- Ce la siamo spassata tutti, non dico di no: c’ero anch’io su quegli hovercraft, non è una punizione; si tratta di un controllo -, spiegò il colletto bianco.- Cercano l’aeroscafo -, scandì il parcheggiatore, - 10.22.79.BS: dal ruolino mi risulta uscito con... Maalouf: dico bene, Bandele? Hai preso le chiavi alle 20.25, le hai riposte in bacheca alle 3.57. -Gli operai schiamazzarono contro Ayubu che ma va là, non dicesse stronzate; che il counter doveva essere guasto: Bandele quella sera era in aula ricreazione, con loro, a seguire all’oloschermo la finale di Salto in Orbita.
- È uscito dopo il salto con Talib e con me -, Gebre insistette, lo chiamò a testimone.
Lui si guardò attorno nella sala: fra le teste chine ai tavoli, sulle tazze di caffè, riconobbe le perline e le rasta di Kantigi. Il ragazzo alzò gli occhi, li incrociò con lo zio.
Talib gli passò di fianco, gli mollò uno scappellotto, si fermò braccia conserte accanto a Bandele:
- Diglielo. -
- Ho preso la chiave -, l’amico confessò, - e l’ho data a mio nipote perché uscisse con la ragazza. -
La folla dei colleghi gli mugghio tutt’attorno, tradita:
- Lo conosci il regolamento, Maalouf! -, abbaiò il parcheggiatore, - al personale di settimo livello non è permesso portare gli hovercraft! E se si fossero rotti il collo?! E ieri notte, accidenti, con quel casino! -
Menefer scese giù dallo sgabello, raggiunse Kantigi all’altro capo della mensa; quasi senza guardarla schioccò le dita a Samia:
- Seguitemi -, ordinò, - qualcuno vi cerca -; lasciarono la mensa in un teso silenzio.
Talib si sporse sulla rampa delle scale, li vide scendere al pianterreno e uscire nel cortile. Ritornò nel salone: si accostò con tutti gli altri operai alle vetrate polarizzate che si affacciavano su quel lato.
Un elicottero dallo scafo bianco-verde, con il logo Teva Pharmaceutical, era fermo nel cortile polveroso fra gli ettari abbacinanti di pannelli fotovoltaici, nel perimetro protettivo oscurato che garantiva la vista dai riverberi insopportabili. Il pilota sonnecchiava in cabina, steso sul sedile con i piedi sulla cloche; all’esile striscia d’ombra delle pale dell’elica, a terra, attendevano un anziano e due giovani in zuccotto, sciarpa e finanziera, con le barbe ricciolute pettinate fino al ventre.
- Agenti di sicurezza, vigilanza privata? -, Bandele inghiottì, - quelli, di solito, non vanno per il sottile. -
- Guardali -, rise forte Talib, - ti sembrano pericolosi? Il vecchio sta in piedi a malapena; gli altri… due rachitici. -
I tre salutarono Kantigi e Samia con una stretta di mano fiacca e riluttante. Lui si accorse dell’istinto schifato, da parte dell’anziano, a strofinarsi il palmo aperto sulle falde della giacca:
- Stronzo -, sputò; tornò a sorridergli di perfida simpatia quando intese, leggendogli le labbra, che congedava Menefer come il qualunque galoppino che era.
Dall’alto dell’aula mensa, e dietro lo spessore dei doppi vetri, Talib non riusciva a sentire granché: ma la maschera scornata del responsabile del personale, e il suo girare i tacchi senza accenno di replica, bastò a fargli temere degli argomenti del vecchio.
Gli estranei, con gentile fermezza, costrinsero i ragazzi contro l’acciaio dell’elicottero. Dai modi concitati dei tre, dall’imbarazzo di Samia e lo spavento del fidanzato, Talib indovinò come gli stessero interrogando; forse addirittura minacciando. E sapeva anche per certo che sua sorella, dopo, non gli avrebbe raccontato nulla dello scambio con quei dubbi individui:
- Voglio raccapezzarci qualcosa -, grugnì; e sbloccò la serratura di emergenza che spalancava quella parte di vetriata.
Il raggio accecante dell’oceano di specchi penetrò nella fessura, la sala divenne bianca. Il trillo del campanello di allarme, la luce ottundente, rovesciarono i suoi compagni sulle tavole e sul pavimento.
Lui, nauseato e stordito, si sporse ad occhi chiusi dalla finestra coprendosi il volto con entrambe le mani: lo stesso lo abbagliò la luce pura, gli scoppiarono le tempie, un conato di vomito gli salì dallo stomaco. Carpì i frammenti sparsi della conversazione in cortile:
- …e insomma siamo intesi -, il vecchio sibilò, - dopotutto, nessuno vi crederebbe. E noi, ragazzi, continueremo a tenervi d’occhio… -
Talib sentì il tossito del motore dell’elicottero, parole in ebraico e lo schiocco dell’elica. Soffocato dalla sabbia e la luce si accasciò sul davanzale.
Svenne.
Aprì gli occhi sul lucernaio dell’infermeria socchiuso ad arieggiare su un tramonto purpureo. Samia, con il capo fasciato da uno scialle di pashmina, gli accarezzava la fronte e gli teneva la mano. Steso su una brandina, bagnato di sudore freddo, Talib si alzò sui gomiti, crollo sulla spalliera:
- Quanto tempo ho dormito? -
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