Il 1968 è stato un anno cruciale e di frattura del Novecento. Un anno – ricco di fermenti politici, sociali e culturali – che ha segnato l’Immaginario Collettivo. Di più. Grazie al potere dei media, quell’anno è passato dalle cronache e dalla Storia direttamente al Mito.
Le contestazioni studentesche – che prendono forma nei vari paesi occidentali – trovano un punto di sintesi globale nella contestazione della Guerra del Vietnam e il punto di origine proprio negli Stati Uniti, in particolare nel campus dell’università di Berkeley, già centro di proteste studentesche fin dal 1964. Ma molti sono gli eventi che, in qualche modo, hanno contribuito a rendere quell’anno e quel periodo della storia unico. Ne ricordiamo alcuni per testimoniare che il 1968 è stato un anno di passaggio traumatico da una fase storica ad un’altra, in cui – forse – viviamo ancora oggi. Nell’aprile di quell’anno, a Memphis viene assassinato Martin Luther King, il leader afro-americano dei diritti civili; a maggio, gli studenti francesi occupano l’Università della Sorbona; a giugno, negli USA, viene assassinato – come suo fratello John – Robert Kennedy, candidato del partito democratico alle elezioni presidenziali; a luglio, Papa Paolo VI promulga l’enciclica Humanae Vitae, a favore del matrimonio e contro la regolazione della natalità, secondo i principi dettati dal Concilio Vaticano II; le truppe sovietiche invadono la Cecoslovacchia ponendo fine con la forza delle armi all’intensa attività di riforma politica avviata da Dubcek e sostenuta da giovani ed operai; a novembre viene eletto presidente Richard Nixon e gli Stati Uniti sospendono i bombardamenti sul Vietnam, consentendo l’apertura a Parigi di un tavolo per le trattative di pace.
I pochi eventi storici elencati sono utili a dimostrare come il 1968 è stato un anno
che ha gettato semi per il futuro di intere generazioni e che ha generato un nuovo modo di concepire la società, a cominciare dalla vita quotidiana.
In quegli anni nasceva anche quella che verrà poi denominata come La civiltà dei consumi, di cui ormai era pervaso l’Occidente, che reclama nuovi adepti, nuovi possibili acquirenti individuati proprio nei giovani, che diventano anche creatori della moda, del costume e della cultura di quegli anni.
Quando si parla di “Sessantotto” non si deve dimenticare che i veri e unici protagonisti furono i giovani, di tutti i paesi occidentali. Furono loro a reclamare e pretendere – per la prima volta – una visione diversa del mondo, da quella dei loro padri e dei loro nonni. Il loro sguardo era rivolto al presente e al futuro, ma non al passato.
Qui è insita la frattura che si crea tra loro e le generazioni che li hanno preceduti.We want the world and we want it, now. We want the world and we want it, now. Now? Now! (Vogliamo il mondo e lo vogliamo, adesso. Vogliamo il mondo e lo vogliamo, adesso. Adesso? Adesso!), cantava, nel 1967, Jim Morrison in When the Music's Over. E il mondo diventa il palcoscenico sul quale la nuova generazione intende essere protagonista.
Passaggio cruciale, dunque, che trovò nella protesta giovanile – che in Italia e Francia fu anche protesta del mondo operaio – un punto focale fondamentale, e la cui storia è ancora oggi motivo di dibattiti ideologici.Se dal punto di vista ideologico e politico, nonché sociale, il dibattito è stato ampio e il più variegato possibile, dal punto di vista culturale ci sembra che la “rivoluzione” del 1968 sia stata poco analizzata. Ci si è soffermato poco sugli aspetti più squisitamente culturali, o forse sarebbe meglio dire controculturali, declinati dal punto di vista del consumo.
Parlare del 1968, allora, significa anche parlare delle subculture che nacquero in quel periodo che diedero forma e sostanza a nuove forme culturali che, all’origine, intendevano essere una critica al sistema – economico e capitalistico in primis – ma che poi finirono per essere inglobate proprio dal sistema e divenire normalità e consumo.
