Può stupire, e costituisce anche un gran peccato, che certe produzioni cinematografiche, pur di un certo impegno produttivo, siano destinate a un misterioso quanto ingiustificato oblio, anche oggi in cui è possibile, in un modo o nell’altro, recuperare un po’ di tutto. Un oblio tra l’altro quasi immediato, già a ridosso dell’epoca di uscita nelle sale, in un periodo in cui certe pellicole avrebbero dovuto invece, per determinate e innovative caratteristiche peculiari, affascinare il grande pubblico. È il caso del film Eolomea (1972), co-produzione tra Germania dell’Est, Unione Sovietica e Bulgaria, diretto da Hermann Zschoche, una delle quattro pellicole d’ambientazione spaziale realizzate oltre cortina dalla DEFA (il Deutsche Film Aktiengesellschaft, lo studio cinematografico statale tedesco nato nel 1946 e dissoltosi nel 1992) che, tra il 1960 e 1976, seppero connotare un modo diverso nell’approcciarsi alle tematiche di fantascienza esplorativa del cosmo tipiche degli Stati Uniti, meno basato sull’azione e la spettacolarità e più sul versante concettuale-umanistico, pur se profondamente dipendente da un modello di socialismo reale legato al periodo conseguente alla Guerra Fredda. È necessario un piccolo excursus su tali film: Sojux 111 – Terrore su Venere di Kurt Maetzig (1960, dal romanzo Il pianeta morto di Stanislaw Lem), con i suoi sulfurei scenari venusiani e le architetture aliene trovate in loco, Segnale – un’avventura nello spazio di Gottfried Kolditz, (1970), sorta di odissea nel sistema gioviano alla ricerca di presenze aliene, Eolomea-La sirena delle stelle di Zschoche, originale storia su un esodo coloniale terrestre alla volta di un pianeta sconosciuto, e La polvere delle galassie ancora di Kolditz (1976), epopea planetaria in bilico tra kitsch e impegno, sono tutte pellicole di buon impatto visivo, là ove una certa goffaggine dei modellini e delle sequenze spaziali (dovuta a budget contenuti) viene bilanciata da una cura esemplare dei particolari scenografici e costumistici, nonché, soprattutto nel caso di Eolomea, supportata da dialoghi molto intriganti, al servizio di personaggi credibili cui era possibile identificarsi, ben lontani dall’idea di supereroi dello spazio. Quasi totalmente aliena da una presunta “pesantezza” ideologica, una chiusura sociale o “irreggimentata” che forse era
prevedibile immaginare oltre cortina, la fantascienza della DEFA si rivela di contro molto progressista, addirittura utopica (gli equipaggi delle astronavi sono sempre multietnici, la scienza agisce per il bene di tutti, le superpotenze collaborano tra loro per fini condivisi, ovunque vige l’uguaglianza) e non priva di senso dello spettacolo, al punto che la chiusura della DEFA di fronte a nuove produzioni fantascientifiche sembrò doversi principalmente al fatto che questi film giocassero carte inapplicabili e antipodiche alla rigida politica delle classi sociali di quei tempi (anche se la DEFA, specie nel caso di Sojux 111, fu soggetta a un pesante controllo da parte dei burocrati socialisti della cultura, dovendo scendere a molti compromessi tra convenzioni del genere e messaggio politico imposto dai vertici, al punto che negli USA il film uscì con diversi rimaneggiamenti che eliminavano i punti troppo critici nei confronti dell’imperialismo occidentale). Ma torniamo in particolare su Eolomea, film d’esplorazione spaziale, come abbiamo detto, senz’altro debitore in certo qual modo di 2001: odissea nello spazio (1968) di Stanley Kubrick (per attenzione ai dettagli, ricostruzioni di interni avveniristici, effetti psichedelici, costumi), soprattutto forse del film Doppelganger-Doppia immagine nello spazio e del serial UFO (1969) da esso derivato, opera dei coniugi Gerry e Sylvia Anderson (per realismo scenografico d’insieme, effetti speciali, modellini, miniature planetarie) ma anche della lezione di Andrej Tarkovskij appresa in Solaris (1972), uscito pochi mesi prima, in cui la nostalgia per la Terra, i suoi ambienti, la semplicità dei sentimenti umani, l’oggettistica terrestre più comune fa contrasto con l’asetticità scenografica di astronavi e stazioni spaziali, al punto da anticipare addirittura certi aspetti dei successivi Dark Star (1974) di John Carpenter e Alien (1979) di Ridley Scott (dove la personalità dei personaggi si riverbera anche da fotografie di donnine nude alle pareti dei mezzi, soprammobili dei nostri tempi come gli uccellini di vetro bevitori a centro tavolo, riviste tutt’altro che specialistiche sparse in giro, sciatteria di uniformi, più simili a tute di manovali o camionisti dello spazio che a baldi eroi del cosmo).
