- Sììì!!! – gridò Martha stingendo il pugno in segno di vittoria. Ora avrebbe avuto più tempo per ragionare su quell’assurda situazione.Sganciò il tubo dal muro e l’aspiratore si arrestò.Doveva tornare in laboratorio e verificare la faccenda del contenitore. Mentre scendeva il primo gradino una tremenda consapevolezza le attraversò la mente.

- La porta! L’ho chiusa poco fa! – anche se... Sì, suo padre una volta le aveva lasciato la combinazione per i casi di emergenza: anno di nascita della madre, mese del padre e giorno suo. Perfetto, aveva due sesti della sequenza di apertura: purtroppo però non ricordava la data di nascita di genitori, l’aspetto positivo era che non c’erano mai state emergenze.

Immersa in quelle considerazioni, si ritrovò davanti alla porta del laboratorio senza che avesse recuperato dalla propria memoria le parti mancanti della combinazione. Poco male, sarebbero servite a nulla, trovò la porta del laboratorio accostata.

Il laboratorio era già illuminato, ma solo perché l’accensione delle lampade entrava in funzione allo sblocco della serratura robotizzata. Lentamente Martha scostò la porta fino ad aprirla del tutto, il contenitore sul tavolo era di nuovo aperto e questa volta non c’era traccia di quella che, alla luce degli eventi, forse non era semplice sabbia. Accanto al contenitore, seduto sulle zampe posteriori, stava Odino. Lo guardò per alcuni secondi. Cosa c’era che non andava? Il pelo era sempre il solito: lo stesso nero. O forse no, forse era un po’ più nero, più lucente e... un dettaglio, qualcosa nello sguardo, negli occhi.

- Occhi?

Odino saltò, come un lampo di tenebra colpì Martha in pieno stomaco, facendo rotolare la ragazza sul pavimento. Nello slancio il gatto passò oltre Martha ricadendo alle sue palle. Martha si girò pancia a terra ritrovandosi faccia a faccia con il felino che soffiando le mostrava i canini.

Sì, aveva tutti e due gli occhi, eppure era Odino. Con un altro balzo l’animale puntò, ad artigli sguainati, verso il volto della ragazza, che però rotolò su di un fianco, mandando a vuoto l’assalto. Nel ricadere a terra, le unghie di Odino le sfiorarono appena il polpaccio sinistro aprendo un profondo taglio nella carne.

Il gatto si stava preparando ad aggredire una seconda volta, ma la ragazza lo colpì con il piede scaraventandolo di nuovo dentro il laboratorio. Ignorando lo spasimo all’arto ferito, in un unico movimento balzò in piedi e richiuse la porta. La serratura scattò di nuovo.

- Per quello che servirà – commentò Martha fra sé.

Colpi sempre più violenti venivano inferti dall’interno del laboratorio. Se non avesse visto con i propri occhi la traccia degli artigli deformare la porta, non avrebbe mai creduto possibile che dall’altra parte ci fosse il suo piccolo gatto.

Il dolore dello squarcio al polpaccio era diventato insopportabile, doveva medicarsi. Trascinando la gamba grondante di sangue, salì di nuovo le scale, raggiunse il bagno e aprì l’armadietto dei medicinali.

Le mani tremavano, fece cadere a terra alcuni flaconi che intralciavano la ricerca, ma alla fine trovò garza e disinfettante. Stringendo i denti rovesciò il Betadine sulla ferita aperta, appoggiò sul taglio alcuni tamponi di garza. Una nuova fitta di dolore alla mano la costrinse a interrompere la medicazione Questa volta fu sicura di vedere il bagliore rosso baluginare anche sulla nuova ferita.

Un rumore possente fece tremare i muri della casa. Le scosse di terremoto erano tra le “attrazioni” della zona, ma questa era, tutto sommato, troppo debole.

Martha srotolò in fretta altra garza e l’avvolse attorno al polpaccio, fissando così i tamponi che aveva messo in precedenza. Tra le cose a terra recuperò un rotolo di tessuto adesivo. Il frastuono, come qualcosa di enorme che venisse trascinata, risalì ancora una volta dal seminterrato.

Con il tessuto adesivo fissò la garza e si rimise in piedi, il dolore era molto inferiore a quello che si aspettava.

Uscì dal bagno, nel frattempo il pesante strisciare si avvicinava sempre di più: non osò guardare lungo le scale. Era necessario riuscire a contattare suo padre. Zoppicò fino alla sala, il cellulare era là, sul tavolo di cristallo. Scendere il basso gradino che divideva la stanza dal corridoio, in quelle condizioni le parve una sfida impossibile, affrontò il dislivello con cautela, tenendo gli occhi fissi sulla gamba ferita assicurandosi di appoggiarla correttamente: tutto bene, il dolore sembrava quasi scomparso.

Forse non era così grave come sembrava. Rialzò lo sguardo e quel lieve accenno di ottimismo venne spazzato via da qualcosa che la sua mente considerava davvero impossibile da accettare.

Washington

- Prego, dottor Simmons, sieda pure.

La voce proveniva dal lato opposto del lungo tavolo ovale, che stava al centro di quella sala nel cuore del Pentagono.