Francesco Cassata è docente di Storia contemporanea presso l'Università di

Genova. Le sue ricerche indagano i rapporti tra scienza e politica nel Novecento. È membro dell’International Working Group on the History of Eugenics and Race (Oxford Brookes University) e dell’International Network on the History of Lysenkoism (Columbia University). Ha curato, nel 2011, con Claudio Pogliano, l’Annale Einaudi su Scienze e cultura dell’Italia unita. I suoi saggi più recenti sono: L'Italia intelligente. Adriano Buzzati-Traverso e il Laboratorio internazionale di genetica e biofisica (Donzelli, 2013), Eugenetica senza tabù. Usi e abusi di un concetto (Einaudi, 2015) e Fantascienza? (Lezione Primo Levi, Einaudi 2016).

Quest'ultimo libro è un saggio che analizza i racconti di Primo Levi raccolti nelle antologie Storie naturali (1966) e Vizio di forma (1971), entrambe pubblicate da Einaudi e che sono storie esplicitamente di fantascienza. Apparentemente sembrerebbe un controsenso per uno scrittore che è conosciuto nel mondo per aver raccontato l'immane tragedia dell'olocausto con il romanzo Se questo è un uomo, dove l'autore narra delle sue terribili esperienze nel campo di sterminio nazista di Auschwitz, ma che secondo il professore Cassata, sono in realtà due ambiti collegati e complementari.

Professor Cassata, il titolo del suo libro è “Fantascienza?” Era anche la fascetta con cui veniva presentata la prima antologia di Levi di racconti di fantascienza. Che cosa vuol indicare quel punto interrogativo nel libro di Levi? 

Il punto interrogativo era stato scelto dalla casa editrice Einaudi per lanciare il libro Storie naturali, che uscì non con il nome di Primo Levi, ma con uno pseudonimo, Damiano Malabaila. Questo pseudonimo era stato scelto in gran parte per ragioni commerciali, ovvero per ammiccare ai lettori de La Tregua, ma allo stesso tempo per attirare il pubblico che leggeva fantascienza. Quindi c'è un pregiudizio di fondo anche nella scelta del titolo dal punto di vista editoriale, e cioè di separare un po' i due ambiti che invece nell'ottica di Primo Levi erano collegati: la fantascienza forniva quello straniamento cognitivo che era necessario per indagare non soltanto all'interno di Auschwitz ma anche nelle pieghe della ricerca scientifica dopo Auschwitz. Di qui il punto interrogativo.

I racconti di Storie naturali di Levi sono fantascienza? 

Assolutamente sì. Levi è profondamente consapevole del genere letterario, lo persegue intenzionalmente. Ha un'idea particolare della fantascienza, che deve molto a scrittori come Arthur C. Clarke, Isaac Asimov, Aldous Huxley, ma anche Herbert George Wells, per andare ancora più indietro nel tempo. Quindi non la fantascienza legata al contesto storico di quegli anni (sessanta, NdR) o a temi quali le grandi esplorazioni spaziali e l'incontro con altre forme di vita, ma una fantascienza che parte dal quotidiano e che improvvidamente diventa straniante.

Levi era laureato in chimica ed aveva una profonda conoscenza scientifica. Quanto è stato importante questo dato biografico per scrivere narrativa di fantascienza? 

Ha influito moltissimo, sia dal punto di vista della sua formazione. Levi leggeva fantascienza in lingua originale e c'era l'interesse esplicito di uno scienziato che guardava alla fantascienza come ad un modo per ragionare sui fatti scientifici I suoi racconti sono pieni di scienza e non soltanto di chimica e dimostrano che gli interessi di Levi come scienziato andassero oltre il suo ambito specifico di studio. La biologia era, ad esempio, una disciplina verso la quale Levi aveva un grande interesse, sia dal punto di vista della biochimica sia dal punto di vista del dibattito sull'evoluzionismo.

