Delos 19: Racconto racconto di Giulio Sosio

e Maurizio Porretti

L'OMBRA

SUL CUSTODE

Giulio Sosio (che è poi il cugino di Silvio) e Maurizio Porretti non hanno scritto moltissimo, ma anche così sono riusciti, nel 1990, ad aggiudicarsi il primo posto alla terza edizione del prestigioso Premio Nazionale di narrativa fantastica "Comune di Courmayeur". Il racconto vincitore è proprio quello che segue.

Albin Piduid non riusciva a prendere sonno, quella notte. Non aveva neppure tentato di mettersi a letto; camminava da solo, oppresso da quel senso di malessere interiore che precedeva ogni Giorno del Silenzio.

La spianata era deserta, invitante; il vento serpeggiava tutto intorno, stormendo fra gli alberi radi, giocando arditamente con il manto di erba soffice: pareva che il suolo si alzasse e si abbassasse, il torace di un gigante affaticato. Da lassù si scorgevano le fortificazioni meridionali della Rocca, scandite dalle luci delle sentinelle.

Gli astri scintillavano. La costellazione del Padre era semplicemente radiosa: Sher, al centro, barbagliava di quel suo inconfondibile turchese cupo, e tutte le stelle di complemento sembravano sforzarsi di apparire più fulgide. Forse perché Elisschvartsiusei aveva posto fine al suo viaggio nel cosmo in una notte come quella, una notte in cui Albin Piduid non riusciva a prendere sonno. Ma in fondo non gli dispiaceva: era un momento da vivere, da assaporare.

L'alba. In quel momento particolare della giornata la Casa del Padre, che dominava tutta la Rocca, subiva una trasfigurazione: i piani marmorei della facciata, bianchi con inserti d'un rosa screziato, sublimavano i raggi ancora deboli dei due piccoli soli, rendendo la Dimora simile ad un tremolante miraggio. Il custode varcò il portale intarsiato. Dava accesso ad un ampio vano ellittico, tagliato longitudinalmente da due file di colonne che lo suddividevano in tre navate. Quella centrale era coperta da un'altra volta a botte, che creava un delicato contrasto con la volta a crociera delle navate laterali. Le pareti di queste ultime erano affrescate con scene tratte dalla Vita del Padre. Più in alto, il tamburo minutamente traforato della cupola diffondeva una luminosità riposante nella navata principale, che sfociava all'altra estremità in un basamento a pianta ottagonale ospitante un sarcofago.

Era un'architettura antichissima, originaria di luoghi perduti, separati nel tempo e nello spazio da barriere ormai insuperabili: la Terra, il mitico Mondo del Padre.

Albin Piduid insistette per qualche attimo sulla soglia; voleva valutare il risultato globale prodotto dagli addobbi predisposti per celebrare il Giorno.

Scrutò il baldacchino innalzato sopra al Sarcofago, che sosteneva con leggiadra disinvoltura due ordini di drappi purpurei bordati di oplon grezzo. Tutto intorno al perimetro interno erano collocati archi floreali, che oltre a spandere un sottile profumo esaltavano la forza narrativa delle immagini dipinte. I mosaici del pavimento erano lustri, i colori più intensi del solito.

Ora che non c'era più la festosa confusione dei lavoranti e degli artigiani, l'effetto misticheggiante di quegli addobbi era evidentissimo, ancora migliore rispetto all'anno precedente. Spesso, da giovane, il Custode si era chiesto se non fosse meglio lasciarli in via permanente; ma Ghalad, il suo predecessore, gli aveva spiegato come quell'apparato servisse a celebrare degnamente il Giorno del Silenzio, a distinguerlo da tutti gli altri giorni, per i quali bastava la presenza del Padre fra loro. Parole giuste.

Gettò un'ultima occhiata all'insieme, dopo di che si diresse deciso verso un'apertura ad arco. Vi sgusciò dentro e percorse in fretta alcune rampe di scale, ritrovandosi nella stanza ove risiedeva l'apparato burocratico della Rocca, presieduto da un paio di Consoli. Il Custode esercitava poche mansioni secondarie.

Nella Sala del Contenzioso c'era già qualcuno. Un giovane sedeva dietro ad un bancone, chino su alcuni fogli che stavano assorbendo tutta la sua attenzione.