L’assunto di base di questo saggio è che il 1968 è l’anno in cui matura un processo di rivoluzione culturale che vede come oggetto il target giovani e come soggetto… l’oggetto estetico e consumistico allo stesso tempo. Rivoluzione estetica e comunicazionale. Nel 1968 si entra nell’era della liberazione dei segni, del sovvertimento delle gerarchie. Un processo che proviamo a raccontare attraverso la lente di un film come 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, che esce nelle sale di tutto il mondo proprio nel fatidico 1968. Una pellicola apparentemente distante – sia per genere (la fantascienza) sia per contenuti – dal clima di allora, ma che in realtà è una perfetta metafora ed una sintesi del processo che investì i giovani e la cultura a partire dal 1968. Un oggetto culturale che è diventato esso stesso segno di una rivoluzione, nel cinema in generale ed in quello di fantascienza in particolare. Come notano Luca Bandirali e Enrico Terrone (Nell’occhio, nel cielo.Teoria e storia del cinema di fantascienza, Lindau, Torino 2008), Kubrick … si applica a riscattare la presunta mediocritas del genere fantascientifico con massicce iniezioni di metafore filosofiche e di retorica audiovisiva; la cura inizia con Il dottor Stranamore (1964), dove si illustra la valenza sessuale della testata atomica, prosegue con2001: Odissea nello spazio (1968, da Clarke), il cui intento di promozione culturale è palese fin dal titolo, per poi concludersi nel decennio successivo con Arancia meccanica (1971, da Burgess)
.
2001 è, prima di tutto, l’incontro tra la cultura bassa (o allora ritenuta tale), quella della fantascienza cinematografica, ma anche letteraria, con la cultura alta, quella del cinema d’autore che proprio nell’allora quarantenne regista newyorchese aveva uno dei suoi principali alfieri. La critica, allora, aveva apprezzato Kubrick soprattutto per Orizzonti di gloria, mentre il grande pubblico aveva decretato il successo commerciale con Il dottor Stranamore. Kubrick, dunque, sintetizza in modo perfetto l’incontro/scontro tra queste due culture ed in questo senso 2001 è un film pienamente del “1968”, inteso come movimento culturale che apporterà nuove tendenze che faranno scuola anche nei decenni successivi.
Il film fu realizzato a partire, comunque, da un racconto dello scrittore inglese Arthur C. Clarke dal titolo The Sentinel, scritto nel 1948, da cui lo stesso Clarke con Kubrick trasse la sceneggiatura.
Il racconto presenta una storia abbastanza semplice e lineare: nel 1996 l’umanità ha stabilito una presenza permanente sulla Luna e ne sta esplorando tutta la superficie. Durante una di queste missioni all’interno del Mare Crisium alcuni astronauti individuano una piramide di cristallo di natura chiaramente artificiale e protetta da uno schermo di energia impenetrabile. Dopo circa venti anni di ricerche lo schermo della piramide viene finalmente infranto e la piramide si rivela come il frutto di una tecnologia avanzatissima, probabilmente un faro lasciato sulla Luna da esploratori alieni milioni di anni fa per segnalare loro se e quando dal pianeta sottostante, dove la vita era ancora agli albori, sarebbe emersa una specie abbastanza intelligente da raggiungere lo spazio. Spezzato lo scudo, il segnale che la piramide inviava nel cosmo si è spento e ora all’umanità non resta che attendere l’arrivo dei suoi costruttori, se mai essi esistono ancora.La pellicola, invece, come è noto, presenta una storia molto più complessa, divisa in quattro blocchi.
