Il Capitan America di Joe Johnston prima (Capitan America: il primo Vendicatore) e di Joss Whedon poi (The Avengers) deve molto a quanto scritto da Millar e Brubaker ma rimane un personaggio ancora in mezzo al suo percorso narrativo di maturazione, non completamente formato, al quale è necessario un ultimo tocco per vederlo sbocciare nella sua interezza. Un ultimo tocco che dovrebbe palesarsi nella seconda avventura a solo di Steve Rogers, The Winter Soldier. Diretto dai talentuosi Anthony e Joe Russo

e tratto da una delle più avvincenti miniserie nate dalla penna proprio di Ed Brubaker, il Soldato d'Inverno si sviluppa da ottime premesse che non dovrebbero essere difficili da sfruttare per realizzare un buon film senza sforzi eccessivi. Innanzi tutto, seguendo la falsariga dei fumetti di Brubaker, Steve Rogers non opera da solo ma viene circondato da comprimari, come la Vedova Nera e Falcon, non solo in grado di reggere la scena in modo indipendente ma di completare e sottolineare i punti di forza del protagonista. Proprio la solitudine ed il senso di distacco dalla realtà moderna di Rogers, se ben sfruttati, saranno in grado di offrire le occasioni per creare un'alchimia fra i protagonisti, molto distanti ma per certi aspetti molto simili fra loro, ben diversa e decisamente più intima di quella vista nei Vendicatori, capace di sviluppare più pathos senza negarsi alcuni momenti comici nel più classico stile cinematografico Marvel. Un Chris Evans più maturo e sicuro di sè, senza mostri sacri come Robert Downey Jr o Mark Ruffalo con cui dividere la scena, può solo giovare, se ben sfruttato, al concretizzarsi di una figura nata per incarnare una leggenda vivente. Infine proprio il Soldato d'Inverno, interpretato da Sebastian Stan, già Bucky nel primo film, dovrebbe diventare l'elemento di volta di una possibile ottima architettura narrativa. Un sottile filo rosso, sia nel fumetto come si potrebbe supporre nel film, in grado non solo di ricollegare Capitan America alla sua creazione negli anni Quaranta ma di rievocare, attualizzandole, le cupe atmosfere da Guerra Fredda ben vive nella memoria di tutti. Se la trama del fumetto fornirà ai Russo brothers anche solo qualche buono spunto ci troveremo di fronte ad una realtà sfaccettata, multiforme, capace di evocare spettri nella mente dei protagonisti tanto da inibire, almeno in un primo momento, la loro capacità di discernere nemici ed alleati. Sullo sfondo di uno S.H.I.E.L.D. altrettanto ambiguo si dipanerà una storia che ha tutte le possibilità per tenere lo spettatore col fiato sospeso dall'inizio alla fine. Apparizioni come quella di Robert Redford, in arte Anthony Pierce membro del Consiglio di Sicurezza Mondiale, e come quella di Samuel L. Jackson, ancora una volta nei panni del Direttore dello S.H.I.E.L.D. Nick Fury, non dovrebbero turbare troppo la struttura dell'opera, rimanendo se non dei cameo almeno così ben intessute nella narrazione da non sbilanciarla eccessivamente.  Nato dalla penna di Joe Simon e Jack Kirby proprio agli inizi degli anni '40, Capitan America si configurerà subito come un eroe di guerra, concepito dagli autori, assieme alla spalla Bucky, come risposta statunitense agli ideali nazisti all'epoca dilaganti. Così legato alle fortuna della Seconda Guerra Mondiale da rischiare la scomparsa una volta chiusosi il conflitto, il personaggio riuscirà a sopravvivere a fasi alterne fino quasi alla metà degli anni Cinquanta momento in cui venne chiusa la sua prima testata. Ripreso poi da Jack Kirby e Stan Lee alla metà degli anni Sessanta e riportato a nuova vita, Capitan America rimarrà fino ai giorni nostri un simbolo ed un'icona del fumetto americano militando sia nella sua testata che su quella dei Vendicatori, di cui sarà spesso guida e compasso morale. Nato e risorto recentemente per opera di Brubaker, Capitan America rimane una figura difficile dalle ottime potenzialità che la carriera cinematografica potrebbe esaltare quanto affossare per sempre.