Gustosissimo quindi alla semplice visione, impreziosito da dialoghi tutt’altro che banali e privi di quel gergo fantascientifico fumettistico o privo di reale senso che ancora imperversava nelle sceneggiature del periodo, con un intreccio intrigante pur nella brevità dei suoi 79 minuti di lunghezza, Eolomea aveva tutte le carte in regola per diventare un piccolo cult del genere, invece è ancora oggi sconosciuto ai più, mai doppiato in Italia e apparso nel nostro Paese solo grazie al recente e prezioso cofanetto di Dvd “Stelle Rosse”, pubblicato da NoShame e già articolo di rara reperibilità (gli altri due titoli del pacchetto erano proprio Sojux 111 e La polvere delle galassie, solo il primo doppiato in italiano). Ci sia consentita quindi una disamina della trama completa, in modo da conoscere un po’ meglio questo curioso e dimenticato film, davvero meritevole di recupero.
In un prossimo futuro, in cui l’uomo si è spinto fino ai confini del nostro Sistema Solare, con basi orbitali attorno ai pianeti e colonie minerarie sugli asteroidi, otto astronavi, con i loro equipaggi, spariscono misteriosamente nei dintorni della gigantesca stazione spaziale Margot. Per tentare di scoprire la verità sulle sparizioni, la dottoressa Maria School (Cox Habbema) del Consiglio Superiore dell’Astronautica impone il veto sui voli, onde impedire ulteriori perdite, nutrendo nel contempo dei sospetti sull’ineffabile professor Olo Tal (Rolf Hoppe), un ex astronauta assurto ai ranghi più alti dell’ente spaziale, che sembra sapere molte cose sull’accaduto e addirittura propenso a far trapelare vaghi indizi che inducano la donna ad indagare sul suo conto. Le ricerche di Maria si spingono nel passato di Tal, quando, vent’anni prima, lui e il compagno pilota Pierre Brodski (Petar Slabakow), allora entrambi cosmonauti, avevano scoperto un segnale in codice proveniente dalla costellazione del Cigno, verosimilmente di natura intelligente, emesso da una civiltà aliena tecnologicamente avanzata. L’esistenza di un pianeta, noto come Eolomea, non venne però né indagata né confermata a causa degli alti costi del progetto e delle lentezze burocratiche, che tendevano a prediligere i voli spaziali di tipo commerciale e non esplorativo, e tutto venne presto dimenticato. Brodski, minato da un male incurabile, si era nel frattempo ritirato come eremita su una base nella fascia degli asteroidi, vicino alla stazione mineraria presieduta dall’ex pilota Kun (Wsewolod Sanajew), che ospita per certi periodi il disilluso Daniel Lagny (Iwan Andonov), un eccentrico ma valente navigatore dello spazio ridotto al ruolo di semplice “tassista” per le colonie dell’Anello Interno. Proprio a loro due Brodski, prima di morire, consegna un misterioso contenitore sigillato, avvertendo che presto qualcuno sarebbe passato a ritirarlo. Daniel, che durante una vacanza sulla Terra, alle isole Galapagos, aveva conosciuto Maria, innamorandosi di lei, viene così coinvolto nel caso delle sparizioni di astronavi, chiamato dalla donna per assisterlo durante un volo alla stazione orbitale Margot, per chiarire il mistero una volta per tutte. Qui, in tutto segreto, c’è anche il professor Tal, che finalmente spiega l’arcano: nessuna nave è scomparsa, in realtà, bensì semplicemente ricoverata per rifornimenti alla stazione, in attesa della partenza per una grande avventura senza ritorno: il viaggio verso Eolomea, con equipaggi di volontari addestrati da Tal, che, troppo anziano per comandare la spedizione, ha agito al di fuori dei voleri del Consiglio pur di dare il via alla carovana di esploratori spaziali. Il navigatore Sima Kun (Benjamin Besson), figlio dell’anziano amico di Daniel (che sperava di poter finalmente tornare sulla Terra per dedicarsi a lui, abbandonato che era bambino sulla stazione Margot), ritira dal padre il contenitore con tutti i dati per il volo ma la morte del pilota Brodski rende necessario che proprio Daniel ne prenda il suo posto, sacrificando così la sua relazione con Maria per affrontare il viaggio nello spazio, alla ricerca di una nuova civiltà extraterrestre.