Nel primo, denominato “L’alba dell’uomo”, lo spettatore si imbatte in alcune scimmie che attorno ad una pozza d'acqua fangosa, si contendono le poche gocce di liquido rimaste. L’apparente vita tranquilla delle scimmie, che si intuisce vivono in gruppo, viene all’improvviso interrotta da un giaguaro che afferra una scimmia, mentre tutte le altre fuggono terrorizzate. Dopo un cambio di scena, seguiamo una nuova scimmia che fissa esterrefatta e spaventata un qualcosa che scopriamo essere un enorme Monolito nero che si erge al centro della pozza. Le scimmie, ancora impaurite, iniziano a girare intorno alla strana costruzione, di cui sono comunque attratte. Una di loro la tocca e sembra rassicurarsi perché non accade nulla. Così anche le altre cominciano a toccare il monolito, mentre la Terra, la Luna e il Sole sono perfettamente allineati. Lo spettatore ha comunque la sensazione che i destini di quelle creature primordiali è stato inevitabilmente cambiato. Altra scena: una nuova alba e sorta sulla radura ed il monolito è scomparso. Un gruppo di scimmie – guidata dalla prima scimmia che ha toccato il monolito – parte alla conquista della pozza d’acqua ed affronta un altro gruppo di scimmie, poco distante. La scimmia del monolito viene affrontata dal capo del gruppo nemico, ma qualcosa è cambiato. La scimmia che ha toccato il monolito cammina in modo eretto e ha nella mano un osso. Quando l’avversario la affronta non ha paura e rompe gli indugi, calando un gran fendente in testa al suo avversario. Anche le altre scimmie si avvicinano, ripetendo il gesto della prima scimmia e brandendo colpi sul corpo ormai esanime della scimmia dell’altro gruppo.
Questo blocco narrativo del film sembra una perfetta metafora della presa di coscienza, a livello globale, dei giovani in quanto tali – ovvero: tribù = identità generazionale e poi sempre più target – e del sorgere di una loro visione del mondo, che non stava andando nella direzione da loro auspicata. Giovani che, invece, reclamavano nuovi spazi, culturali e non solo e che diventeranno per la società dei consumi il principale “cliente”. Ecco cosa sottolinea Salvatore Proietti a tal proposito, nel suo libro Hippies! Dall'India alla California la road map del '68 (Edizioni Cooper, Roma 2008):
L'economia e il consumo hanno inventato i giovani (e ancor più teenager), ma i giovani sono qualcosa di più sfaccettato e articolato, qualcosa di meno pienamente controllabile di quanto non immaginino le strategie del marketing, e diventano veicolo di una complessità sociale difficile da gestire. Sono i giovani delle classi medie a creare il mercato del rock'n'roll e il concetto stesso di teenager, ma sono altri che iniziano a parlare e a cantare anche per loro, irrompendo con parole e voci molto diverse da quelle rassicuranti dell'ufficialità culturale e mediatica. Nel cinema, i giovani erano una minaccia di ribellismo potenziale, che nelle grandi produzioni hollywoodiane si cerca almeno parzialmente di esorcizzare con psicologismi banali, attraverso figure come il James Dean di Rebel without a Cause (Gioventù bruciata, 1955) o il Marlon Brando di The Wild One (Il selvaggio, 1953), comunque immagini di disagio sociale ed esistenziale difficili da contenere, e lo sono ancora di più nei b-movie a basso costo come Blackboard Jungle (Il seme della violenza, 1955), il film che rilancia un 45 giri uscito l'anno prima con scarso impatto: Rock Around the Clock di Bill Haley.
