Il capo ornato dai poderosi palchi calò come una mannaia, uno degli spuntoni ossei affondò nel corpo di Martha appena sotto l’ultima costola conficcandosi nel legno della scala.Ancora una ferita, ancora dolore che sfociò in una rabbia cieca. Martha piegò il ginocchio sinistro incastrando la gamba che ormai aveva recuperato la piena funzionalità, tra lei e la testa d’alce. Spinse con tutta la forza possibile finché non sentì spezzarsi l’osso che la imprigionava, assestò un calcio a quello che restava del trofeo facendolo schizzare verso il monolite nero che aveva ripreso una nuova inesorabile marcia verso di lei. Anziché rimbalzare contro la superficie metallica, davanti allo sguardo incredulo di Martha, la testa d’alce andò a saldarsi sulla parte superiore della caldaia; il ramo di corna spezzato si rigenerò in pochi secondi, alla base del monolito comparvero arti inferiori che ricordavano quelli di un felino.
L’orribile cosa saliva le scale piegando il legno il suo immane peso, nell’aspetto ricordava quello di un drago.
E come un drago scaricò una seconda pioggia di fuoco addosso alla ragazza che indietreggiò ancora, le fiamme investirono in pieno il braccio destro devastandolo di ustioni. Martha ormai le ferite non le contava più, l’unico obiettivo era uscire viva.
La ragazza aveva ormai raggiunto la cima della scala e il “drago” stava completando la sua trasformazione: zampe anteriori da felino avevano fatto la loro comparsa ai lati del tronco che aveva perso la conformazione tozza e squadrata della caldaia, facendosi più affusolato e tornito, ancorché attraversato da un reticolo di tubi, rubinetti e manometri.
Il mostro saliva un gradino dopo l’altro con passi lenti e inesorabili.
La feritoia che si apriva all’altezza del “ventre” mostrando la fiamma del bruciatore e il nero bituminoso della superficie, lo facevamo sembrare un’emanazione dell’Inferno stesso. Martha si trovò con le spalle contro la porta della sua stanza. Al di là del legno pareva tutto tranquillo; pur non avendo dimenticato “la battaglia” con il suo iPod di alcuni minuti prima, non le restava scelta: aprì la porta, entrò e la richiuse con doppia mandata.
- Non servirà a nulla – si disse, ma almeno avrebbe avuto l’attimo di respiro necessario a raccogliere le idee.
Si lasciò cadere sul letto. Più ci pensava e più tutto diventava assurdo, non riusciva a trovare un collegamento logico in quello che le stava succedendo. Sentiva che la spiegazione era davanti a lei ma le mancava la lucidità sufficiente per afferrarla.
Posò lo sguardo sulla medicazione, si era allentata di molto e durante lo scontro l’aveva intralciata nei movimenti, la rimosse e... la ferita era scomparsa, come non fosse mai esistita! Incredula passò la mano dove c’era il taglio: più nulla, la pelle però era fredda, insensibile, come fosse di plastica o metallo o... entrambe. Anche le ustioni sulle braccia si stavano già riassorbendo.
Ancora un altro enigma, che sarebbe rimasto tale: appena oltre la porta il rumore di passi cessò e questo poteva voler dire solo una cosa: il mostro era arrivato.
La porta tremò una prima volta, Martha indietreggiò verso la finestra, l’unica via di uscita rimasta.
La porta tremò una seconda volta, la ragazza mosse un altro passo indietro, nel farlo calpestò l’iPod rimasto a terra nello scontro del pomeriggio, il piccolo lettore cominciò a vibrare sotto il piede. Paralizzata dal terrore Martha non si mosse e accadde l’imprevedibile: un fiotto di calore attraversò il piede e accompagnato da un bagliore rossastro il lettore in pochi secondi venne assorbito nell’arto.
Martha Simmons non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto dell’accaduto, perché nell’istante successivo un’onda di fuoco sfondò la porta della stanza. L’essere che si trovò di fronte sembrava uscito da un bestiario medievale: il corpo nero e lucido da felino, la testa d’alce e gli occhi da gatto.
La mente sembrò svuotarsi, come un mantra solo una frase si ripeteva ossessiva nei suoi pensieri: l’unico obbiettivo è uscirne viva.
Salì sul bordo della finestra aperta e si lanciò nel buio.
Ricadde in piedi dopo un volo di tre metri, le caviglie cedettero con un rumore poco incoraggiante e rotolò sul prato. Percorse, trascinandosi con i gomiti, i circa cinquanta metri di giardino che la separavano dalla parte posteriore del capanno degli attrezzi. Era davvero sfinita e doveva trovare una via d’uscita. Presto quella “cosa” l’avrebbe trovata e lei sarebbe stata alla sua mercé.
Non poteva accettarlo.
Si guardò attorno ma non vide nulla, i suoi erano troppo ordinati per lasciare attrezzi sparsi in giro per il giardino. Forse però, aveva ancora un po’ di tempo. Sempre sui gomiti girò attorno al capanno fino al davanti. Da lontano sentiva il frastuono dei passi della cosa che ridiscendeva le scale, quella maledetta sembrava sapesse sempre con esattezza dove lei si trovasse.
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