Piduid si avvicinò silenziosamente, e lo fissò con una punta di preoccupazione e d'affetto, rincorrendo i propri pensieri.

Ad una prima occhiata poteva passare per un individuo ordinario, quasi banale.

Ma un esame più approfondito rivelava in lui alcune caratteristiche particolari: gli occhi, benchè poco appariscenti a causa del taglio mandorlato, erano di un azzurro vivissimo, magnetico; i lineamenti del viso erano aggraziati, e convergevano con decisione verso il mento, senza sbavature; due piccoli tagli verticali agli angoli delle labbra conferivano ad ogni espressione facciale una certa aura di autorità.

Forse quei dettagli somatici avevano avuto il loro peso, quando il Custode, esaminando i vari aspiranti alla carica, si era risolto di osservare con particolare attenzione quel ragazzo, nella prospettiva di affidarne a lui, un giorno, tutto il peso. O forse aveva fatto impressione su di lui il carattere, non ancora definito, ma che lasciava indubbiamente spazio alla perseveranza, alla serenità d'animo, alla capacità di convivere con talune consapevolezze.

Comunque, per il momento nulla era ancora deciso, almeno a livello ufficiale.

Nonostante tutto non erano molti coloro che aspiravano a divenire Custodi. Il Custode godeva di un certo prestigio, certo, ma occupava un posto assai basso nella gerarchia della Fratellanza, quasi simbolico, pur essendo depositario di un segreto che nessun altro conosceva, neppure il Pontifex o il Dignitarius.

Anzi, lui ne era gravato proprio per permettere agli altri di assolvere ai rispettivi compiti in tutta serenità.

In quel momento vi erano sei Precustodi, i possibili candidati alla successione. Lavoravano continuamente negli archivi polverosi della casa, addetti a mansioni noiose, senza neppure la certezza di riuscire nel loro intento. E ciò quando con lo stesso dispendio di volontà e di energie si poteva già diventare Messaggeri. Chissà quali ragioni li attiravano: una semplice curiosità, motivi personali, un più profondo desiderio di conoscere...? Piduid ricordava di esservi stato indotto proprio da quest'ultimo... Una brama che si era trasformata nel tempo in passione, gioia e sofferenza. Adesso anche lui, entro un tempo relativamente breve, avrebbe dovuto scegliere; sperava di farlo bene.

La sua ombra tarchiata si allungò sul bancone, e il giovane sollevò lo sguardo. - Benvenuto, Custode - salutò alzandosi in piedi.

- Stai pure comodo, Baldwin - lo invitò bonariamente Piduid. - Che cosa abbiamo oggi? - domandò poi, augurandosi che il Giorno del Silenzio gli riservasse su quel fronte una relativa calma.

- Due sole pendenze, per fortuna - rispose il giovane, intuendo il pensiero del Custode. - Ci sarà tutto il tempo per le celebrazioni. La prima. Una giovane donna ha osato guardare un uomo negli occhi. E gli ha pure rivolto la parola.

- Ci sono scriminanti?

- Dice di non avere mai levato lo sguardo, e di aver parlato solo per rispondere ad una domanda. Ma l'accusatore insiste nel sottolineare la sfrontatezza del gesto.

- Poi?

- Un'altra setta eretica, Custode - il volto di Baldwin si era rabbuiato, ma il suo interlocutore non potè accorgersene: in quel momento Piduid si era affacciato ad una bifora, e guardava in direzione delle piantagioni, soffermandosi sulle lontane sagome curve delle contadine. - Blasfemità sul Padre - continuò il Precustode. - Un gruppo di sediziosi ritiene che Egli non fu solo su Galvern, ma in compagnia di altri Esseri della Sua stessa levatura.

- Su che basi sono fondate queste asserzioni?

- Su un rilettura del Libro degli Eventi, titolo sesto, quando dice che in molti si sparsero su questo mondo, e...

- Conosco il brano. - Il Custode piantò i suoi occhi in quelli del sottoposto.

Annuì, come rispondendo a se stesso. - Se tu fossi il relatore in questo processo, come smonteresti l'assunto?

- Con... l'interpretazione canonica del brano - azzardò Baldwin. - L'Autore voleva infatti significare la poliedricità del Padre, la Sua capacità di presiedere contemporaneamente a molti eventi, ferma restandone l'individualità fisica. Ogni interpretazione discrepante deve qualificarsi come un'eresia.

