Parto con un'importante premessa.
Non ho letto l'omonimo romanzo (vincitore dei premi Hugo e Nebula) di Orson Scott Card di cui Ender's Game è l'adattamento, quindi non sarà questa la sede per confronti o elenchi di inesattezze e tagli rispetto il suo ispiratore cartaceo. Ciò che so, è che nel libro (sostanzialmente, un romanzo di formazione) la vicenda si articola nell'arco di sei anni: nel primo capitolo, Ender ha sei anni, alla fine ne ha dodici.
La prima riorganizzazione operata da Gavin Hood è stata temporale, comprimendo tutto quanto c'era da raccontare in un solo anno. La seconda è stata concentrarsi sulla storia di Ender e su come arriva a essere un leader, scegliendo di lasciare le innumerevoli sottotrame e il gran contorno di personaggi sullo sfondo.
Sfortunatamente, l'operazione è meno banale di quanto non si possa pensare, e, a film visto, posso dire che è riuscita solo a metà.
La produzione ha messo tutto nelle mani di Hood, che ha sì il suo bell'Oscar sulla mensola sopra il camino, ma ottenuto, a mio avviso, con un film modestissimo (Il suo nome è Tsotsi) e trasudante retorica dall'inizio alla fine, però di quella che agli americani piace tanto e sempre.
Lo stesso Hood che poi si è prodotto in Rendition, film di denuncia sociale facile facile diretto con l'avallo di Amnesty International, e Wolverine, di cui tutti cercano di far finta di non ricordarsi neanche.
E in Ender's Game fa del suo meglio, sceglie il bravo Asa Butterfield per la parte di Ender Wiggin (pensando di risolvere metà delle problematiche legate a un'opera tutto sommato ambiziosa, considerati gli standard attuali di Hollywood, ma riuscendoci solo in parte), lo affianca a due grossi nomi come quelli di Harrison Ford (che, per quanto gli si possa volere bene mostra tutti gli anni che ha) e Ben Kingsley (il cui apporto in fase di sceneggiatura dev'essere stato pesantemente tagliato, perché, a ben vedere, è perfettamente eliminabile dall'equazione), aggiunge un concept design notevole ma discontinuo (le navette aliene non reggono assolutamente il confronto con le stazioni spaziali terrestri), strizza più volte l'occhio alla dimensione videoludica (finendo col citare, però, il Final Fantasy cinematografico), indugia parecchio sulla formazione militare di Ender (e questa è la parte migliore di tutto il film) e arriva al finale col fiato corto, con un terzo atto frettoloso e inficiato da due controfinali poco interessanti e parecchio telefonati.
Ora, confronti col romanzo a parte, c'è da dire che nel mezzo ci sono anche un paio di cose ben riuscite (la rivalità con Bonzo, graziata dalla scelta per il ruolo di Moises Arias), alternate però a momenti che ammazzano letteralmente il ritmo (tipo, quando Ender torna sulla Terra) che neanche la presenza di Ford (che, va detto pure questo, recita col pilota automatico dall'inizio alla fine) riesce a rendere tollerabili.
Per il resto, effetti speciali convincenti (ma, se ti rivolgi a gente come Digital Domain non ci si aspetta niente di meno), una fotografia generalmente ispirata e un Steve Jablonsky alle musiche che riesce a servire degnamente la pellicola fanno in modo che Hood il film se lo porti a casa con maggiore dignità di quanto ci si potesse aspettare.
Nel complesso, al film assegnerei un 8 (per la prima parte), un 7 (la porzione centrale) e un 5 (il terzo atto).
Insomma, un sette meno meno e filare.
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