La mano di PQ-9 sfiorò la superficie della capsula, la sostanza gelatinosa la ricoprì, prima una serie di gocce che poi si unirono in un unico velo. La pellicola si diradò, liberando la parte centrale della capsula. L'anta si spalancò, silenziosa ma rapida. — Un'ultima precisazione. — PQ-9 si fece serio. — Il segnale di morte cerebrale del primario, ai registri Dalila Moretti, è arrivato dodici ore fa. Ce ne vogliono altrettante per completare il ciclo con la morte indotta del corrispondente. ;;Fra undici ore verrò a prendere entrambi i corpi. PQ-9 lo osservò, intenso. Amos sentì il disagio affiorare sulla pelle. — ;;Credi sia il clone che stai cercando? — domandò PQ-9, invitandolo a controllare.

L’anima evaporò dal corpo di Amos, lasciandolo inerme e vuoto. — Dio mio! — riuscì a esclamare.

2

La metropoli si stagliava sul mare, fredda e abbacinante. La città nuovissima emergeva dalle acque dell’Adriatico in strutture cristalline dove le cellule abitative si arrampicavano a grappoli seguendo una spirale logaritmica. Le vecchie province erano un unico complesso museale, in memoria di un declino cavalcato dalla propaganda. La via Emilia era un'arteria inaridita, priva di sangue. Non c’era più posto sulla terra. Gli Appennini, le aspre colline e le pianure nebbiose erano il passato, l’acqua il futuro prospero.

La marea trascinava l’idea dei primi chiarori del sole, spingendo la notte in luoghi lontani.

Gli occhi cenere di Iris scivolavano sulla finestra di grafene che tagliavano l’involucro dell’abitazione in tutta la sua lunghezza. Le pupille indugiavano sulle aree da ingrandire. Tutto avveniva senza ripensamenti, ripetizioni meccaniche diventate quasi involontarie come il respiro. Lo strato che la separava dal mondo esterno era, ora, una distesa di riquadri sparpagliati come vecchie istantanee su un tavolo. Mostravano particolari di strade con i bagliori algidi della mica; radici di platani che emergevano dall’asfalto frantumato come zolle aride; particolari di cornicioni e camini; abitazioni di mattoni macchiati dalle efflorescenze saline; intonaci deformati da bolle di umidità; un cancello semi aperto e, sotto la tettoia, una fila di pulsanti con nomi dispersi, uno in particolare, talmente ravvicinato da poterlo suonare.

— Non mi interessa.

— È troppo pericoloso.

— La soglia l’abbiamo già varcata.

— Ma quello che chiedi potrebbe compromettere il piano. E non possiamo permettercelo.

— Abbiamo ancora qualche ora prima di riconsegnarlo al passatore topologico 1. — Iris controllò la voce, ingoiando l’accenno di tremore. — E sai che non andrà via solo col clone.

Amos scosse la testa. — Non credo che ti aiuterà vederlo. Il colpo è stato tremendo per me e non oso immaginare come potresti reagire. È fondamentale rimanere concentrati e distaccati il più possibile.

— Distaccati? — Un moto di rabbia le proruppe dalla gola. — Ho la possibilità di rivederla, di riabbracciarla ancora per l’ultima volta. La seconda ultima volta.

— Iris, non è lei. Stai affogando in un’illusione.

Si girò di scatto, le labbra fremevano. — Non è questo quello che mi hai detto prima.

— Ho descritto solo le mie emozioni.

— Quando l’hai visto hai pensato che fosse lei. Anzi, ne eri sicuro.

— Non è lei! — Amos la prese per le spalle, scuotendola. — Dalila è alla camera di transizione, dentro la capsula. Morta — concluse con un filo voce.

Digrignò i denti alla ricerca di una compostezza che le stava scivolando via. Costringersi a esser forte non le alleviava la sofferenza. Il timore era che il freddo distacco potesse in qualche modo cancellare il ricordo. Non voleva che gli attimi condivisi si disperdessero come il calore dal corpo di Dalila. Rimuginò sul volto algido ed emaciato, le labbra violacee rotte da un principio di screpolatura. Sì, avrebbe potuto amarla anche così.

Allentò la morsa della mandibola. — Parlami del Cubo.

— Che cosa vuoi sapere? — La domanda di Amos uscì dura.

Iris intercettò l’insofferenza di Amos. — Qualsiasi cosa. L’hai tenuto ai margini del resoconto. Credo che tu non l’abbia neanche nominato.

Amos abbassò il capo, sembrava stesse cercando un anello in un pozza di fango. — È difficile spiegare...

— È fondamentale per la missione, ogni piccolo particolare può essere prezioso.

— Non so se voglio dirlo. Non tanto a te, ma a me stesso. La sensazione che ho provato è terrificante, potrei morire se riprovassi quel freddo dubbio.

— Sentinelle, sistemi di sorveglianza?

— Non ho visto nulla di simile e non so cosa ho attraversato durante la mia morte apparente. — Amos cercò il suo sguardo. — È quel turbamento che non riesco a decifrare. L’impressione di essere in mezzo a una folla tutta rivolta verso di te.