- Saresti pronto a chiederne la condanna a morte, se le accuse si rivelassero fondate?

- Credo... credo di sì - fu l'imbarazzata risposta. Piduid non vi scorse traccia di menzogna.

- Il Custode si allontanò dalla bifora, con una strana espressione sul volto. - Vidima i due fascicoli e trasmettili al Collegio dei Giudicanti. Sarai tu il relatore.

- Io?

- E' tempo che tutti i Precustodi si cimentino nelle attività pratiche. Alcyd l'ha già fatto. Ma se non vuoi...

- No, no, accetto - rispose Baldwin con un sorriso imbarazzato.

- Molto bene.

La celebrazione del Giorno del Silenzio costituiva la ricorrenza più importante dell'anno. In quella circostanza la Casa del Padre non accoglieva i soliti devoti, magari giunti dai paesi limitrofi a bordo di vecchi carri da lavoro.

Presenziavano invece rappresentanze dei più alti gradi della Fratellanza, giunte da ogni luogo a significare l'incondizionata sottomissione di tutto l'Ordine al Padre. Mancava solo il Pontifex, che per tradizione non assisteva.

Il palco ottagonale ospitava, sotto al baldacchino purpureo, il Custode, il Solemnis ed il Vicarius, organo esecutivo del Pontifex. Vestivano i tradizionali paramenti.

Dietro al terzetto si ergeva il Sarcofago, illuminato dal basso da luci sottilmente inquietanti, significative. Il Custode attese che l'uditorio facesse silenzio, poi iniziò.

- Siamo qui per celebrare il Giorno della Morte del Padre - esordì con voce limpida.

- Sia lode al Padre - risposero tutti gli altri, in coro.

- Elisschvartsiusei ci tramandò tutto il Suo sapere, e ci impose di conservarlo, di arricchirlo e di diffonderlo secondo i Suoi precetti.

- Questa è invero la volontà del Padre.

- Leggiamo adesso un brano tratto dal Libro degli Eventi, parte quarta: "Meditazioni di Elisschvartsiusei". Ascoltate la Sua Parola.

Si accostò ad un rotolo di fogli posato su un leggio, aperto in un punto preciso. - Ancora adesso, a distanza di tanto tempo dalla mia venuta, provo piacere nell'ammirare questi orizzonti. Li giudico adatti ad ospitare la vita così come io la disporrò. Questo è il paradiso che preparo a coloro che verranno, affinchè ne godano, consapevoli che la mia mano guiderà sempre il loro cammino. Anche in futuro, infatti, quando ogni cosa si sarà compiuta, la mia assidua presenza regolerà il corso degli eventi per tutti gli uomini di ogni luogo e di ogni tempo, che io potrò, ad uno ad uno teneramente amandoli, chiamare "Figli Miei".

- Sia lode al Padre per le sue parole.

- In questo brano il Padre compie un atto di volontà inteso a travalicare la Sua morte fisica, rassicurandoci sul fatto che pure dopo quell'evento Egli sarà sempre con noi, e sorreggerà lo spirito delle cose. Ogni giorno possiamo attestare la Sua immanenza, nelle azioni che la Fratellanza tutta compie per Sua iniziativa, amministrando il governo di questo mondo, la giustizia, diffondendo i precetti che Elisschvartsiusei pose a fondamento della nostra civiltà, fissandoli nel Libro degli Eventi Sovrannaturali.

- Sempre Elisschvartsiusei ci accompagnerà nel nostro cammino...

- Sia lode...

- Amen...

- Amen.

L'altra tappa obbligata consisteva nel pranzo offerto dal Custode ai più alti dignitari della Fratellanza. Fra un boccone e l'altro s'intromettevano dispute più o meno dotte su questioni di attualità, confronti sulla politica che la Fratellanza avrebbe dovuto tenere in questo o quel Regno, aneddoti sul Pontifex. - Proprio stamane è stata condannata un'altra donna - disse ad un certo punto il Prefetto nel bel mezzo di un animato discorso che verteva su un argomento estremamente delicato e dibattuto. - Ha osato sfidare un uomo con lo sguardo, nientemeno che su di una pubblica piazza durante l'esposizione dei mercanti.

- La frequenza di questi fatti dovrebbe meritare una decisa e unitaria presa di posizione da parte della Fratellanza - sentenziò il Vicarius. - Ho già avuto modo io stesso di accennarne al Pontifex.