Il Monolito kubrickiano, dunque, diventa l’emblema della consapevolezza sia per le scimmie che si ergono a razza dominante rispetto agli altri animali preistorici, sia per i giovani – soprattutto quelli emarginati: gli studenti, gli operai, gli afro-americani e le donne – che trovano nella cultura la loro forma di protesta più alta, basta pensare alla musica e alla provenienza stessa di coloro che danno forma e sostanza a nuovi generi musicali. Come sottolinea, ad esempio, ancora il critico letterario Salvatore Proietti:
Gli eroi della musica popolare sono giovani provenienti dal Sud, dai ceti poveri e dalla classe operaia, e dunque da settori sociali diversi da quelli dell'egemonia nazionale, che mescolano con sofisticazione i generi bianchi e neri, il country e il rhythm and blues (i race records, i dischi razziali, si leggeva nelle classifiche), il western swing e il jump, il boogie e il gospel. Basta verificare i luoghi di nascita di coloro che danno vita al rock'n'roll per rendersi conto che la cultura statunitense resta sempre qualcosa di più complesso rispetto all'immagine pubblica ufficiale. Fra gli immediati precursori, Hank Williams viene dall'Alabama e Johnny Ace dal Texas; a cavallo fra due ere, Lloyd Price e Fats Domino vengono dalla Louisiana e Bill Haley da Detroit, la città dell'industria dell'auto. E poi: Bo Diddley, Elvis Presley (in seguito operaio e camionista in Tennessee) e Jerry Lee Lewis dal Mississippi, Little Richard dalla Georgia, Chuck Berry da Saint Louis (nel Missouri, dove conosce il carcere e il lavoro alla catena di montaggio), Eddie Cochran dall'Oklahoma, Buddy Holly e Roy Orbison dal Texas, Gene Vincent dalla Virginia, Carl Perkins dal Tennessee, fino a Richie Valens che è californiano ma figlio di immigrati messicani.
Nel secondo blocco di 2001, denominato “TMA-1”, assistiamo al volo sulla Luna del dottor Heywood Floyd, diretto in missione speciale alla base di Clavius. Lì ad aspettarlo ci sono altri scienziati e tecnici, con i quali Floyd tiene una riunione. Scopriamo così che nel cratere di Thyco, sulla Luna, è stata fatta una straordinaria scoperta, una scoperta di un tale portata da costringere le autorità ad isolare completamente la base simulando una specie di "epidemia". Ecco quali sono le parole di Floyd, quando alcuni partecipanti alla riunione protestano perché non possono mettersi in contatto con i propri cari:
Sono certo che vi rendete conto del gravissimo potenziale di shock culturale e di disorientamento sociale insito nella attuale situazione se i fatti fossero preventivamente resi pubblici senza una preparazione e un condizionamento adeguati.
In una scena successiva Floyd ed altri scienziati si recano, a bordo di una navetta, sul luogo del rinvenimento del monolito. Nell’esplorazione che segue, il dottor Floyd non resiste alla tentazione di toccare il monolito. Poi, proprio mentre Floyd e gli altri lo stanno fotografando, il primo raggio di sole del giorno lunare illumina il monolito, che rivede così la luce dopo millenni di oscurità, e immediatamente emette un forte segnale in direzione di Giove.
Il monolito, sostiene il dottor Floyd nel film, è un “gravissimo potenziale di shock culturale e di disorientamento sociale”. E tale fu anche per il mondo, quello adulto, quello delle famiglie, innanzitutto, dalle quali i giovani di allora presero ben presto le distanza. La società dei Sessanta è ancora pienamente fordista, in cui il capitale per un verso e la fabbrica per un altro sono i due fulcri centrali del sistema produttivo. I giovani prendono le distanze da tutto questo anche perché sono in qualche modo esclusi dal mondo produttivo.
