Un affare resta sempre un affare. Pure se alla fine degli anni Cinquanta non esiste crisi di alloggi in Argentina, acquistare un immobile di lusso a un prezzo d’occasione non capita tutti i giorni. Non c’è ragione quindi che Juan Luna, pensionato intraprendente, rinunci a insediarsi nel palazzotto appena comprato a San Isidro. Le tare non mancano, il posto è solitario, pure parecchio tetro. Come se non bastasse, parrebbe anche che tra un'ombra, un fruscio e un sussulto, quelli che infestano la magione non siano semplici topastri ma degli alieni, che usano la casa come esca per catturare ignari speculatori. Una signora fregatura.
In un clima opprimente da incubo Hitchcockiano a Luna non resterebbe che soccombere, finché interviene a salvarlo un figuro non troppo rassicurante, che a inghippo svelato diventa suo amico e inquilino della torre annessa alla villa. Una costruzione che, come si vedrà, se ne frega del catasto in quanto cosmonave camuffata.
Uno scenario simile si piazzerebbe sullo stomaco di qualsiasi proprietario, se non fosse che Luna non si chiama così per caso e vuoi per l’atmosfera onirica del posto, vuoi la bizzarria del nuovo compagno e dei suoi segreti, il pensionato si lascia prendere dal proprio lato sidereo e stabilisce un accordo di convivenza con l’uomo chiamato Sherlock Time.
Sherlock (evidente riferimento all’eroe di Conan Doyle) è un investigatore come il suo omonimo. Alto, grosso, fosco e gorilliforme, quanto gentile ed erudito, proviene da un imprecisato altrove dal quale è impegnato in missioni ai confini della realtà, casi che racconta all’amico Juan, frequente coprotagonista di nuove avventure.
Il mondo normale delle strade cittadine rimane estraneo alla quiete della villa, varco di passaggio per lo Spazio e i suoi abitanti, al modo della Casa dalle finestre nere di Clifford Simak,. Col suo aspetto occhialuto da impiegato modello, il tranquillo Luna diventa il testimone privilegiato di dimensioni ignote ai suoi simili, sia quando s’immerge nei resoconti che Sherlock gli regala tra una pipata e l’altra, sia quando lo segue nel torrione per lasciare il pianeta munito di giacca a vento e berretto a pon-pon.
Dunque, ricapitolando: ombre caravaggesche, eventi inspiegabili, un sodalizio tra due amici che condividono storie straordinarie, staremo forse replicando il plot di Mort Cinder con l’antiquario Ezra Winston? Non proprio, piuttosto lo anticipiamo di almeno quattro anni (siamo nel 1958), con una serie che costituirà la svolta dell’oriundo uruguayano Alberto Breccia, per la prima volta in ditta con il grande Hector Germàn Oesterheld, sceneggiatore ancora lontano dal tragico destino che l’attende sul finire degli anni Settanta.
Il collega Hugo Pratt, collaboratore a varie testate sudamericane e disegnatore di Oesterherld nel serial Ernie Pike, l’aveva detto nell’elegante barrio Palermo, senza ombra di peli sulla lingua.
“Vos sos una puta barata, porque estás haciendo mierda pudiendo hacer algo mejor".
Non ci vuole Google traduttore per capire il senso del rimprovero. In una notte di confidenze e, supponiamo, bevute, l’acuto veneziano urta la suscettibilità dell’amico rimproverandogli di volare basso e firmare porcherie. E non stiamo parlando di graffiti da toilette, ma del dignitoso fumetto comico Pancho Lòpez e del popolare Vito Nervio, il detective creato da Domingo Repetto sul settimanale Patoruzito. Prodotti onesti, disegnati con mano Canniffiana, spezzettata da un sentimento personale e del tutto hispanico. Ad ogni modo, la frecciatina fa il suo effetto e stimola l’incontro fatale tra Breccia e le edizioni Frontera dei fratelli Oesterheld.