- Come si è dichiarato? - domandò un console, curioso.

- Naturalmente condanna senza remore simili atteggiamenti, che offendono la devozione al Padre. D'altra parte si attiene a comprensibili cautele: il dare rilevanza all'atteggiamento di una donna, anche al fine di punirla, dice, è cosa altrettanto ripugnante. L'uomo è l'essenza del Padre, il suo naturale vessillifero: sia lungi dal prestare attenzione ad una razza che ha il solo compito di metterlo alla prova, di tentarlo con mille inganni, di fargli dimenticare i naturali ammaestramenti. La donna serve solo onde permettere all'uomo di riprodursi.

- Ma il Padre non l'ha mai condannata così apertamente, tanto che un tempo fra uomo e donna esisteva pari dignità - replicò il Console. - Che ne dite, Custode?

Il Vicarius sgranò gli occhi, indignato. Piduid, che aveva ascoltato in silenzio sino a quel momento, alzò il capo. - Se la donna ha sbagliato, è giusto che venga punita - disse con espressione tesa.

Il Vicarius era furente per le parole del Console. Fece per dire qualcosa, ma un Nunzio lo anticipò.

- La posizione del Pontifex è molto interessante - affermò, cercando di sdrammatizzare la situazione, prima che il Console proferisse un'eresia.

- E forse prenderà corpo molto presto, in un documento ufficiale - commentò il Vicarius, lo sguardo ancora freddo. - Come vedete il Pontifex non è insensibile a questi problemi.

- Lui deciderà per il meglio.

- Certo. Il Padre lo ispira.

I dignitari avrebbero trascorso la notte alla Rocca, prima di tornare ai rispettivi luoghi di provenienza. Tutto era stato predisposto per ospitarli adeguatamente, assieme ai loro seguiti. Prima di abbandonare la Casa, quasi tutti avevano reso omaggio al Corpo, racchiuso nel Sarcofago. Erano rimasti compiaciuti nell'ammirare l'antica scultura collocata sopra di esso, che rappresentava il Padre serenamente adagiato nel sonno eterno, in grandezza naturale: un'opera liberata dal marmo con rara maestria, realizzata dal grande Arastavos su ordine del Quinto Pontifex. Le pieghe della tunica, che formavano grazie alla luce diffusa bizzarri chiaroscuri, sembravano vere, morbide. Le membra erano delineate con suprema grazia, la grande armonia che pervadeva l'insieme suggeriva un senso di profonda serenità. Un ritratto perfetto.

Peccato che l'arte del grande Maestro non avesse potuto infondersi nella rappresentazione del volto del Padre. Da molto tempo, infatti, era invalso il precetto di nasconderlo con un velo, nelle pitture come nelle sculture o nei mosaici. L'iconografia del Padre si ripeteva in maniera ossessiva, ma nel rispetto di quella norma. Era stato un Pontifex a volerlo, quando appena le caratteristiche negative di quella società iniziavano a prendere corpo, quando la carica del Custode non esisteva ancora, ed il ricordo del Padre e della sua opera era vivo, palpitante. Gli affreschi della Casa, preesistenti all'editto, recavano i segni di una successiva, frettolosa correzione: il volto era stato cancellato con una macchia di colore in ogni rappresentazione.

Adesso nessuno ricordava più i motivi di quel gesto. Faceva ormai parte dell'inviolabile tradizione.

"...Sono qui da tre mesi; eppure non riesco ancora ad abituarmi alla bellezza feroce ed aliena di questi paesaggi: vallate enormi, laghi dalle acque purissime, incontaminate; due soli, che di notte cedono lentamente il posto ad uno zodiaco affascinante - una stella in particolare: è turchese, e sprigiona dei riflessi che mi fanno rabbrividire. Sembra la Terra prima dell'Uomo, non il pianeta in agonia che ho lasciato. Quasi mi dispiace gravare questo posto della nostra presenza. Ogni traccia che lasciamo sul terreno mi suona come una bestemmia, una forzatura, un insulto all'ordine delle cose. E pensare che siamo solo all'inizio..."

