Il tema della guerra vista come azione insensata e la perdita della centralità dell’uomo rispetto all’automazione, vengono raccontate in Machines, un fumetto apparso sul n. 8 della rivista Trumpet, poi riproposto in Italia da Linus nel 1969. Lo scenario devastato di una quarta guerra mondiale ci viene illustrato attraverso il monologo di un ufficiale umano, rifugiato nel sottosuolo mentre all’esterno infuria una guerra tra eserciti robotici di macchine senzienti (ma non sensate). Uno spunto che ritroveremo spesso nel fumetto o nel cinema in personaggi come il Nekator SupeFly di Scòzzari, oppure nel ciclo di Terminator dove in varianti diverse si riparlerà del conflitto tra l’uomo e le sue proiezioni.La controcultura psichedelica improntata sulla liberazione sessuale e l’espansione della coscienza, troverà in questi incubi il lato selvaggio del sogno, contaminandosi di premonizioni belliche, visioni, satira e atmosfere fantasy apocalittiche.
È il momento che vede entrare in scena sulla fanzine Shangri L'Affairs la serie Cobalt 60. Ancora una volta troviamo un mondo post-catastrofico, abitato da popolazioni di mutanti, alieni e strane creature in cui si muove lo sniper mascherato Cobalt 60 in lotta contro i suoi nemici Radio-men dentro un contesto crudo e realistico. Questo fumetto, proseguito dal figlio Mark Bodè su testi di Larry Todd nel 1992, ha anche significativamente influenzato il film d’animazione Wizards, diretto dall’amico Ralph Bakshi, oltre a codificare degli stereotipi ripresi negli anni dal mondo dei comics, dalla rivista Heavy Metal in poi.
Muovendoci a volo d’uccello sulla breve ma copiosa produzione di Vaughn Bodé, è giusto concludere con il suo ciclo forse più struggente, pubblicato da Cavalier dal 1969 al 1975 e ambientato in una dimensione fantastica lontana nel tempo, su un pezzo di erta montagna rocciosa di un milione d’anni fa, Deadbone.
Tra le sue vette battute dal vento, erotismo e morte s’intrecciano in danze senza fine, in cui gli omini-lucertola vivono grottesche avventure dai risvolti filosofici, esistenziali, spesso caustici, in un contesto dove spazio e tempo vengono costantemente frullati in un pout-pourri coloratissimo e pop.
Motivi ricorrenti in questi panels dominati dal colore e dal linguaggio sbrigliato sono il misticismo, l’eversione della violenza, la forza dirompente del sesso come veicolo di conoscenza e liberazione. Un mondo possibile, una fiaba crudele raccontata da un cantore capellone che attraversa i generi e infrange i tabù con un candore che stempera nel sorriso qualunque brutalità.
D’altra parte, come recita l’incipit di “Naked communication” nell’edizione italiana del 1983: “Deadbone Erotica è il panico inquietante di millenni dimenticati. Una follia di migliaia di anni muffiti che striscia furtiva lungo il midollo spinale della mia mente”.
Dannatamente preciso.
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