Il corpus narrativo di Levi si regge sostanzialmente su due colonne: la prima è l'olocausto, la tragedia della deportazione e della persecuzione degli ebrei da parte del nazismo, e la seconda è la fantascienza. Una poggia nella realtà e nel presente e l'altra nell'immaginazione e nel futuro. Sembrerebbero due cose totalmente opposte, eppure in Levi si collegavano. Com'era possibile? 

È una domanda molto interessante. In realtà c'è tutto un filone di fantascienza che si è occupata di olocausto, sia in letteratura sia al cinema. C'è un legame molto profondo tra la tragedia del Novecento e la fantascienza. Quest'ultima è stata individuata da molti scrittori, e Levi è uno dei principali, come un genere letterario con cui è possibile parlare di questo mondo invertito, ovvero di Auschwitz che spesso è interpretato proprio da Levi come un mondo alla rovescia. Quindi nello scrittore delle Storie naturali la fantascienza diventa uno strumento per entrare dentro il mondo alla rovescia e Levi, provocatoriamente, costruisce questo parallelismo. Il che non vuol dire negare la realtà di Auschwitz, ovviamente, ma significa approfondirla, andare al di là di Auschwitz per fare letteratura, anche scegliendo un genere come la fantascienza che ha questo meccanismo dello straniamento. Poi per Levi significa anche ragionare sulle responsabilità della scienza nella tragedia dell'olocausto.

Mi interessava capire se c'era un collegamento tra il fatto che l'Einaudi pubblicava Storie naturali nel 1966 e qualche anno dopo, nel 1973, pubblicava la storica antologia Le meraviglie del possibile, curata dal critico Sergio Solmi e da Carlo Fruttero, futuri curatore della collana mondadoriana Urania che presentava per la prima volta in libreria ai lettori italiani una serie di racconti classici del genere. È un caso? Oppure no? 

La pubblicazione di Storie naturali nel 1966 può essere effettivamente inserita

all'interno di un momento storico che parte dalla fine degli anni Cinquanta e prosegue per tutto il decennio successivo e che vede un interesse crescente della cultura italiana verso la fantascienza. È stato questo il momento d'oro della fantascienza nel nostro paese, dove dal punto di vista editoriale comincia ad uscire dal ghetto delle riviste da edicola e non è più considerata letteratura di “serie B”. Questo riguarda anche il cinema, oltre che la letteratura. La mia idea è che non è un caso. La fantascienza diventa uno strumento per raccontare il grande boom economico che l'Italia viveva in quegli anni e quindi il nuovo ruolo che la scienza e la tecnologia cominciavano ad assumere.

La seconda antologia di Levi, Vizio di forma del 971, presenta invece una fantascienza molto legata a temi d'attualità, come l'ecologia, la sovrappopolazione. In questo periodo Levi sembra interessato più alla cosiddetta fantascienza sociologica… Nella prefazione alla seconda edizione dell'antologia, Levi accomuna le sue storie al saggio di Roberto Vacca dal titolo Medioevo prossimo venturo.

È così, nel mio libro parlo di una corrispondenza tra Vacca e Levi, che erano anche amici. È stato un interlocutore importante per Levi, sia per le sua visione della scienza sia per la fantascienza,che entrambi scrivevano e pubblicavano. C'è sicuramente un legame tra Vizio di forma e Medioevo prossimo venturo nella misura in cui Levi ragiona con le sue storie su un tema molto comune all'ambientalismo scientifico dell'epoca, e che spesso veniva veicolato dalla fantascienza, ossia del rapporto tra popolazione, ambiente e risorse economiche. Questo è il nesso fondamentale sul quale ruotano molti racconti di Levi. Ed è un nucleo di problemi legati a quella fase storica dell'ambientalismo di cui Levi si faceva, in qualche modo, portavoce. Un ambientalismo non politico, ma scientifico, basato sull'analisi dei rapporti tra eco-sistema, popolazione ed economia. Quelli di Vizio di forma sono racconti scritti nel giro di pochi anni, tra il 1968 e il 1971, e molti di questi racconti sono rielaborazioni di articoli della rivista Scientific American che Levi leggeva. In molti casi era proprio lo stesso Levi che dichiarava l'uso di un articolo scientifico come ispirazione.