Ancora la notte. Il custode era rimasto solo, nella Casa. Funzionari, collaboratori, dignitari e semplici convenuti se ne erano andati. I pensieri, quei pensieri, avevano iniziato a turbinargli dentro; riusciva più o meno a controllarli per tutto il resto dell'anno, ma il Giorno del Silenzio risvegliava quelle suggestioni, che crescevano, si ingigantivano sino a divenire insopportabili. Era terribile. Riandò con la mente ai suoi predecessori. Anche loro ne erano stati vittime? E come erano soliti reagire?

Si rivide davanti la figura minuta del taciturno Ghalad: quell'ombra malinconica sul suo viso era eloquente, sì. E tu, Elgar Keyne, che fosti trovato suicida in un freddo giorno di pioggia, proprio qui, accanto al Sarcofago? E tu, Ilberd Woyne, famoso per le tue autoflagellazioni, il cilicio, e tutto il resto? E tu, Has Noim, e tu...

"...Ieri ho avvicinato uno strano animaletto, poco lontano dalla nostra base: lungo quanto un mio braccio, affusolato, il muso ricordava vagamente quello delle antiche foche terrestri; era provvisto di due appendici molto simile ad ali. Ma non è volato via, mentre lo osservavo: è rimasto lì, a studiarmi con quei suoi due occhi perfettamente rotondi. Ho provato a dargli da mangiare, ma non ha gradito il nostro cibo. Però mi ha toccato la mano, in segno di riconoscenza. Oggi proverò a tornare laggiù, ad avvicinarlo ancora..."

"...Qui molte cose parlano il linguaggio dell'amore. C'è una pianta, l'abbiamo battezzata "la grande chioccia", che dispone naturalmente le foglie in modo da ospitare alcuni piccolissimi volatili. Loro, in cambio, la liberano dai parassiti, con il loro becco robusto. E' un meccanismo che esisteva pure sulla Terra, dove spesso generava delle vere e proprie simbiosi. E' suggestivo osservare come certi schemi si ripetano con sconcertante fedeltà in luoghi tanto lontani. Anche qui, inoltre, il fascino dell'alba, del tramonto e della pioggia sembra fatto per incantare, benchè non vi sia nessuno capace di restarne scosso, oltre a noi..."

Adesso quelle sensazioni erano soverchianti. Il Custode provò l'impulso di abbandonare la Casa, ma non vi riuscì; lottò con se stesso, sino a quando non fu travolto da un mare di dolcezza, di passione, di amore, e dovette lasciarsi andare, impotente: tutto, lì attorno, parlava del Padre.

Si tolse dal collo la grossa chiave che portava sempre con sè, l'unico modo per accedere al Segreto del Padre. La infilò in una toppa sita nella parete di fondo, confusa tra mille decorazioni; si avvicinò al Sarcofago e premette due pulsanti occultati nelle incisioni laterali della lastra marmorea superiore.

Avvertì uno scatto; una parte del basamento ottagonale si sollevò, emergendogli accanto. Piduid vi fece scorrere sopra il coperchio scultoreo, che scivolò su guide invisibili. Un meccanismo antico, perfetto, realizzato quando ancora la tecnologia del Padre non era del tutto perduta. Dall'interno balzò fuori una luminosità arcana, fatta di riflessi cangianti. Albin Piduid si sforzò di non guardare il Corpo, mentre afferrava qualcosa che era deposto su una lastra di cristallo trasparente che lo copriva. Si trattava di un oggetto caratteristico, di fattura inequivocabilmente aliena: tanti fogli sottilissimi, tutti uguali, fissati ad un'estremità e protetti da una robusta copertura blu. Il Custode socchiuse gli occhi, in preda alle vertigini. La parte più intensa del "Libro del Padre", la fonte da cui oscuri contraffattori avevano ricavato il "Libro degli Eventi" era nelle sue mani, vergato nell'antica, perduta, lingua terrestre: presto neppure i suoi successori sarebbero stati in grado di comprenderla. Forse era meglio così. Un conto era vedere il Padre e curarne il Corpo, un conto era sbirciare nella sua intimità, ripercorrere i pensieri che lo avevano allietato, intimorito, entusiasmato. Spettatori non desiderati.

Aprì piano quell'oggetto: i fogli presero a separarsi con riluttanza. Li scorse delicatamente, osservando la grafia tornita che li riempiva:

"15 gennaio. Sono qui da tre mesi; eppure..."

Avanti.

