Nei primi anni Settanta incominciai a prendere familiarità con la platea. Unitamente ad altri amici (il Gruppo Barese della Fantascienza) incominciammo a tentare una diffusione della fantascienza, che man mano aprimmo a più media: la nascente “radio privata” (come era definita all’epoca quella non statale), circoli o club letterari, scuole, pubblicazioni di nostri libri di saggistica (con un linguaggio possibilmente non da “iniziati”), di una antologia di fantascienza per le scuole con racconti esclusivamente italiani, piccoli spettacoli teatrali, bancarelle di libri usati, audiocassette con nostri sceneggiati di fantascienza, infine anche un “corto” cinematografico. E proprio il contatto con il pubblico spesso faceva emergere simpatie ma anche antipatie e ripetitivi, talora offensivi, luoghi comuni. Una domanda che veniva fatta a noi relatori era immancabilmente: “Lei crede nei dischi volanti?” Faticoso far capire che anzitutto in questo caso non si “crede”. Esiste l’ufologia, e neanche questa è una religione, ma una disciplina che studia l’esistenza o meno degli ufo, mentre la fantascienza è tutt’altro: una branca della narrativa, della letteratura. Per cui la fantascienza può occuparsi “anche” ma solo “fantasiosamente” degli ufo.Altra domanda spesso indirizzata a noi relatori: “Oltre a scrivere fantascienza, lei scrive anche narrativa normale?” Solitamente rispondo di sì, e che sicuramente la narrativa “anormale” non mi interessa.
Nella platea degli incontri sulla fantascienza si incontrava (e si incontra tuttora) una varietà di ascoltatori anche un tantino bislacchi. Ricordo bene un’anziana signora, tutto sommato simpatica, che veniva puntualmente ad ascoltarci, quale che fosse l’argomento specifico dell’evento. Parlando con lei, una volta mi disse d’essere molto interessata all’audiocassetta di sceneggiati confezionata dal nostro gruppo e voleva sapere se contenesse anche le voci degli “ufi”. Rimasi perplesso, però poi mi spiegò: per “ufi” la signora intendeva le “voci dei defunti”. Nulla di strano: trascorso il periodo in cui tutti avvistavano gli ufo, (anni Cinquanta) giunse negli anni Settanta il periodo in cui tutti ascoltavano, in alcune loro registrazioni su nastro, presunte voci dei morti. Quasi una moda. Dopo la mia risposta negativa, la signora degli “ufi” non si vide mai più.
A proposito di ascoltatori particolari: una volta invece presentavo un libro di fantascienza. Nel pubblico non vedevo facce note, doveva essere gente venuta lì per semplice curiosità. Cominciai a parlare spiegando un po’ di cosa avrei trattato, poi chiesi ai presenti se qualcuno volesse dirmi cosa fosse, a suo parere, la fantascienza. Una signora alzò la mano. La invitai a parlare. Risposta: “Ah! Per me la fantascienza è quei programmi tv rompi timpani che mio figlio si ostina a guardare”. Mi venne di chiederle perché fosse venuta, ma non lo dissi: non me ne fregava un cavolo. Altra volta, presentavo all’Università di Bari un mio libro, una raccolta di racconti, ciascuno su un tema ecologico. Eravamo verso la fine dell’incontro, si era già detto del più e del meno. Una giovane (non so se docente, studentessa o altro) chiede la parola per dire: “La fantascienza non mi convince. Non è vera letteratura, perché è una narrativa ancillare”. Ancillare: questa, in verità, non l’avevo mai ascoltata. Mi limitai a far notare che allora sarebbe “ancillare” anche il romanzo storico, perché dipendente dalla Storia, quello psicologico dalla psicologia, quello allegorico perché eccetera eccetera, aggiungendo che benché la Letteratura, anche quella con la L maiuscola, abbia un suo immenso campo d’azione, dovrei dire che la fantascienza – altro che ancillare – ha un campo molto più vasto, perché ha per scenario non solo ciò che può accadere, ma anche ciò che sarebbe potuto accadere, che forse accadrà, e che magari accade in infiniti universi.
In certe situazioni è meglio forse voltare le spalle e andarsene. È anche questa una risposta. Ero in una importante e storica libreria barese, e vidi che c’era lì un caro amico scrittore, molto noto a Bari e in Puglia, discepolo – a suo tempo – di Alberto Moravia: Giorgio Saponaro. Ci salutammo, poi lui mi chiese: “Conosci quella signora?” Guardai, la conoscevo solo di vista, e lo dissi a Giorgio. “Non conosci la Direttrice della libreria? Vieni”. Gentilmente mi presentò dicendo: “Questo è Vittorio Catani, scrittore di fantascienza”. Risposta secca della signora: “Ah, ma a me la fantascienza non interessa.” Seguì un silenzio imbarazzante. Salutai Giorgio, voltai le spalle e me ne andai. Non semplice commessa di provincia, si badi, ma Direttrice dalla libreria che per prima aveva pubblicato in Italia le opere (tutte) di Benedetto Croce.
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