Nei personaggi di carta e celluloide, se escludiamo i Galli di Armorica, la desinenza in “X” denota figure dalla doppia vita o dal carattere incline al delitto. Lo confermano il serial Judex, diretto da Feuillade nel 1916, ed eroi mascherati come Fantax di Mouchott & Navarro, o Bombax l’aviateur-mystere di Fred & Hubuc e ancora il ciclo radiofonico Signé Furax di Dac & Blanche, approdato al cinema con la regia di Simenon figlio.
Piuttosto simile è la sorte di Ténèbrax, il villain di Jacques Lob & George Pichard prodotto per il settimanale Chouchou nel 1964. La sua parabola editoriale, per quanto breve, in sole tre storie lo vede protagonista nelle vesti molteplici di parodia di genere, di ponte fra fumetto francese e italiano e persino in quelle di profetico anticipatore di scenari politici.
Il personaggio si presenta con un esordio caricaturale, grazie all’ironia dei testi di Lob e i disegni del primo Pichard, dal tratto ancora vignettistico e lontano dallo stile opulento della sua futura produzione erotica. Le vicende del super-criminale appaiono grottesche, come la serie Submerman creata dallo stesso duo nel 1967 per la rivista Pilote, sbeffeggiando in particolare il cliché dello scienziato pazzo alla conquista del mondo, con molti rimandi alla letteratura popolare da cui gli autori attingono modelli narrativi, da Verne al feuilleton, a James Bond, alle storie noir di Allain & Souvestre.
Nel primo episodio assistiamo all’invasione del Metro parigino da parte di giganteschi topi antropomorfi, un esercito formato da umani travestiti e veri ratti mutanti, che producono e diffondono una droga esilarante, l’Ilarina. A intuirne la minaccia e indagare sul caso, saranno il flemmatico giallista Edgar Dunor e il suo assistente Doum, che nel loro ruolo e nel contrasto dei caratteri ricordano la coppia Juve/Fandor antagonista di Fantômas. Lo scetticismo della polizia non aiuta i due investigatori, permettendo che siano catturati e trascinati nel cuore di Ténébropolis. Laggiù Dunor e Doum incontreranno il re dei ratti, l’emaciato e nazistoide Ténèbrax, che domina la rete con telecamere e dispositivi elettronici, accompagnandosi con le note di un organo a canne – in anticipo sul dottor Phibes di Vincent Price.
La fuga dei due protagonisti si realizzerà grazie al “fantasma del metro”, un lampista ex dipendente della metropolitana che pattuglia le gallerie in uniforme di inizio secolo, in una versione più benevola dell’Erik di Gaston Leroux. Ma è solo l’inizio, il rapimento di massa di macchinisti, operai e passeggeri allerta le autorità, l’unico padrone del mondo sotterraneo è Ténèbrax.
Con la seconda puntata, il ciclo mostra cambiare registro a cominciare dal titolo: La guerra contro Ténébrax. Pur mantenendo il consueto tono scherzoso, l’atmosfera incupisce in uno scontro feroce tra eserciti rivali - flic vs. topi, mentre il segno di Pichard acquista maggior realismo, arricchendo le sue tavole di richiami grafici liberty che torneranno in altri lavori (in particolare Blanche Èpiphanie del 1967). Ai battibecchi con l’ottuso commissario Bougon, si accompagnano altri stereotipi che citano il romanzo popolare. Il villain e la figlia Principessa rimandano al minatore Silfax e la figlia Nell de Le indie nere di Verne, e ancora la coppia Doum-Principessa ricorda l’amore contrastato tra Fandor e la figlia di Fantômas, Hélène. Dopo molti inseguimenti sottoterra, incidenti, prigionie sospese in gabbie tra Piranesi e De Sade, i coraggiosi amici con l’aiuto del solito “fantasma” hanno ragione del piano di Ténèbrax. Questa volta alla sua potenza e ai suoi strumenti tecnologici opporranno una nemesi naturale: l’acqua. Con la dinamite e una piena della Senna spazzeranno via dalle gallerie gli invasori, al modesto prezzo di una secca del letto fluviale.
In tutto 46 tavole (di cui 26 a colori nell’edizione originale) condite di gag, colpi di scena ed esagerazioni, mirate a prendere le distanze dal racconto in una farsa riuscita.
Ma è possibile scivolare in superficie quando si gioca col simbolo delle profondità per eccellenza?
Il roditore grigio, infatti, è una delle figure più forti nella rappresentazione delle nostre paure nascoste, portato in letteratura a trasformarsi da semplice “topo” a “topos” dell’immaginario.
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