"18 febbraio. Ho parlato con Dupont. Dice che per il momento è meglio darci un indirizzo autonomo, come se la colonia terrestre non dovesse mai sbarcare. Il pensiero di una simile eventualità m'intristisce, mi fa toccare con mano il senso della solitudine. Qui siamo in meno di duecento, sparsi un po' dappertutto, mentre sulla Terra eravamo abituati a stare sempre a contatto di gomito con qualcuno. Certo, questa situazione ha pure dei lati positivi..."

Non c'era nulla di soprannaturale, in quella parole: solo l'aspro, amaro contrasto scaturente fra la vera personalità del Padre come emergeva da quei documenti e l'immagine codificata dalla tradizione, che alimentava molti aspetti della civiltà di Galvern. Un pungolo, che ti prendeva per mano e ti urlava: "Eccomi, sono qui. Sono così e così. Nient'altro." Nessuna onnipotenza, nessun ordine precostituito. Semmai tenerezza e amore, quanti non ne aveva mai ricevuti.

"15 marzo. E' quasi il mio compleanno. Sulla Terra in questo momento manca molto meno, perchè i giorni sono più corti, e scorrono via veloci. Non dovrei neppure usare la nomenclatura terrestre, perchè qui, oltretutto, l'anno non è di 365 giorni. Ma è un modo come un altro per sentirmi ancora parte di quel sistema, ora che abbiamo ricevuto la notizia: pare che nessuna colonia terrestre giungerà mai qui. L'espansione avverrà su altri mondi, più vicini, ricchi di metalli, maggiormente simili al nostro vecchio pianeta. Ci hanno comunque ordinato di non abbandonare questo luogo, casomai cambiassero idea. E' un compito strano, questo: preparare la strada a gente che non verrà..."

"30, IV Arco. Sono l'unica persona esperta, qui, di problemi legati alla civilizzazione delle colonie staccatesi dalla Terra. Tocca a me disporre le basi della rudimentale civiltà che ci apprestiamo a costruire. E' un compito gravoso e impegnativo. Certi problemi ancora non si avvertono, ma in futuro potrebbe verificarsi un regresso culturale e tecnologico. Qui non abbiamo per il momento i mezzi per far progredire la scienza: tutt'al più possiamo mantenerla ad un livello accettabile..."

Albin Piduid era totalmente immerso in quella lettura. Il suo cuore era gonfio di disperazione. La presenza di Elisschvartsiusei era talmente intensa da farlo vacillare. E con essa...

"7, VI Arco. Mio malgrado sto diventando una specie di leader, in questa comunità. E' una posizione gratificante, anche se la cederei volentieri. Non mi è congeniale. Io vivo bene solo in una dimensione anonima..."

"23, VI Arco. Sul mio futuro pesa una grave ombra. In questi giorni il Consiglio affronterà la questione. Ho già espresso senza riserve il mio pensiero: voglio vivere! ma tremo ugualmente al pensiero di ciò che potranno decidere..."

Solo un accenno. Poi monologhi superficiali, quasi a voler allontanare quei tristi presagi. Infine l'epilogo. Il Custode lo lesse un'ennesima volta, mentre un nodo d'amarezza gli riempiva la gola.

"3, VII Arco. Era in parte logico. Hanno detto che per il momento sanno cavarsela da soli, possono dirigere la collettività anche senza di me. Però il mio compito non è finito, anzi. Tra cento o duecento anni potrebbe esservi un declino, una sorta di analfabetismo di ritorno tale da sprofondarci nella barbarie totale. E' già successo, in altre colonie. Il Consiglio ha deciso per la mia ibernazione. Tra settant'anni mi riporteranno in vita, ed io provvederò a rimettere la civiltà di allora sui giusti binari, se vi saranno delle devianze. Dicono che avrò pieni poteri. Ma che cosa me ne importa? Io voglio vivere! Adesso! Non chiudermi in un baccello freddo, una bara, sino a quando non si ricorderanno che esisto. Dio, è terribile! E' disumano! Di tutto ciò che conosco, al mio risveglio rimarranno solo i miei diari, con gli appunti di lavoro. Le persone care, i volti noti, saranno stati macerati dal tempo. E che cosa sarò, poi, per gli uomini di allora? Un relitto del passato, una curiosità? Che cosa potrò fare per loro?..."

