Silenzio.- Dai non prendertela con tuo padre, l’ultima frase l’ho aggiunta io.- Non me la prendo, mi chiedevo solo come mai, se ci sono cose così “poco sicure”, non usi un sistema “più sicuro” per la chiusura della serratura.

- Oh, lo sai com’è tuo padre. Ha sempre la testa altrove, e poi si sa: è il calzolaio che...

- Ok, ok! - non sopportava quando la madre attaccava con i modi di dire – digli di stare tranquillo.

- Va bene Martha, ci sentiamo appena arriviamo in aeroporto, ma corri a sistemare questa cosa, adesso!

- Vado subito! A dopo. – chiuse la comunicazione

- Vado subito, – ripeté tra sé – però prima...

Aprì di nuovo il frigorifero e allungò la mano verso la maionese.

Dal seminterrato un improvviso tonfo sordo la fece trasalire. Il vasetto della maionese le scivolò dalle mani frantumandosi in centinaia di schegge di vetro sul pavimento.

- Ma dann... – ingoiò l’imprecazione che quasi inevitabile le affiorò sulle labbra. In fondo era Natale.

Doveva scendere a vedere, così alla fine avrebbe chiuso quella stupida porta.

Posò l’iPod sul tavolo e uscì dalla cucina. Le scale che scendevano al piano inferiore si trovavano appena oltre, sulla destra.

Martha premette l’interruttore in cima alla rampa: lampade che avrebbero dovuto illuminare le scale non si accesero, si udì invece lo scatto dell’interruttore generale che entrava in protezione. Quelle giornate in piena solitudine se le era immaginate fatte di studio e relax, ma l’inizio non era certo incoraggiante. Recuperò la torcia elettrica dall’armadio nel corridoio e si diresse risoluta al piano inferiore.

Il quadro elettrico si trovava proprio a metà del corridoio che congiungeva laboratorio e garage, parallelamente a quello del piano superiore.

Con la torcia Martha si assicurò che il cammino fosse libero da ostacoli, incrociando il fascio di luce qualcosa brillò in direzione del laboratorio: un punto giallo, quasi luminescente, galleggiava ad alcuni centimetri dal pavimento, restò fermo per alcuni istanti poi si spostò verso destra e scomparve. Attorno Martha non udiva altro suono che quello del proprio respiro sempre più serrato. Illuminando il percorso davanti a sé, si mosse con cautela verso l’ultima posizione del punto giallo, diresse la luce dove l’oggetto si era spostato: rieccolo apparire! Ora però si muoveva quasi radente al suolo.

Martha si avvicinò ancora, senza mai lasciarlo fuori dalla portata della torcia, d’improvviso ci fu un altro tonfo e il punto giallo si librò in aria con un sibilo, puntando con decisione verso di lei, un istante dopo un dolore lancinante le attraversò la guancia. Mentre, sbilanciata, cadeva a terra qualcosa di rapido e morbido le calpestò la pancia.

- Odino! Accidenti a te!

Odino era il gatto randagio che viveva con loro da quando Martha lo aveva letteralmente strappato dalle zanne del cane dei vicini. Il giorno in cui lo portò in casa non avrebbe scommesso un centesimo sulla sua sopravvivenza alla notte successiva, ma le cure del veterinario ebbero un effetto miracoloso e il piccolo felino ce la fece. Nulla impedì però che perdesse l’occhio destro restando di fatto guercio, proprio come l’antico padre degli dei scandinavi. Forse a causa del trauma subito Odino non miagolava, riuscendo solo, quando capitava, a emettere buffi sibili che lo facevano sembrare un serpente inferocito.

La ragazza si rimise in piedi, si pulì la guancia con il dorso della mano: una quantità davvero scarsa di sangue le inumidì la pelle, il graffio inferto dal gatto spaventato non era poi così profondo.

Si riportò verso il centro del corridoio, individuò il quadro elettrico, armò l’interruttore e la calda luce delle lampade alogene illuminò le pareti.

Lungo il corridoio tutto sembrava in ordine, l’unica cosa fuori posto era la porta del laboratorio semi spalancata. All’interno, sul pavimento, un grosso cilindro di metallo lucente, senza dubbio la causa dei tonfi che l’avevano attirata là sotto.

In mezzo alla stanza stava un tavolo d’acciaio circondato da pareti tappezzate di strumenti, monitor e bagliori che viravano dal blu al verde. Sulla superfice satinata del tavolo, sormontata da mensole e sostegni per provette, era rovesciato un contenitore simile a quello sul pavimento, ma aperto dal quale fuoriusciva  qualcosa dall’aspetto di sabbia finissima.

Martha si avvicinò e rimise il mucchietto di polvere all’interno del contenitore, un attimo prima di richiudere il coperchio, un dolore le sferzò il palmo della mano destra, la ritrasse, osservò con attenzione ma non vide nulla, nemmeno la traccia di puntura d’insetto che in qualche modo si aspettava. Avrebbe controllato meglio ed se necessario si sarebbe disinfettata. Rimise tutto a posto e chiuse dietro di sé la porta del laboratorio. Udì un istante dopo il ronzio del servomeccanismo della serratura elettronica bloccare l’accesso.