Lo scorso 19 febbraio ci ha lasciati Umberto Eco, il noto scrittore e filosofo. La notizia è rimbalzata in tutto il mondo, segno della sua grandezza intellettuale. Semiologo, filosofo, saggista, scrittore: Eco è stato uno dei pochi intellettuali del nostro Paese che ha saputo raccontare tanto la cultura cosiddetta Alta tanto quella denominata Bassa, dove spesso viene collocata anche la fantascienza.
A leggere i suoi tanti libri di saggistica, si scopre che Eco era un lettore se non accanito, comunque non saltuario di science fiction. I suoi riferimenti al genere letterario sono sempre precisi e puntuali, mai generici o approssimativi.
Vale la pena ricordare, ad esempio, che la prima edizione di Le sirene di Titano di Kurt Vonnegut Jr, uscito nel 1965 nella collana "Science Fiction Book Club" per La Casa editrice La Tribuna, si fregiava proprio di una sua prefazione. Senza dimenticare che in uno dei suoi libri più famosi, Apocalittici e integrati del 1964, Eco – in un articolo collocato alla fine della raccolta di saggi – proponeva ai suoi colleghi critici letterari e non solo, una metodologia precisa per recensire i romanzi di fantascienza, sostenendo che: "La fantascienza è letteratura di consumo, e quindi non va giudicata (se non per finzione snobistica) secondo i criteri applicabili alla letteratura sperimentale e di ricerca".
Negli anni precedenti, infatti, aveva recensito romanzi, che ormai consideriamo classici, anche su pubblicazioni di "alta" cultura come la rivista "Il Verri" o su quotidiani come "Il Corriere della Sera".
Il professore di Semiologia attribuiva, in quegli anni, alla fantascienza un ruolo ben preciso, quello di trasmettere all'interno della Cultura di Massa – dai fumetti, alle canzoni, fino alla televisione, in pratica i fenomeni culturali di cui si occupava proprio in Apocalittici e integrati – la visione progressista della società. Eco leggeva e si era appassionata alla fantascienza sociale, quella che veniva pubblicata sulle riviste americane Galaxy e The Magazine of Fantasy and Science Fiction, che aveva in scrittori quali Robert Sheckley, Frederik Pohl, Cyril M. Kornbluth, William Tenn e ancora Richard Matheson, Mack Reynolds e Philip K. Dick i suoi principali Alfieri.
Per eco la fantascienza non solo era progressista, ma svolgeva anche una chiara funzione educativa, ammonendo in qualche modo uomo con le sue "utopie" positive o negative che fossero.
In seguito, Eco cambierà un po' questa sua posizione, attribuendo alla fantascienza più uno stretto legame con la scienza.
In un altro famoso saggio dal significativo titolo I mondi della fantascienza, apparso nella raccolta Sugli Specchi (Bompiani 1985), l'autore de Il nome della rosa, scriveva: "La buona fantascienza è scientificamente interessante non perché parla di prodigi tecnologici – e potrebbe anche non parlarne affatto – ma perché si propone come gioco narrativo sulla essenza stessa di ogni scienza, e cioè sulla sua congetturalità.
La fantascienza è, in altri termini, narrativa dell'ipotesi, della congettura o dell'abduzione, e in tal senso è gioco scientifico per eccellenza, dato che ogni scienza funziona per congetture, ovvero per abduzioni."
Ma Eco non si era limitato a riflessioni critiche sulla fantascienza, anzi si era più volte lanciato anche come scrittore di fantascienza, con racconti che via via erano stati raccolti in Diario minimo (1965), Il Secondo Diario minimo (1992).
Molti pensano, infatti, che l'esordio narrativo di Eco sia stato con il suo bestseller mondiale Il nome della rosa del 1980, e invece il Professore aveva scritto molti racconti di science fiction.
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