfi voleva che la storia suscitasse un forte coinvolgimento negli spettatori in cerca di una visione stimolante di un futuro in cui il popolo americano sarà unito nel raggiungimento dei più grandi obiettivi. “In questa storia si vede come le competenze e la conoscenza fungano da equalizzatori. Durante la corsa allo spazio, tutti i problemi sono stati accantonati ed è successo qualcosa di straordinario. Non importava la razza o il sesso né la formazione o l’esperienza. Chiunque sapesse fare calcoli matematici in grado di far arrivare l’uomo sulla Luna era il benvenuto. Le persone, apprezzate per i loro talenti, offrirono al paese doni preziosi e inestimabili”, egli spiega.
Il regista conclude: “Un paese diviso può realizzare molto poco, mentre un paese unito e motivato alla collaborazione può arrivare ai massimi traguardi”.
Per Melfi questo è stato un tema fondamentale durante la realizzazione del film, come lo è stato quello della sorellanza. “Le tre donne erano straordinariamente talentuose, ognuna nel proprio ambito, ma si sono sostenute e hanno camminato fianco a fianco, ed è questo un aspetto particolarmente bello”, conclude Melfi. “Sono state solidali tra loro e, grazie alla loro forza, hanno vinto tutti”.
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