Confezione intrigante, contenuto tutt’altro che banale o risaputo per questa pellicola che sa affascinare per l’armonioso equilibrio delle sue parti e anche per un provocante anticipo di quella fusione di generi che va di moda ai tempi nostri. Il trailer del film tende a creare un senso di “confusione” nello spettatore, dando rilievo a sequenze affatto compatibili con un film di fantascienza (le scene dell’idillio amoroso tra Dan e Maria, i sogni terrestri del pilota che ha dovuto abbandonare il figlio infante dopo una catastrofe su Venere in cui perse la moglie, i paesaggi esotici delle Galapagos, tra oceano e fiori rigogliosi) e inserendo criptici pannelli con le scritte “Sarà un film d’amore? O un documentario naturalistico?”, salvo poi introdurre alcune immagini più drammatiche (“È un film thriller”?) e infine di astronavi in volo e uomini in tuta spaziale, con la scritta chiarificatrice “No, è il nuovo film utopistico della DEFA”. Lo stesso poster originale, con l’attrice e modella tedesca Cox Habbema in primo piano, quasi un’immagine pubblicitaria di una rivista di moda, nulla lascia trapelare della reale trama del film. L’inizio della pellicola, pur brevemente, gioca la carta della falsa pista di genere per lo spettatore, con Dan Lagny in vacanza alle Galapagos (in realtà le coste del Mar Nero), attraverso luminosi scenari esotici, che si butta in acqua vestito e si rivolge ai colleghi lontani di Luna 3, giurando di non tornare mai più nello spazio, mentre scorrono i titolo di apertura, con immagini animate psichedeliche che solo in un secondo tempo arriveremo a capire si tratti di paesaggi alieni del lontano pianeta Eolomea, al centro della storia, meta finale del futuro viaggio dell’ancora inconsapevole navigatore spaziale. Ma non è Eolomea o la missione alla sua scoperta il cardine della pellicola, tutta incentrata invece sui personaggi, credibilissimi grazie alla bravura di sconosciuti interpreti tedeschi, russi e bulgari, e i loro rapporti personali. Una galleria variegata di caratteri, interpretati da attori che credevano veramente nelle loro parti, al punto da comunicare agli spettatori tale convincente adesione nei loro ruoli, davvero tridimensionali e vivi. Maria Scholl, a capo del Consiglio Astronautico (curiosa figura di donna in carriera che non sacrifica per il lavoro i suoi affetti personali, capace anche di riciclarsi in “detective” per risolvere il mistero della sparizione di astronavi, innamorata di un “manovale” dello spazio alla faccia delle convenzioni sociali; Daniel Lagny, astronauta che un tempo credeva nel sogno dell’esplorazione spaziale in virtù della sete di conoscenza umana, ora cinico e disilluso per come si è trasformato grettamente tale sogno, confinato entro i limiti del Sistema solare e per fini unicamente economici e commerciali; il professor Olo Tal, che invece ha continuato a coltivare il sogno del viaggio extrasolare per vent’anni, riuscendo a concretizzarlo per giovani volontari, in ultimo spaventato dalla portata di tale progetto ma che riesce infine ad ottenere il plauso del Consiglio per il suo operato clandestino; il pilota Kun, anch’egli un veterano dei tempi d’oro dell’avventura spaziale, ora relegato in compiti di controllo in remoti avamposti asteroidali, speranzoso di tornare sulla Terra con il figlio Sima, che invece è diventato il comandante della colonia di astronavi per Eolomea; lo scienziato Brodsky, vittima di un virus con cui deve convivere forzatamente fino alla morte, che dedica tutto il suo tempo rimanente per dare avvio al viaggio, approntando i dati di volo. I dialoghi dei personaggi, le battute sarcastiche di Lagny, i malinconici ricordi del passato di Kun, i sogni speranzosi di Tal sono splendidamente orchestrati, realistici, impreziositi dal contrasto, particolarmente avvertibile, delle sequenze spaziali con grandi astronavi in volo, gigantesche stazioni orbitanti, attività extraveicolari nel vuoto, rendez-vous cosmici (un “omaggio” a 2001 – oltre al respiro pesante degli astronauti in tuta spaziale – è l’attracco dello shuttle di Maria con la stazione Margot, con atterraggio visibile