Nella terza parte del film (“18 mesi dopo: Missione Giove”), la scena si sposta sull’astronave Discovery, in viaggio verso Giove. A bordo ci sono cinque astronauti: tre ibernati e due che sovrintendono le operazioni di bordo, coadiuvati da HAL 9000, un supercomputer dotato di una sofisticata intelligenza artificiale che lo rende valido interlocutore degli esseri umani a bordo. Ad HAL è stato, però, impartito un ordine che viene tenuto segreto ai due astronauti, ordine che è in contrasto con il fatto che il supercomputer è stato anche "programmato" per collaborare con gli esseri umani senza omissioni o alterazioni di dati e informazioni. Quando l’astronave è quasi arrivata nell’orbita di Giove, il conflitto di programmazione di HAL si manifesta drammaticamente: per non entrare in stallo, l’intelligenza artificiale decide di uccidere gli astronauti. Solo Bowman riesce a sopravvivere ed a riprendere il controllo dell’astronave, disabilitando il calcolatore. Al termine di quest’ultima operazione, inaspettatamente HAL avvia la riproduzione di un filmato pre-registrato, nel quale il dr. Floyd rivela i veri scopi della missione all'equipaggio: esplorare la zona dove si è indirizzato il segnale radio che il monolito lunare aveva emesso. 2001: Odissea nello spazio, come già annuncia il titolo stesso, è anche – e forse soprattutto – un viaggio, un’odissea. Un viaggio verso l’ignoto, un esplorazione di qualcosa di ignoto che nel film non può essere rivelato neanche agli esploratori-astronauti. Solo HAL 9000, il supercalcolatore, è a conoscenza del vero obiettivo della missione ed è pertanto l’unico a detenere la verità. È la storia del viaggio dell’uomo, dalla primordiale evoluzione da uomo-scimmia ad homo sapiens, fino alla forma finale del feto.
Un viaggio è stato anche la costante del “1968”, un viaggio verso l’esplorazione di nuove frontiere, non più fisiche ed intese come territori (come il mito del vecchio West), ma soprattutto mentali.
La controcultura coinvolge, oltre agli studenti, coloro che rompono sia con gli studi che con la vita professionale. La costante è rappresentata dalla "strada" (il mito di una vita in viaggio, sulla strada) e dal misticismo orientale; i primi ispirati dagli scrittori della beat generation (su tutti Jack Kerouac con il suo On the Road), mentre i secondi formano comunità marginali, soprattutto in California. I giovani, per la prima volta, intraprendono un viaggio nei meandri della loro mente, l’esplorazione del proprio io più recondito, attraverso nuovi mezzi più sofisticati: è il tempo delle droghe sintetiche come viatico per la conoscenza di nuove esperienze.
E questo ci porta anche all’ultima parte del film di Kubrick.
Giunto su Giove, e siamo all’ultima parte del film denominata “Giove e oltre
l'infinito”, Bowman si avvicina al monolito in orbita intorno al pianeta, attraverso una capsula. Il monolito spedisce Bowman dentro un percorso attraverso lo spazio e il tempo, sorvolando stelle e pianeti alieni finché si ritrova con la propria capsula in un impossibile appartamento dal decoro settecentesco, dove vede se stesso invecchiare rapidamente, in fasi successive ogni volta esterne al proprio sguardo. Ormai decrepito, muore davanti a una nuova apparizione del monolito nero e rinasce in forma di feto.Quest’ultima sequenza, totalmente psichedelica, rimanda ad un’esperienza forte e fuori da ogni schema. Un’esperienza mentale che non ha agganci con la fisicità della vita e che invece trova radici nella irrazionalità e nella spiritualità.
Ecco come Timothy Leary descrive l’esperienza psichedelica in un suo noto libro (Timothy Leary, Ralph Metzner, Richard Alpert, L'esperienza psichedelica, Sugar, Milano 1969):
Un’esperienza psichedelica è un viaggio verso nuovi reami di coscienza. La dimensione ed il contenuto dell'esperienza non hanno limiti, ed i suoi connotati caratteristici sono la trascendenza dei concetti verbali, delle dimensioni spazio-temporali e dell'ego o identità. Tali esperienze di coscienza espansa possono verificarsi in una varietà di modi: deprivazione sensoriale, esercizi yoga, meditazione disciplinata, estasi estetica o religiosa, oppure spontaneamente. Più recentemente sono diventate accessibili a tutti tramite l'ingestione di droghe psichedeliche quali psilocybina, mescalina, DMT, etc. Chiaramente, non è la droga a produrre l'esperienza trascendentale. Essa funge solamente come chiave chimica, apre la mente, libera il sistema nervoso dagli schemi e dalle sue strutture ordinarie.
