Il 12 ottobre scorso è morta Ludmila Freiová, classe 1926, un personaggio cardine per la fantascienza nella Repubblica Ceca (e prima in Cecoslovacchia) e molto nota anche in Italia. Grazie alla sua attività di selezionatrice e traduttrice infatti molti racconti italiani sono stati tradotti in ceco e altre lingue dell'est Europeo.
I racconti selezionati uscivano principalmente sulla rivista Ikarie, ma nel 1999 aveva curato anche un'antologia tutta dedicata alla fantascienza italiana, Doporučeno Velkým bratrem. Insegnante per tutta la vita, di ceco, italiano e filosofia, la Freiová ha ricevuto anche diversi importanti riconoscimenti per la sua attività culturale, sia all'interno del mondo della fantascienza che fuori (come il Premio del Ministero della Pubblica Istruzione). Lei stessa ha scritto diversi romanzi e numerosi racconti.
Di seguito la ricordano Donato Altomare e Vittorio Catani.
Ricordo di Donato Altomare
Attenta, discreta al limite della timidezza, Ludmila Freiová ha lasciato un segno incancellabile nella mia "vita" di autore di fantascienza. Nel 1989 il mondo si stava preparando alla caduta del muro di Berlino ed io ero a Praga per sottoscrivere un contratto per un romanzo, con una casa editrice ceca, che Ludmila aveva tradotto.
― Viene chiamata la città della cento torri, ma ne ha oltre settecento. ― Raccontava mentre mi portava in giro per la Capitale mostrandomi orgogliosamente le sue bellezze. L’italianista e scrittrice si prodigava in spiegazioni e aneddoti. Una mattina passammo accanto a un palazzaccio e lei esclamò: ― Lì c’è la prigione. ― Poi, con ostentato orgoglio: ― Io sono stata arrestata, lo sai? ― Lì per lì mi chiesi come si potesse mettere in carcere una persona così gentile e dolce qual era la Freiová, ma oggi mi rendo conto che ogni regime usa la cosiddetta ‘giustizia’ anche soltanto per manifestare il suo potere. Ora capisco davvero a fondo il suo orgoglio.
Ludmila è il classico esempio delle persone grandi che non lasciano traccia, come quegli eroi che fanno gesti straordinari, ma dei quali nessuno verrà mai a conoscenza. Bravissima traduttrice, lo hanno sperimentato molti scrittori italiani, bravissima scrittrice poco tradotta in Italia, Ludmila Freiová non deve morire una seconda volta. Io farò di tutto perché il suo ricordo non sbiadisca col tempo.
Ricordo di Vittorio Catani
Nata nel 1926, stimatissima traduttrice e insegnante di ceco e di italiano, Ludmila Freiová è stata anche uno dei nomi massimi della fantascienza della Repubblica Ceca (fino al 1993 Cecoslovacchia). Il mio incontro con lei avvenne per caso, nella seconda metà degli anni ’80: la lettura di un mio racconto l’aveva interessata e in una lettera me ne faceva un commento. Prendemmo a scambiarci lettere e racconti.
Pochi anni dopo decisi di realizzare un vecchio sogno: andare a Praga, città la cui bellezza conoscevo solo attraverso certe mie preferenze musicali, quali le composizioni degli ottocenteschi Antonín Dvořak e Betřich Smetana. Decisi di andare a visitarla (Ludmila, ma anche Praga). Mi riferisco sia all’una sia all’altra, perché nella mia memoria sono rimaste un tutt’uno: giunto nella capitale, la mia lunghissima camminata pomeridiana lungo la riva del fiume Moldava per andare a casa di Ludmila, in un panorama amplissimo, ricco di verde, e con una buona temperatura. Edifici monumentali, castelli, ponti famosi. Quattro soldi in tasca – giusto per il necessario – e senza conoscere una parola di ceco, ma soprattutto il piacere di incontrare una persona che già avevo intuito eccezionale: il tutto comunicava un senso di libertà, ottimismo, un entusiasmo come non mi accadeva da decenni.