Le esigenze economiche del disegnatore coincidono con la proposta di un incarico ben pagato per la casa editrice, la nuova serie aspetta un illustratore adeguato, il connubio è fatto. Solo che Hector è uno scrittore di peso, capace di unire abilità narrativa a impegno sociale e politico, il lavoro quindi prende una piega per niente commerciale. Potenti quanto un energy drink, gli impulsi creativi e contenutistici del soggetto incendiano le immense capacità di Breccia rimaste ancora inespresse.
Sherlock Time è un banco di prova per il processo di dissoluzione dell’immagine che Breccia porterà avanti nel tempo, con sperimentazioni che dall'espressionismo andranno esasperandosi negli inserti/collage della nuova versione de L’Eternauta del 1969 e approderanno poi a picchi informali coi vertiginosi Miti di Chtulhu del 1973.
In questo primo step di crescita, il bel segno classico che sigla le figure scompare nelle descrizioni degli ambienti indistinti e carichi di zone buie. Basti vedere il giardino della villa di Luna risolto con ampie pennellate di china e tratteggi, o i pianeti alieni dei racconti di Sherlock.
Sul piano letterario Oesterheld costruisce il suo format fantascientifico con elementi familiari al lettore – il rapporto Time/Luna analogo a quello di Holmes e Watson, aggiungendovi un senso del magico proveniente da modelli letterari vicini a Borges e a Cortazar. L’elemento gotico della narrazione a viva voce alla M. R. James, volta nella suspense pura con i sorprendenti ribaltamenti di scena tipici di Richard Matheson ne Ai confini della realtà.
Quel che aggiunge valore alle storie, infine, è il contenuto etico di fondo, non retorico né invadente, che caratterizza tutta l’opera dello sceneggiatore. Gli extraterrestri rapaci di Sherlock Time, i loro intrighi, la corruzione della nostra fragile idea di “normalità” sono tutte metafore che negli anni assumeranno sempre più evidenti posizioni contro il potere, fino a costare la vita al coraggioso autore, desaparecido insieme alle quattro figlie.
Nonostante che lo stesso Breccia, in un intervista del ‘82, non abbia rivolto parole generose verso questo lavoro, Sherlock Time rimane un passo importante nell’evolvere dei comics in un linguaggio più adulto e sperimentale. In 11 episodi dalla diversa lunghezza che ne determina ritmi e cadenze, sulle pagine di Hora Cero si susseguono i racconti del misterioso investigatore e le sue missioni immerse nella consueta ambientazione notturna.
Idoli che nascondono tecnologie non terrestri (La statuetta), spedizioni antartiche che rimandano ai pessimi incontri de La cosa o Alien, intrecci di matrice giallo/horror, e il conclusivo apologo morale de Il sacrificio, sono esempi di un fumetto di qualità, capace di intrattenere veicolando al tempo stesso ricerca e significati.
Alla pubblicazione del mensile argentino e del suo supplemento settimanale, non faranno seguito molte altre apparizioni.
Breccia abbandona la serie, dedicandosi a una parentesi pubblicitaria prima di ritrovare Oesterheld nel 1962 con la creazione di Mort Cinder sulle pagine di Misterix.
Sherlock Time tornerà sulla rivista Pif-Paf negli anni Settanta, da lì approderà in Italia otto anni dopo in un’edizione sommaria e rimaneggiata, sulla scia di altri personaggi delle edizioni Récord che riempiono il settimanale Lanciostory. Nel 1995 lo ritroviamo ripubblicato in un volume delle edizioni Colihue, mentre da noi verrà finalmente valorizzato nel 2013 da un’accurata ristampa di Comma 22, che ne recupera i formati verticali e orizzontali delle tavole e lo colloca in una collana dedicata al maestro Breccia.
Il tempo ha dato ragione a un eroe nato su un pezzo di carta per biscotti con un veloce schizzo di presentazione. Delle gallette, ormai scomparse, non abbiamo notizia, le storie di Time e Luna, invece, non hanno perso un briciolo di fragranza.
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