Il grande regista americano voleva in realtà che lo spettatore – quello di allora, ma il discorso vale anche per oggi – si lasciasse trasportare dall’esperienza visiva che in realtà il film è, se si pensa che in tutta la pellicola – che dura la bellezza di 143 minuti – ci sono solo 25 minuti di dialogo.
Un film che si deve “leggere” innanzitutto con i sensi: gli occhi per guardare l’immensità dello spazio in cui si staglia l’astronave in viaggio verso Giove, per indagare sulla comparsa di un misterioso monolito nero; le orecchie con cui si devono ascoltare le immense musiche scelte dallo stesso regista per accompagnare le immagini, su cui spicca Il Danubio Blu di Johann Strauss Jr., ma che è anche una delle chiavi di lettura del film, nel suo manipolare immagini tecnologiche e suoni del passato, motivi più popolari come appunto il brano di Strauss e composizioni arcigne, carpite all’avanguardia accademica, come la Lux Eterna di György Ligeti.
Non c’è alto e basso nell’arte, come nello spazio. Un film da vedere, rivedere, e ancora (ri)visionare.Un film che si può definire psichedelico, e che come sottolinea Enrico Ghezzi, nella monografia che ha dedicato al regista americano (Enrico Ghezzi, Stanley Kubrick, L’Unità/Il Castoro, Milano 1995):
Per milioni di spettatori che dal ’68 a oggi hanno decretato il trionfo del film a dispetto di chi parlò di «noia abissale», 2001 è stato soprattutto un’esperienza sensoriale (non solo visiva) del tutto nuova, la percezione di uno «spazio» inedito, con dentro un seguito di eventi straordinariamente semplici contrappuntati dall’apparizione di una forma «semplice» (il monolito) e definita nelle sue funzioni (far compiere un salto alla Storia e quindi alla storia) ma incomprensibile e misteriosa quanto alla provenienza e al senso.
E, allora, in conclusione non possiamo non sottolineare con Proietti che:
[…] un film come 2001: A Space Odyssey di Stanley Kubrick (2001: Odissea nello spazio, 1968) […] sarà un omaggio alla cultura psichedelica, non solo per la componente visiva (il balletto tecnologico, la visione cosmica) ma anche per il racconto. Ripercorrendo la storia umana nella vicenda di un homo faber ineluttabilmente legato alla violenza (la scimmia che scopre il primo utensile, un osso per uccidere, e lo lancia in aria – con uno stacco che lo trasforma nella fantastica stazione spaziale orbitante), con un'esplorazione dello spazio tragica per colpa del novello mostro di Frankenstein, il computer sfuggito alla programmazione, arriviamo all'epopea visionaria del sopravissuto, fra giochi di luce psichedelici e scene passate, fino alla comparsa di un feto che, si presume, rappresenta il successivo passo nell'evoluzione (stavolta, forse, diverso dalle premesse umane). Anche queste fantasie sono al centro della controcultura […].
Alla fine il film di Kubrick pone le stesse domande che i giovani ribelli del “Sessantotto” si ponevano: “da dove vengo, chi sono, dove vado”. L’astronauta Bowman è il rappresentante di questa nuova categoria che diventa ben presto facile preda del marketing delle grandi multinazionali che, a loro volta, si appropriano dei simboli prodotti proprio dai giovani e li trasformano in merce. Il prezzo è la cooptazione nel sistema.
Tutto diventa normale e viene normalizzato. La moda, gli stili di vita, la musica, la letteratura, le avanguardie artistiche: tutto viene fagocitato dalla società delle merci, che si scopre, anche qui grazie al Sessantotto, globale e globalizzabile, dal punto di vista anche culturale. “L’immaginazione al potere!” era lo slogan che campeggiava sui muri di Parigi nel maggio del Sessantotto, che nel 2016 potrebbe essere sostituito con un “L’immaginazione della merce è al potere”!
La distanza temporale fra 1968 e 2001 è tutta qui.
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