Nel panorama delle serie della stagione 2013-2014 è stata una delle poche che si sono fatte seguire con piacere fino alla fine.
Il nodo centrale della serie è la clonazione (mettiamoci un attimo di erudizione fine a se stessa, sapete che “clone” deriva dal greco “klon” che vuol dire ramo?) ovvero quella tecnica di riproduzione asessuata che permetterebbe di inserire l'intero nucleo della cellula di un essere vivente in una cellula uovo della medesima specie per ottenere così un individuo perfettamente uguale al primo.
Ovviamente, il procedimento di clonazione non è così semplice (decifrare molecola per molecola come sono fatti i nostri cromosomi e come davvero funzionano ampie zone proteiche delle quali sappiamo molto poco è un viaggio appena appena iniziato) come negli anni ci ha dimostrato la pecora Dolly ed altre esperienze, e molto distante per gli esseri umani.
Ma qui siamo nella fantascienza quindi: sospensione dell'incredulità e infiliamoci nella storia.
Sarah Manning, una outsider darkettina/punk assiste al suicidio di una donna identica a lei che si lancia sulle rotaie della metropolitana e non trova di meglio che sottrarre la borsa alla defunta.
Da quel momento non solo si trova ad assumerne l'identità per qualche episodio (e si tratta di Beth Childs, una poliziotta) ma incapperà in almeno altre sei donne identiche a lei rendendosi conto di essere non un orfana senza famiglia ma un clone.
L'idea della serie è venuta a Graeme Manson, sceneggiatore canadese precedentemente coinvolto in Flashpoint (una serie poliziesca di buon livello) coadiuvato da John Fawcett, regista al cui attivo ci sono episodi di diverse serie conosciute (Xena, Queer as Folk, Being Erica) entrambi canadesi che si sono trovati a collaborare già da qualche anno e che hanno dato vita alla serie proprio partendo dalla scena iniziale: una donna ne incontra una identica a lei in metropolitana prima che questa si suicidi.
I punti di forza della serie, prodotta da BBC America, risiedono innanzitutto nella storia che (pur richiedendo una gran dose di sospensione dell'incredulità come già detto) è ben dosata tra i momenti drammatici e quelli “comedian” (che non vuol dire ridere come dei cretini).
Il personaggio centrale (Sarah) e i suoi cloni sono stati affidati all'interpretazione di Tatiana Maslany (che tra prima e seconda serie si avvia ad aver interpretato più di dieci “se stessa”) tanto che tra gli appassionati il telefilm è anche soprannominato “Tatiana Maslany Show”.
La storia poggia su solide basi di background che lascia scoprire un poco alla volta, e quasi mai ricorrendo allo “spiegone” in diretta, altro punto a favore.
In questo modo veniamo a sapere che sono a conoscenza dei cloni sia i militari (potevano mancare?) che i Neoluzionisti (ovvero la parte scientifica e “freddamente ragionatrice”) che i Proletiani (una setta religiosa dunque all'opposto della scienza ma altrettanto fanatici). Insieme a loro popolano il mondo di Orphan Black una rete clandestina “anarco insurrezionalista”, poliziotti corrotti, ex partner, spacciatori e familiari, ognuno definito poco alla volta fino a raggiungere una convincente tridimensionalità che li rende quasi veri.
Tatiana Maslany, dal canto suo, dimostra una grande versatilità nell'interpretare il gruppo dei cloni, moltiplicandosi oltre alla Sarah di cui abbiamo parlato in una nerd di nome Cosima, una casalinga disperata di nome Alison, una psicopatica con tendenze assassine di nome Helena (dove sfoggia un ottimo accento dell'est europeo), una CEO fredda e calcolatrice, di nome Rachel, un trasgender di nome Tony (questo per citare solo i cloni che si vedono vivi e vegeti) e lo fa (a suo dire) aiutandosi con la sua conoscenza della danza (dando pose e movimenti specifici ad ognuno dei cloni) ed ascoltando musica diversa a seconda del clone che deve interpretare.
Secondo quanto dichiarato in alcune interviste degli autori Orphan Black vuole essere una serie di fantascienza che non si rivolge agli adolescenti, e in questo rientra di sicuro la libertà con cui viene trattata la tematica della sessualità dei personaggi, troviamo il fratello adottivo di Sarah (interpretato da Jordan Gavaris) omosessuale, uno dei cloni (Tony) transgender e Cosima (la nerd) bisessuale, ma ancora di più è trattata la sessualità nella sua accezione procreativa, Sarah (la protagonista) è l'unica ad aver avuto una figlia (una eccezione che indica un successo o un fallimento per i creatori dei cloni?) Alison ne ha adottati due e il rapporto figlio/genitore visto dalla parte dei genitori sbuca fuori ad ogni angolo evitando però di scivolare nel patetico stile delle fiction italiane o di alcune serie USA.
Il desiderio di procreare è una spinta quasi neanderthaliana alla quale nessuno dei personaggi sembra sottrarsi, cercando di darvi una risposta o naturalmente o attraverso gli esperimenti scientifici.
Essere genitore di un clone o di un bambino adottato o di un figlio partorito è la stessa cosa?
E il bambino a sua volta che tipo di genitore sarà?
Cosa vuol dire arrogarsi addirittura il diritto di essere un emissario di Dio in terra a tal punto da propagare solo la propria stirpe usando giovani donne inserite in una setta religiosa come vere e proprie mucche da riproduzione per il seme del predicatore/padre?
Tra i momenti action e quelli di relax si aprono scenari inquietanti, in Orphan Black, e vengono fuori scene o interi episodi da American Gothic, in una ottima mescolanza di generi, nonché momenti puramente Pulp (c'è una morte che più Pulp Ficton non si può!).
La trasmissione della serie è avvenuta su Premium, ma i suoi stessi creatori hanno affermato che la serie starebbe bene su una piattaforma web (stile Netflix) in modo da poter ingenerare nello spettatore una frase del tipo “Ok, sono le due di notte e chi se ne frega, mi vedo un altro episodio!”
Orphan Black è una serie diversa, sorretta da un solido script e girata e recitata con grande impegno, magari non è proprio arte, ma di sicuro alto artigianato.
Le due stagioni prodotte fino ad ora sono state di ottimo livello e spero che anche la terza lo sia, e che poco alla volta ci si possa anche porre la domanda:
Perché produrre dei cloni?
Sperando che la risposta non sia solo: perché no?
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