Un’analisi psicologica della figura di Lucas ha portato alcuni critici (cfr. Massimo Benvegnù, Dalle stelle alle stalle: biografia di Gorge Lucas) a sostenere che il personaggio del padre del regista - fortemente autoritario, retrogrado, ostile alle idee del figlio e incarnazione di un potere costituito su una “legittimità tradizionale” – abbia avuto un ruolo non da poco nell’opera stessa di Lucas. Non solo in THX 1138, dove domina l’ansia di rivolta contro un esasperato universo concentrazionario; ma anche in Star Wars dove i Ribelli sono tutti giovani combattenti contro l’autorità incarnata nell’Impero. Senza ombra di dubbio, la trilogia classica promuove una concezione democratica e liberale del potere, antiautoritaria per eccellenza: l’immagine dei piccoli caccia ribelli che distruggono l’immensa Morte Nera, o degli ingenui Ewok che sconfiggono il plotone d’élite degli assaltatori imperiali su Endor, rappresenta proprio quest’idea di rivolta contro il potere. Eppure, la dicotomia così assoluta tra Bene e Male, Vecchia Repubblica e Impero, che domina la trilogia classica viene messa in crisi dalla trilogia prequel. Non solamente si fa più sfumata la differenza tra buoni e cattivi, come richiede del resto una maturazione del pensiero di Lucas negli anni, ma diventa più ambigua la concezione del potere e della politica che il creatore di Star Wars imprime nella saga.Quali siano le idee di Gorge Lucas riguardo il potere e la politica lo si apprende attraverso le sue stesse parole in un’intervista al New York Times del marzo 1999, riportate da Lorenzo Esposito nel suo interessante saggio Il 18 Brumaio di Anakin Skywalker: «Non c’è probabilmente miglior forma di governo di un buon despota… egli può far realizzare effettivamente le cose. L’idea che il potere corrompe è molto vera e solo un grande uomo può andare oltre tutto questo». Una concezione che tra l’altro emerge anche nel dialogo, ne L’Attacco dei Cloni, tra Anakin e Padmé, dove il primo rivela la sua idea di dispotismo illuminato osteggiata dal credo democratico di Padmé. ;;;La sfiducia lucasiana verso le strutture democratiche è facilmente riscontrabile nella trilogia prequel, molto più politica di quella classica in quanto tesa a chiarire il passaggio drammatico dalla Repubblica all’Impero. Il Senato galattico è debole e corrotto, i suoi tempi decisionali sono lunghissimi; gli Jedi, i ‘peacekeeper’ galattici, sono – come quelli dell’ONU – legati da un codice di comportamento che impedisce loro di esercitare un vero potere pacificatore. Solo ne La Vendetta dei Sith, dove appunto si assiste alla presa finale del potere da parte dell’Imperatore, Lucas mostra una visione più liberal, tanto che in non poche battute i critici hanno letto una dura condanna alla dicotomia scellerata bene-male dell’amministrazione repubblicana USA (Anakin: «Se non sei con me, sei contro di me»; Obi-Wan: «Solo un Sith ragiona per assoluti»). Nel giugno 2008, dopo un’udienza alla Commissione per le Telecomunicazioni della Camera americana, Lucas non ha voluto rispondere alla domanda di un giornalista su come considerasse George W. Bush, se uno “Jedi” o un “Sith”; ma ha tenuto ad affermare che il democratico Barack Obama, candidato alla presidenza, sarebbe uno Jedi.In generale emerge dalla visione dell’esalogia una concezione ambigua del potere. Il leaderismo o meglio proprio la legittimità carismatica weberiana è alla base dell’ideologia politica che Lucas infonde nella sua saga. La Repubblica, priva di vertici, è debole e inconcludente. L’uomo forte è l’unico che può garantire il bene del suo popolo ma va sempre incontro alla tentazione del dominio: così Anakin, così anche Luke (che però resiste). Gli Jedi, suggerisce Lucas, dovrebbero governare la galassia. Ma, anche se essi ambiscono al bene universale diversamente dai Sith, pure sono fallaci e possono andare incontro alla corruzione: la debolezza di Yoda, la cecità di Mace Windu, la scarsa avvedutezza di Obi-Wan ne sono la dimostrazione. E Palpatine argomenta molto bene quest’opinione al suo apprendista Anakin-Vader, al punto che non si può non dargli ragione. L’opera di Lucas, in definitiva, punta il dito verso il rischio continuo del potere e testimonia una disillusione tutta americana: l’idea che chiunque decida le sorti di una società – sia esso un uomo, un grande leder, un consesso democratico, un’oligarchia tirannica – cadrà sempre vittima del Lato Oscuro.
L’impero, l’ordine, il potere
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