Ludmila si rivelò subito molto ospitale. Persona generosa, colta e di acuta intelligenza. Volle farmi da cicerone in alcune zone di valore storico e artistico della capitale, e ridendo e scherzando m’insegnava anche alcune frasi più d’uso, che assimilai abbastanza bene (ma che ho del tutto dimenticato). Mi fece vedere la sua biblioteca, i libri che aveva scritto lei e di altri autori cechi importanti, mi parlò dei suoi progetti. Dalle sue parole intuii subito che nella repubblica ceca la fantascienza non era affatto considerata una letteratura banale o secondaria. In effetti ero nella patria di un “padre” della science fiction: Karel Čapek (1890-1938), importante drammaturgo, giornalista e scrittore che aveva creato nel lontano 1920 il dramma fantascientifico in tre atti R.U.R., in cui appariva la parola "robota" ("lavoro forzato"). Da qui nacque il termine "robot". Opera satirica su esseri umani artificiali più o meno simili ai "replicanti", ma nati schiavi, R.U.R. ebbe ai suoi tempi una vasta risonanza anche fuori della Cecoslovacchia. Non fu l’unico lavoro fantascientifico di Čapek.
Il resto di quei giorni lo impiegai in passeggiate e, quando Ludmila era disponibile, a parlare di fantascienza e di Praga.
Tornai in questa città altre volte.
La successiva ebbe un’importanza particolare, anche se non ritrovavo il verde e i pittoreschi tramonti sulla Moldava: era dicembre, con 10 gradi sotto zero, in aggiunta la mia valigia – come a volte accade – al cambio di aereo era rimasta in qualche deposito. Dovetti riacquistare buona parte del vestiario. Ludmila mi aveva suggerito quel viaggio per poi andare a Brno, in Moravia, dove in quei giorni si sarebbe svolta la VII Dracon (il drago è il simbolo della città Brno), manifestazione annuale e importante "sorella" della Parcon, che era la convention nazionale ceca di sf. Il viaggio in treno Praga-Brno durò quasi una giornata, durante la quale parlammo un po’ di tutto e lei mi narrò alcuni episodi della sua vita. Mi disse che il suo cognome, Freiová, era in ceco il femminile di "frei", che in tedesco vuol dire "libero". Frei era il cognome che il padre si era inventato per darsi un’aria d’origine germanica, quando la famiglia era fuggita da un altro stato per motivi politici.
Ludmila poi sorrideva ogni volta che pronunciavo la consonante "ř" e per semplificare mi suggerì di dire "rj" (con "j" francese). Su un giornale, in treno, vidi la parola "krk", e le chiesi se in ceco ci fossero altre parole composte da sole consonanti. Mi disse che ce n’erano moltissime, perfino di otto: "čtvrthrst" ("quartina", un antico sistema di misurazione).
La neve ci impedì di visitare Brno, che mi dicevano fosse di media grandezza e città da vedere. Tentammo una visita allo Spielberg, il grandissimo carcere famoso per aver tenuto alla catena un eroe del nostro Risorgimento, Silvio Pellico, ma non si poté entrare, per lavori in corso.
