Tutto incominciò con quell’evento improbabile, l’arrivo dei Doubsides, termine che in italiano fu tradotto Anbolati. Si obiettò che la grafia esatta dovesse essere “ambolati”, ma forse un errore tipografico in un grande titolo su un importante quotidiano diede l’imprinting, e il nome assurdo rimase. In effetti “essi” erano fatti in modo d’avere due lati (avanti e dietro) quasi identici, uno bianco e uno nero. Erano bassi, geometrici, superintelligenti e superprogrediti tecnologicamente. L’incoscio collettivo umano scopriva in quella dozzina di esseri inverosimili, nel loro vascello interplanetario sghembo, zeppo di pali e spuntoni e tutt’altro che aerodinamico, la realizzazione di una fantasia millenaria da sempre ritenuta irrealizzabile.
Eppure, si dice, essi giunsero a noi, circondati da gran riserbo per motivi di sicurezza. La stampa ne diffuse rare immagini; pochissimi ebbero la ventura di vederli, toccarli, “parlare” con queste creature. Una loro macchinetta, che irradiava nelle menti umane, dicono riuscisse a trasmettere, più che la lingua i concetti, permettendo una sufficiente comunicazione. Gli Anbolati, spiegarono giornali tv e Internet, dichiaravano di essere giunti a noi “per servirci”.
Non erano di carne e ossa, pure avevano una loro misteriosa biologia: ipotesi plausibile, perché solo una creatura biologica può “soffrire”. E gli Anbolati offrivano agli umani la loro “sofferenza”. Soffrire per gli altri, per noi – dichiararono – era il loro obiettivo più elevato. Sperimentalmente (è stato detto) furono “testati”, sottoponendoli a lavori pesanti, ad autentici “maltrattamenti”. Pare si giungesse a “torture” (secondo il concetto umano). Tali atti, al limite della sopportazione fisica (tre dei dodici, si mormorò poi, morirono), venivano accolti dagli Anbolati con riconoscenza, anzi con gioia. Ma un giorno i nove superstiti salirono sul loro vascello e sparirono per sempre.
Trascorse del tempo: restavano pochissime foto, alcuni brevissimi e contestati filmati, testimonianze verbali, ma l’episodio degli Anbolati sembrava più un sogno o un’allucinazione collettiva.
Qualche anno fa un’azienda chimica, la Bioextra, immise sul mercato, senza clamore, il prodotto ora notissimo che induce negli umani lo stesso comportamento che – si dice – fu dei mitici Anbolati… ammesso che siano davvero esistiti. Il prodotto, lo sapete, si chiama “Lutelix”, un nome che pare abbia radici nelle parole “dolore” e “felice”. Oggi il Lutelix ha amplissima diffusione, e trasforma il dolore in straripante gioia. È permesso, per legge, usarlo nei cibi delle mense aziendali; negli ospedali come rimedio per malati terminali con sofferenze non sopportabili; lo adottano psicologi nei casi di depressione acuta; innamorati gravemente delusi; famiglie che hanno perso in modo straziante un loro caro; e poi un esercito di disadattati, maniaci, incapaci, homeless, detenuti, down, disoccupati, balordi, o semplici curiosi.
Forse mai nessuna scoperta sta cambiando come questa l’intera umanità. Gioia e dolore ci hanno condizionati da sempre, e la nostra società - scopriamo ora - era basata su un equilibrio di questi due pilastri, ora stravolti. Verifichiamo che il dolore era forse “necessario”. Il Lutelix è stato carpito alla biologia degli Anbolati, o questi furono solo un volgare trucco pubblicitario?
La Bioextra oggi è la multinazionale più potente del mondo.
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