ripreso dall’interno della pista, cosa che invece Kubrick aveva lasciato in sospeso a termine del volo del suo aereo orbitale per la Stazione 5), addirittura con un grottesco e malandato robottino traballante, factotum su Margot, cui è riservato un siparietto comico, rispetto a situazioni del tutto ordinarie sul pianeta Terra (feste natalizie in costume, periodi di vacanza, paesaggi rurali e bucolici, gite in bicicletta, colazioni con tè e biscotti sulla cima delle montagne, pomeriggi di pesca sul fiume), che hanno un curioso scarto temporale rivolto al passato rispetto alla tecnologia avveniristica messa in scena nelle parti più fantascientifiche dell’opera, di gran pregio, nonostante i budget risicati della DEFA, che fece i salti mortali per offrire un prodotto fantascientifico realistico, in grado di competere con gli equivalenti americani e inglesi del periodo (per il design delle tute spaziali alla costumista Barbara Muller fu consentita una visita al cosmodromo russo, ma non le fu possibile scattare foto o effettuare riprese e così dovette disegnare tutti gli schizzi a memoria).
Gli uomini dello spazio di Eolomea si lamentano della fine dei tempi d’oro dell’esplorazione dei pianeti, della burocrazia del Consiglio che ha impantanato il sogno della conquista siderale, della miopia dei tecnici di trasporto che inviano “colla da falegname” agli equipaggi degli avamposti aseroidali quando questi avevano richiesto ago e filo per cucirsi i calzini, si ubriacano assieme con liquori di contrabbando cantando vecchie canzoni, utilizzano razzi segnalatori per creare effetti pirotecnici nello spazio, in modo da rievocare i fuochi d’artificio dei Capodanni sulla Terra, addobbano i veicoli spaziali con disegni infantili, piantine grasse, frutti, vecchie sveglie antidiluviane, auspicano un ritorno alle origini, agli affetti più cari lasciati indietro (evidente la lezione di Solaris, come già rimarcato, ma i personaggi di Alien stesso dovranno molto, in questo senso, al film di Zschoche). Daniel Lagny ne è l’emblematico simbolo: un cinico dal cuore d’oro, uno spirito libero insofferente alle regole, con già tre richiami all’ordine ufficiali, disilluso sì ma pronto a far rivivere sogni e speranze dell’umanità nello spazio, al prezzo, molto alto, del rifiuto di una vita in comune con Maria sulla terra. Di lei resterà solo una tartarughina delle Galapagos, un regalo della ragazza, che accompagnerà Dan nella sua avventura a capo della carovana di astronavi alla volta di Eolomea.
E indimenticabile sarà la sua battuta finale: “È buffo. Vado alla scoperta di nuove civiltà con i calzini pieni di buchi”.
Scheda film
Eolomea (RDT, Unione Sovietica, Bulgaria, 1972, 79’, C). Regia: Hermann Zschoche. Sceneggiatura: Angel Wagenstein, Willi Bruckner. Fotografia: Gunther Jaeuthe. Montaggio: Helga Gentz. Musica: Gunther Fischer. Scenografia: Erich Krullke, Werner Pieske. Effetti speciali: Gunter Malinowski, Kurt Marks, Boris Travkin, Siegfried Wunsch. Costumi: Barbara Muller. Produzione: Dorothea Hildebrant. Con Iwan Andonov (Daniel Lagny), Cox Habbema (Maria Scholl), Rolf Hoppe (Olo Tal), Wsewolod Sanajew (Kun), Petar Slabakow (Pierre Brodski) Benjamin Besson (Sima Kun), Wolfgang Greese (Presidente del Consiglio), Holgher Mahlich (navigatore). DEFA. Edizione in DVD: cofanetto “Stelle Rosse”, NoShame, versione originale con sottotitoli italiano-inglese.
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