L’albergo in cui si svolgeva la manifestazione era fuori città, in aperta campagna, in mezzo a 20 centimetri di neve. Contrariamente a come accade da noi, relazioni e discorsi della convention non furono molti, e ancora contrariamente a come accade da noi, sempre ascoltati da quasi la totalità dei partecipanti (circa 150). Il tutto svolto in un’atmosfera di solidarietà e di concretezza, nonostante i toni spesso scherzosi (Ludmila mi stava accanto e traduceva riassumendo). Le discussioni erano su temi noti anche a noi: se la sf dovesse essere letteratura impegnata o popolare; dovesse divertire o esprimere valori più profondi, occuparsi di politica o meno. Uno spazio di una mezz’ora circa fu occupato da una intervista della platea al sottoscritto, organizzata da Ludmila. Tra le varie domande, alcune mi misero un po’ in imbarazzo: come mai in Italia, paese marittimo, non si scrivono storie sf in cui abbia a che farci il mare. Oppure: perché in Cecoslovacchia (15 milioni di abitanti) un buon libro sf vende 20.000 copie, tante quante ne vende la vostra "Urania"? Questa seconda domanda tirava inevitabilmente in ballo la nostra pluridecennale e vergognosa questione della letteratura di serie B. Alla prima invece (fantascienza e mare) risposi – pescando freneticamente nella memoria ― citando un Urania dei primordi, ignoto ai più: L'Atlantide svelata di Emilio Walesko (autore che a ben vedere neanche era di origine italiana); inoltre ricordai un racconto di Donato Altomare letto non molto tempo prima, L’isola scolpita (il titolo faceva almeno riferimento a qualcosa di marittimo). In verità questa strana carenza resta ancora irrisolta, e sarebbe ora di pensarci; io ci ho provato.
La terza volta che vidi Praga fu di passaggio, nel 2007. Era un viaggio di gruppo, e ora mi pento amaramente di non aver saputo trovare il tempo per incontrarla.
Ludmila ha fatto non poco per far conoscere la sf italiana in Cecoslovacchia, pubblicando numerosi racconti di nostri autori su riviste ceche, in particolare sul periodico Ikarie ("Icaro"), che ospitava nomi di fama mondiale (Asimov, etc.) e autori locali. Certo è che dall’insieme, si deduceva che la sf italiana – alcuni dei nomi più importanti – fosse conosciuta dai lettori cechi, mentre noi non sapevamo assolutamente nulla di loro.
Personalmente, m’interessai per far pubblicare racconti e anche saggistica di Ludmila in Italia, e dopo aver bussato a più d’una porta si aprirono quella di Futuro Europa (Malaguti) e dell’editrice Solfanelli. Il materiale necessitava d’una sia pur leggera revisione, e un paio di volte me ne occupai io.
Oltre che su Ikarie, Ludmila riuscì nel 1999 a curare e pubblicare in una antologia 15 racconti di 14 autori italiani: Doporučeno Velkým bratrem, ovvero “Le letture del Grande Fratello”. Partecipavano tra altri: Anna Rinonapoli, Lino Aldani, Miriam Poloniato, Pierfrancesco Prosperi, Renato Pestriniero, Silvano Barbesti, Daniela Piegai, Riccardo Leveghi, Donato Altomare, il sottoscritto.
Quanto alla fantascienza scritta da Ludmila Freiova: un numero non altissimo di titoli (romanzi e racconti, dei quali tre per ragazzi), una scrittura limpida, scorrevole, sempre interessante. Storie che si svolgono in un futuro spesso simile al nostro presente; temi anche avventurosi ( per esempio la ricerca nel cosmo di altre forme di vita) e con risvolti etici, talora filosofici, sociali (la "diversità"), perfino esistenziali (com'è per il racconto Un caso scolastico), politici: nel 1986 l’intera tiratura d’un romanzo, Odkud přišl Silvester Stin ("Da dove è venuto Silvester Stin") fu ritirata e mandata al macero perché criticava il comunismo (nel 1990 l’opera fu riedita sotto altro titolo). Il tutto, si potrebbe dire, sullo sfondo di tematiche quali la solitudine, la libertà.
L'ultima sua lettera pervenutami è datata 2006.
Più volte provai a telefonare: mi rispondeva qualcuno in ceco, anche se dicevo qualche parola in inglese. In quell'ultima sua lettera mi parlava di star male e molto lucidamente mi descriveva i sintomi: pensai subito a un Alzheimer, o comunque a lesioni gravi.
Una lettera che successivamente inviai non ebbe risposta.
Ufficialmente nessuno, adesso, ci ha dato notizie dettagliate al riguardo ("grave malattia").
Ci manchi. Addio e ancora grazie di tutto, Ludmila.
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