È importante che Il Quinto Principio di Vittorio Catani torni disponibile in libreria. Sin dal debutto a metà anni Sessanta, Catani è stato una presenza costante nella fantascienza italiana.
Soprattutto nel racconto, la vastità della gamma dei suoi interessi letterari (nel genere e non solo) gli ha permesso di attraversarne sottogeneri e varianti. Sin dagli inizi, la sua fantascienza è stata nel segno dell’impegno letterario e politico. Affascinata dai modelli che stavano aprendo strade cosmopolite in quell’Italia della Ricostruzione, che perseguiva alternative a una società ancora imbevuta di arcaismo (da sempre, sono tanti gli autori provenienti dal Sud) e a un establishment culturale per molti soffocante sia nel crocianesimo sia nel realismo, quella fantascienza italiana (soprattutto sull’esempio di Lino Aldani) aveva cercato di coniugare storytelling e consapevolezza sociale.
Fra i racconti degli inizi, “Breve eternità felice di Vikkor Thalimon” (1972) riscrive una classica trama di avventura colonialista trasformandola in una parabola sull’intrinseco carattere autodistruttivo della fantasia di potere dell’esploratore, e mostra l’influsso delle avanguardie contemporanee (la New Wave della science fiction fianco a fianco con la nouvelle vague cinematografica).
Fra i racconti pubblicati a fine anni Settanta, molti sono accomunati in quella che Catani ha chiamato “storia futura libertaria”, risposte alle speranze e ai disincanti post-1968, opzioni sia utopiche sia distopiche, esperimenti mentali sempre (per riprendere teorici come Tom Moylan e Darko Suvin) fallibili e critici, tentativi di immaginare il futuro italiano, di pensare il cambiamento senza averne paura. Uno di quei racconti (“Il pianeta dell’entropia”, 1978), ha scritto Valerio Evangelisti, era diventato testo di culto fra i giovani universitari del Settantasette bolognese.
Sarebbe bello vederli riuniti in un volume, e lo stesso vale per i racconti di ambientazione pugliese.
A metà anni Ottanta, Catani è fra i primi italiani a comprendere il potenziale del cyberpunk, e “L’angelo senza sogni” (1986) presentava scenari di spossessamento biopolitico, in un pessimismo chiaramente più prossimo alla visione distopica di William Gibson che a quelle tecnocratiche fin troppo diffuse. Laddove tanta “cybercultura” di allora enfatizzava sogni di immaterialità high-tech, l’accento di Catani era sulla fisicità del corpo.
Nel 1990, su Urania esce il romanzo Gli universi di Moras, storia di universi paralleli che deve altrettanto a un labirintico testo come Ada di Vladimir Nabokov come alla fantascienza classica (pensiamo a Robert Silverberg). Per lavorare sulle “contaminazioni” fra generi, Catani non ha certo aspettato le mode editoriali: Valerio Evangelisti, Sergio Altieri e Tullio Avoledo potrebbero senz’altro riconoscerlo fra i loro modelli (e nella generazione seguente, pensiamo a Dario Tonani, Clelia Farris, Giovanni De Matteo). Il più recente progetto, ci risulta, riguarda un salto nel tempo che porta il viaggiatore a incontrare se stesso e le sue partner del passato: più che una rutilante avventura, una intensa storia d’amore che vuole riprendere atmosfere di Jules e Jim (romanzo di Henri-Pierre Roché e film di François Truffaut): amori impossibili, vissuti tra gli incubi di un micidiale morbo psichico e l’entusiasmo per un’idea rivoluzionaria.
La versatilità di Catani nella forma breve trova un culmine in questo romanzo davvero enciclopedico, già uscito su Urania nel 2009. Epico nella molteplicità di personaggi, nella prospettiva globale e nell’interazione narrativa di temi diversi (economia, politica, sessualità, scienza, tecnologia), Il Quinto Principio riprende diversi filoni della fantascienza: dalla sofisticazione formale delle distopie di John Brunner, passando per il cyberpunk di Gibson, e arrivando alle preoccupazioni postumane e ambientali di Greg Egan e Kim Stanley Robinson. Per chi conosce il genere, la caccia alla citazione ironicamente rivisitata può essere un valore aggiunto. Il “principio” del titolo collega deliberatamente un nuovo inizio sociale e l’emergere di una nuova serie di leggi naturali, e c’è qualcosa di Calvino in questo uso del metodo scientifico come prefigurazione di una società sostenibile. Non sarebbe fuori luogo leggere Il Quinto Principio con in mente la “nuova epica
italiana” di cui parlavano i Wu Ming qualche anno fa.
Di certo questo futuro, non tanto distante, è un mondo complesso.
Come tutta la science fiction contemporanea, Catani sa che non esistono soluzioni facili, e neanche le analisi lo sono. Il quinto principio è tutt’altro che un romanzo lineare, e lancia al lettore la sfida di “riempire i vuoti” lasciati da frammenti narrativi: è fatta così la fantascienza migliore. E complesso è l’intreccio dei “novum” che sostengono il romanzo, e riguardano almeno tre livelli: il corpo (gli innesti cyborg della Protesi Elettronica Mentale, che prospettano allo stesso tempo la possibilità di una percezione allargata e la minaccia di un controllo panottico), la società (il regime globale, una cinica distopia non piramidale, a diversi gradi di intensità a seconda delle necessità di mantenimento del consenso), la cosmologia (gli universi paralleli, gli eventi inesplicabili). Alla radice della distopia si pone ironicamente anche la Bretton Woods (1944) parallela, in cui si parla di progettare il consumismo, di idee riprese da vecchie riviste sf, e delle prime teorie sulle interfacce fra cervello e circuiti elettronici per il controllo del comportamento. Il discorso resta sempre aperto; la pem – variante della tradizionale icona del cyborg – può mettere in crisi i concetti tradizionali di individualità in tanti modi, sia manipolativi, sia liberatori; nel libro e fuori, ognuno è responsabile delle proprie “letture”.
Se qui il vero protagonista è il mondo, con i suoi luoghi e nonluoghi urbani, è una scelta politica anche il rifiuto di inserire un “eroe” o un gruppo intrinsecamente incorrotto e portatore di valori alternativi: qui ognuno è portatore di contraddizioni, e la politica è sempre una scelta personale, dolorosa perché mai scontata o automatica. Ma di personaggi, come ogni epica che si rispetti, ne troviamo tanti, e seguiamo i loro destini. Come in Dick, potremmo dividerli secondo la gerarchia del potere. Fra i membri dell’élite, il finanziere Yarin e i suoi oppositori Alex e Waldemar; in mezzo, Manu e Laurì, spinti soprattutto dal senso dei rapporti umani; sul fondo, Auro, Mait e gli altri Irragionevoli. Frammentaria e contingente, fra questi “resistenti” un’alleanza sarà possibile.
Negli “Eventi Eccezionali”, in cui la teoria ecologica di Gaia si mescola con quella della Singolarità tecnologica, si dischiude la speranza di un “principio” del disordine, e di un nuovo mondo possibile. La fuga sul Mondo B non porterà certezze. I segni vanno in entrambe le direzioni.
Nella conclusione del romanzo, si prospettano almeno due futuri possibili: si può ripetere, oppure rifiutare i vecchi errori. Ma comunque la storia, per i dissidenti come per i sopravvissuti della Terra originaria, si è riaperta.
Contro la grana del mainstream intellettuale italiano, per Catani la dimensione globale nata con il post-fordismo non ha cancellato gli orizzonti utopici. Anche per questo, Il Quinto Principio è un romanzo prezioso.
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