"Che cosa potrò fare per loro?" Piduid non sfogliò le altre pagine. Sapeva che quella era l'ultima scritta. Rabbrividì. "Oh, Elisschvartsiusei, quanto ti abbiamo tradito. Tu volevi vivere. E noi ti abbiamo reso immortale, è vero, ma solo nel ricordo. Nessuno ti ha più riportato alla vita." Scrollò le spalle.

"Il tuo ritorno farebbe cadere i cardini di questa cultura, cancellerebbe tradizioni e credenze, assetti di potere. Ed è bene che nessuno conosca queste cose, oltre a me ed a quelli che prenderanno il mio posto. Tutti devono pensare che ogni cosa risponde alle tue previsioni." Il Custode si avvicinò al Sarcofago. Questa volta parlò ad alta voce. - No, tu non sei una semplice curiosità per noi - fissò il Corpo, e provò qualcosa d'ineffabile. - Non lo sei per me, non lo sei soprattutto per me - appoggiò le mani sulla teca trasparente - ed è questo il mio tormento più vivo, più lacerante -. Osservò con un'espressione indefinibile quel volto dolcissimo, la pelle vellutata, i capelli d'oro ancora disposti a boccoli, le braccia e le mani, d'una grazia indescrivibile nonostante gli aghi sottili che le trafiggevano, il ventre sodo... La piastrina era ancora ben leggibile: "Alice Schwartz, U.S.A.", ma il Custode non la lesse. Pensava solo all'amore che nutriva da sempre per lei, alla pena infinita che provava sapendola imprigionata in quel modo, mentre un suo gesto sarebbe bastato a riportarla alla vita: e non poteva farlo. Il mondo non poteva più riceverla, ora che il maschilismo era un dato di fatto, ora che l'immagine del Padre era stata così mistificata, e sotto quella veste costituiva l'unico elemento di coesione della società... Non riusciva a staccarsi da lei, dal suo fascino alieno, dalla tenerezza che gl'ispirava...

Ripensò ancora ai suoi predecessori: dovevano avere sofferto, sì, ma gli parve un nulla, rispetto al suo flagello interiore. E chissà se Baldwin... La osservò ancora, più intensamente. Lei sembrava chiamarlo, ora urlando da dietro la dolce compostezza del viso, ora aprendo impercettibilmente il fiore delle labbra per sussurrargli qualcosa... Perchè non provare a risvegliarla? Chissà, forse avrebbe capito, si sarebbe adattata. Poteva persino tacere al resto del mondo quel suo atto. Nessuno era in grado di verificare. Avrebbe detto al suo successore che il segreto del Padre consisteva nella mancanza del Corpo, e che il Sarcofago in realtà era vuoto... E poi l'avrebbe vista nascere una seconda volta, avrebbe parlato con lei, assaporando la dolcezza, la grazia, la forza interiore di quell'essere mirabile e perfetto. Io ti posso liberare, posso...

Ondeggiò. Scosse la testa, rabbiosamente, per spezzare il filo di quegli infidi pensieri. Non doveva tradire il proprio compito. Tutti gli altri predecessori vi avevano adempiuto.

Lasciò cadere il diario sul cristallo, assieme ad altri due oggetti eguali.

Richiuse il tutto. - Arrivederci - mormorò con tutta la delicatezza che gli fu possibile, mentre quelle fattezze sparivano sotto il greve sudario di marmo che scorreva su guide silenziose. Uscì.

Le stelle lo incantarono. Il baluginare di Sher lo ferì, impietoso, parlandogli ancora di lei. Non volle prestargli attenzione, e iniziò a muoversi. Laggiù, a valle, i dignitari riposavano, serenamente.

Albin si muoveva sicuro sul selciato. Il cuore era gonfio di solitudine.

"Alice..." No. Cercò di allontanare quei pensieri. Era il momento più brutto, quello, il più intenso, ed ogni volta si sentiva un novizio inerme, posto dinanzi ad un oscuro e terribile segreto, aggredito da quell'invincibile sentimento che si faceva strada in lui, prostrandolo. "Alice..." Si lasciò la Casa alle spalle, facendosi largo nel buio. Non si voltò indietro.

Sapeva che quello era il suo destino, ed era immutabile. E sapeva che l'aria pungente della notte gli avrebbe rinfrescato le idee, facendo regredire quel turbinare di sentimenti alla consueta, inesprimibile sofferenza, che il tempo non gli avrebbe mai portato via.